Addio a Lisetta Carmi: "Quando tra i travestiti di Genova ho capito se ero maschio o femmina"
Ebrea che sapeva molto bene cosa fossero le discriminazioni e le persecuzioni, ha accompagnato alla luce tantissime persone non conformate. Volti e anime spigolose che davano fastidio.
"Ero la terza figlia dopo due fratelli maschi e per un periodo non ho capito bene se ero maschio o femmina, sono stati proprio i travestiti del vecchio Ghetto di Genova che ho fotografato che mi hanno fatto capire che non esistono uomini o donne, ma solo essere umani".
A 98 anni è morta la grandissima artista Lisetta Carmi, la genovese che ha scelto di spegnersi in un trullo comprato nel 1971 a Cisternino, vicino a Brindisi, "mangiando cibi sani, scrivendo lettere e godendo della solitudine". Anticonformista fino alla fine, nella sua lunga vita ha immortalato i volti di chi era condannato dalla società a restare all'ombra, al buio, al silenzio. Ebrea che sapeva molto bene cosa fossero le discriminazioni e le persecuzioni, ha accompagnato alla luce tantissime persone non conformate. Volti e anime spigolose che davano fastidio.
Studia pianoforte dopo la guerra e diventa una concertista di successo. Viaggia per l'Italia, suona in Germania, Svizzera, Israele. "Ho fotografato i campi profughi negli Anni sessanta, ho visto come trattano i palestinesi, ne sono rimasta rattristata, non ci sono più voluta tornare".
Scatta dunque per diletto, non per professione. E' una pianista ma è anche una militante. Tocca corde, fisiche e spirituali, forse il suo più grande miracolo è che sia riuscita a far suonare una macchina fotografica. Le piace scavare a mani nude sotto la superfice ordinata. E così trova soggetti interessanti, mai raccontati prima. E' la Caravaggio del rullino: fogne, ospedali, quartieri di periferia, miserabili.
Nel 1964 decide di partire per la Sardegna. Per dieci anni racconterà la Terra dell'esilio, l'Isola che prima di essere delle vacanze, è stata quella dell'espiazione. Dura, struggente, feroce, selvaggia. Purgatorio molto prima di trsformarsi in Paradiso. In una intervista su Repubblica raccontò: "Il ricordo non è offuscato dagli anni che sono trascorsi. È come se l'isola conservasse ancora vivida la sua presenza originaria: barbarica e leale, sospettosa verso gli intrusi e generosa, una volta che ne fai parte. La curiosità per quella terra mi venne leggendo il resoconto che una maestra ne aveva fatto, in una serie di articoli per Il Mondo di Pannunzio. Lei si chiamava, ma credo sia ancora viva, Maria Giacobbe. In quegli articoli raccontava la vita dell'isola, i problemi che gli abitanti dovevano affrontare, la bellezza dei luoghi, ma anche i primi tentativi di speculazione. In molte case non c'era acqua, né fogne nei paesi. Fu soprattutto un articolo a colpirmi. Parlava di un suo alunno, che non aveva neanche le scarpe tanto erano difficili le condizioni familiari. Era un bimbo con otto fratelli. Sul tema, che la maestra aveva dato, scrisse: "Che bella la luna è libera e non ha nove figli". Quel foglio macchiato di unto, rivelava una sensibilità, forse un talento".
Alcuni anni dopo Carmi torna nella sua Genova. Vuole raccontare la comunità dei travestiti che abitavano l’antico ghetto ebraico: "Tutto è iniziato con una festa di Capodanno a cui sono stata invitata, ho scoperto la sofferenza e la solitudine di persone davvero perbene".
Ma Carmi è una donna, una donna che si occupa di cose sporche. Verrà definita una sporcacciona. Così quel libro che oggi è un cult, I travestiti, fu riutato dalle librerie di una italietta bachettona.
Inizia a raccontare anche il mondo: ad Amsterdam il movimento di contestazione dei Provos. Poi America Latina l'Afghanistan e il Nepal. Nel 1970 a Belfast documenta il conflitto nordirlandese. La sua vira cambierà per sempre il 12 marzo 1976 quando in India, incontrerà il Mahavatar dell’Himalaya.