Cento anni di Franco Basaglia tra rivoluzione psichiatrica, polemiche ed elogio della follia
Ha contribuito a trasformare radicalmente il trattamento delle persone affette da disturbi mentali. Pensiero e azioni dello psichiatra italiano più celebre del Novecento

L’11 marzo avrebbe compiuto cento anni Franco Basaglia, il medico psichiatra reso celebre da una legge che prende il suo nome e che costituisce una rivoluzione nella sanità mentale.
Un pensatore radicale
Basaglia è considerato uno dei protagonisti della cosiddetta "Rivoluzione Psichiatrica" in Italia. Ha contribuito a trasformare radicalmente il trattamento delle persone affette da disturbi mentali, spostando l'attenzione dai manicomi verso un approccio più umano ed empatico, basato sulla comunità. Promotore di una visione terapeutica nuova introdusse pratiche come psicoterapia istituzionale e la terapia occupazionale, che miravano a favorire il reinserimento sociale dei pazienti psichiatrici. Attraverso attività artistiche e professionali le persone potevano essere guidate lentamente verso la guarigione e addirittura proiettate verso un ritorno in società.
La legge Basaglia
Basaglia ha svolto un ruolo cruciale nella promozione della Legge 180, poi diventata nel linguaggio comune "Legge Basaglia", approvata nel 1978. Questa legge ha abolito definitivamente il sistema dei manicomi, promuovendo invece la creazione di servizi psichiatrici basati sulla deistituzionalizzazione e sul trattamento ambulatoriale.
La riforma aveva come obiettivo superare la la Legge 36/1904 “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati” che relegava in uno spazio chiuso qualsiasi persona sofferente di mente, e non solo: gli ospedali psichiatrici accoglievano uomini e donne senza dimora, indigenti, alcolizzati, adulti e bambini abbandonati, persone con menomazioni fisiche, che vivevano rinchiusi in una condizione che ricordava più la detenzione che la cura; molte patologie erano trattate con contenzione e sedativi, alcune persone non avevano rapporti con gli altri e con l'esterno, tanti passavano le giornate nell'inattività totale e private di ogni contatto familiare.
Basaglia ha dedicato la sua vita professionale alla difesa dei diritti umani delle persone affette da disturbi mentali. Ha lottato contro la discriminazione e lo stigma sociale associato alla malattia mentale, promuovendo la dignità e l'autonomia delle persone con problemi psichiatrici. In questo modo ha anticipato di parecchio l’attuale e più diffuso pensiero moderno verso le persone con disabilità e sulla possibilità della loro effettiva inclusione nel mondo del lavoro e dunque nella comunità.

Non solo consensi
La sua carriera è stata caratterizzata da meriti significativi, ma anche da polemiche e accesi dibattiti. L’aver avallato la chiusura dei manicomi ha suscitato numerose polemiche e preoccupazioni riguardo alla sicurezza e al benessere dei pazienti, specialmente per quelli con necessità di cure costanti.
La comunità medica non ha reagito infatti in modo univoco alla chiusura di queste strutture. C’è chi ha dato una lettura molto critica sostenendo che la rapidità di questo provvedimento non ha consentito alle persone dimesse di ricevere adeguata accoglienza e sostegno, condannandole a marginalizzazione, isolamento, degrado sociale, al punto da metterle in pericolo. C’è anche chi ha visto nel suo approccio alla malattia mentale una visione forse troppo semplicistica di risoluzione dei disturbi della psiche che portava a sminuirne la gravità e il controllo.
Nonostante tutto l'eredità di Franco Basaglia rimane significativa, e il suo lavoro ha ispirato molte riforme e innovazioni nel trattamento dei disturbi psicologici e psichiatrici in tutto il mondo. La sua visione empatica e gli sforzi per promuovere i diritti delle persone affette da malattie mentali continuano a influenzare positivamente la pratica clinica e la politica sanitaria.
Aver proposto coraggiosamente un pensiero rivoluzionario in questo campo così stigmatizzato e divisivo, ha contribuito al consolidamento attuale di una sensiblità più diffusa verso le esigenze dei pazienti e, in generale, nella percezione dei disturbi mentali, visti come un terreno di riflessione su cui si può lavorare senza escludere nessuno.
La capacità di vedere la persona oltre al problema, o non solo identificandola esclusivamente con il suo problema, ha riportato l'essere umano al centro, garantendo una certa accuratezza nel trattamento e anche una maggiore accettazione da parte della società. Non sono infatti troppo lontani i tempi in cui depressione, schizofrenia e altri disturbi venivano trattati con electroshock e isolamento sociale, di fatto peggiorando le condizioni del paziente. E non sono neanche lontani i tempi in cui, per ignoranza, pregiudizio e vergogna chiunque manifestasse un qualsiasi disturbo veniva spesso segregato in casa dalle stesse famiglie.
Forse una società che pretende la performance a tutti i costi come la nostra non è ancora del tutto pronta a una vera inclusione ma è innegabile lo sforzo, che a vario titolo e in tanti ambiti, da quello medico a quello culturale e scolastico, si sta compiendo per la garanzia di diritti che siano finalmente a tutela di tutti e tutte.