Può un film mettere in pericolo la sicurezza di un paese? A Hong Kong credono di sì: venerdì scorso il governo locale ha autorizzato la censura cinematografica sui film prodotti in casa o all'estero destinati alla proiezione pubblica. Le pellicole saranno sottoposte a verifica dei censori, che potranno prevedere tagli o limitazioni alla visione o addirittura essere vietati in tutto il territorio di Hong Kong.
Nulla di particolarmente inaspettato: si tratta di un nuovo capitolo della legge sulla sicurezza nazionale che il governo cinese ha approvato un anno fa e subito messa in atto per reprimere le prosteste dei giovani di Hong Kong in favore di diritti e democrazia. Dopo controlli, arresti e denunce per azioni che potrebbero essere considerate sovversive arriva dunque la censura cinematografica, pensata per stroncare i contenuti che secondo il governo minacciano la sicurezza del paese.
Nel mirino dei controllori, si legge nel provvedimento pubblicato sul sito dell'amministrazione regionale, scene di crudeltà, tortura, violenza, crimine, orrore, linguaggi comportamenti indecenti, offese a persone in base al colore della pelle, al sesso o alle origini etniche e nazionali o alla religione ma anche immagini di disabilità o sessualità. Non solo: i censori sono invitati a valutare l'effetto che il film potrebbe avere sugli spettatori e addirittura le circostanze in cui il film sarà presentato. Dunque, oltre a criteri sui contenuti potenzialmente offensivi e discriminatori, il governo assume il potere di censurare una pellicola per i suoi potenziali effetti: un'azione che prevede totale discrezionalità in chi decide se un prodotto sia adatto alla proiezione oppure no.
Neanche l'Italia, che pure ha conosciuto la censura per oltre un secolo, era arrivata a tanto: i censori esaminavano scene e dialoghi su violenza, politica, sesso e religione nelle pellicole con il potere di vietare la visione o condizionarla a tagli o a un limite di età. Un tema che oggi nel nostro paese non esiste più: dal 5 aprile scorso il Ministro della Cultura ha abolito la censura cinematografica e creato una Commissione ministeriale che semplicemente valuta la corretta classificazione dei film.
Veti, tagli e limiti alle proiezioni, messi in atto dal 1913 quando il governo allora guidato da Giovanni Giolitti venne autorizzato a “esercitare la vigilanza sulla produzione delle pellicole cinematografiche, prodotte all'interno o importate dall'estero", appartengono ormai al passato. La storia della censura sui film in Italia è però un patrimonio prezioso che mostra in maniera significativa i cambiamenti della nostra società: possiamo ripercorrerla grazie all'archivio virtuale www.cinecensura.com, la mostra virtuale permanente per i cento anni della censura cinematografica in Italia voluto dal Ministero per la Cultura - direzione generale per il Cinema.
Scorrendo tra i 2600 titoli sottoposti a revisione ministeriale nella loro versione definitiva, datati tra il 1915 e il 2012, ci sono film noti proprio per le polemiche che portarono con sé come “Totò che visse due volte” di Ciprì e Maresco (1998), o “Salò e le 120 giornate di Sodoma” di Pier Paolo Pasolini (1975), inizialmente vietati e poi autorizzati dopo il ricorso degli autori ma solo per i maggiorenni. Ci sono pellicole che oggi ci appaiono innocue ma che allora vennero giudicate inadatte alla proiezione integrale, autorizzate solo dopo tagli più o meno consistenti o riservati ai maggiori di 14, 16 o 18 anni. Sfuggono al censimento le migliaia di pellicole soggette a censura preventiva o a trattative estenuanti già in fase di scrittura, e sfuggono anche i tagli inflitti in autonomia dentro le sale cinematografiche durante le proiezioni; su quest'ultimo tema Giuseppe Tornatore creò nel 1988 il capolavoro "Nuovo cinema paradiso" con Philippe Noiret e Salvatore Cascio, vincitore di un Oscar come migliore film straniero.
Non uscì indenne dalla censura il grande Federico Fellini: “Luci del varietà” diretto insieme ad Alberto Lattuada (1950) fu vietato ai minori di 16 anni; lo stesso per "La dolce vita" con Marcello Mastroianni (1960), ma alcuni anni dopo il divieto venne abbassato a 14, che fu anche oggetto di un'interrogazione parlamentare in cui si chiedeva al Governo se era a conoscenza delle "vibrate proteste di persone e associazioni, preoccupate che la rappresentazione di un mondo moralmente deteriore, limitato a particolari ambienti di malavita, possa comunque gettare un'ombra calunniosa sulla popolazione romana e sulla dignità della capitale d'Italia e del cattolicesimo". Il film "Il Casanova" (1976) fu autorizzato solo a maggiorenni per le numerose scene di sesso, ma uno dei commissari ne propose il divieto totale a causa dei "rapporti sessuali del protagonista con donne e con bambola".
La censurà si accanì su un grande classico della commedia italiana, "Amici miei" di Mario Monicelli (1975), capolavoro che portò sul grande schermo Ugo Tognazzi, Duilio Del Prete, Gastone Moschin, Philippe Noiret e Adolfo Celi a cui segurono gli atti II e III. "Vietato ai minori di anni 14 per la scurrilità del dialogo e per le tematiche in complesso diseducative", ma visto che la produzione si era rifiutata di tagliare "la scena del coito tra i coniugi Necchi", il divieto si estese fino ai 18 anni prima di una nuova revisione del visto.
Collezionò diversi no in Italia il regista newyorkese Stanley Kubrik: nel 1972 il film "Arancia meccanica" fu vietato ai minori per "la drammaticità delle sequenze sullo stupro, sull'omicidio e in generale sulle rappresentazioni violente". "Shining" (1980) fu autorizzato solo ai maggiori di 14 anni "per alcune scene terrificanti" e poi autorizzato alla proiezione per tutti nel 1991 ma solo dopo ben 77,5 metri di tagli: via alcuni istanti sulla stanza dell'albergo inondata di sangue, via i primi piani dei cadaveri delle gemelle, via alcune battute violente di Jack alla moglie e poi alcuni secondi sulla scritta 'murder' e ben 5,4 metri di pellicola con la fuga di Wendy e Danny. Alleggerito, infine, anche il primo piano di Jack morto congelato. Vietati ai minori di 14 anni "Lolita", "Eyes wide shut", "Rapina a mano armata", "Full metal jacket" e "Orizzonti di gloria" per scene di sesso, violenza e toni aggressivi.
Tra i film più celebri per il veto censorio c'è "Ultimo tango a Parigi", diretto da Bernardo Bertolucci nel 1972, con Marlon Brando e Maria Schneider: "La commissione - si legge nel verbale - pur riconoscendo l'elevato impegno e gli indiscutibili pregi artistici del film [...] non può non rilevare con vivo rincrescimento come la crudezza e la virulenza del dialogo e l'audacia e lo spinto realismo si risolvano in una indiscutibile offesa a quel buon costume di cui è menzione nell'art. 21 della Costituzione, offesa, cioè, intesa nel senso di attentato alla pubblica moralità". Citati nel verbale anche "l'amplesso consumato con foga selvaggia" e la scena della violenza "previo impiego all'uopo del panetto di burro". Il regista si rifiutò di tagliare le scene e la Commissione ministeriale firmò parere contrario alla proiezione; la pellicola fu oggetto pure di una interrogazione parlamentantare. Bertolucci venne condannato per offesa al comune senso del pudore e privato dei diritti civili per cinque anni, il film sequestrato e le copie destinate al macero. Per fortuna non tutte andarono distrutte: "Ultimo tango" fu dissequestrato e riabilitato nel 1987; il suo arrivo in sala registrò subito il record italiano di incassi al botteghino che mantenne fino al 1997, quando venne superato da "La vita è bella" di Roberto Benigni.