Viola Ardone e il mezzo mondo dei manicomi, in "Grande Meraviglia" la storia dimenticata degli ultimi
Dopo "Il treno dei bambini" e "Oliva Denaro" la scrittrice napoletana chiude la trilogia dedicata a Novecento italiano con un romanzo ambientato tra le mura di un ospedale psichiatrico

C'è una storia italiana che sembra lontanissima nel tempo, sconosciuta alle generazioni più giovani e dimenticata dai grandi: è quella degli ospedali psichiatrici, strutture dove per anni sono state recluse migliaia di persone con disturbi mentali, e non solo. I manicomi sono stati chiusi grazie alla riforma voluta dallo psichiatra Franco Basaglia con la legge "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori" del 1978, che ha messo fine alla terribile esperienza dei ricoveri coatti negli ospedali psichiatrici, ma molte strutture sono rimaste in vita fino agli anni Novanta.
Alla storia dei manicomi, alla vicenda delle persone che qui hanno trascorso una vita intera è dedicato il nuovo, bellissimo romanzo di Viola Ardone "Grande Meraviglia" in libreria da ottobre scorso con Einaudi (e disponibile anche come audiolibro con la lettura di Emanuela Ionica). Le voci narranti sono quelle di Elba, giovane internata sin dalla sua nascita perché figlia di una paziente, e il suo medico, il giovane Fausto Meraviglia che cerca di mettere in pratica il metodo Basaglia dentro gli stessi manicomi; ma la protagonista vera è la riforma degli ospedali psichiatrici, che per la prima volta ha considerato le persone sofferenti mentali come individui da accogliere e curare dentro la società e non più come malati da rinchiudere tra quattro mura senza alcun contatto con l'esterno.

La vicenda è ambientata in un centro del Napoletano e si sviluppa dagli anni Ottanta ai nostri giorni: Elba bambina racconta la sua storia in prima persona e annota riflessioni sulla vita in manicomio in un diario; è incuriosita dall'arrivo di un "dottorino" che mette da parte pillole ed elettroshock e finalmente parla con i pazienti, dà loro fiducia e ascolto e crea un metodo nuovo di cura. Tra le persone che Elba incontra non ci sono solo malati psichiatrici: c'è un mondo di persone rinchiuse perché sono sole, abbandonate dalle famiglie e dalla società, sofferenti per malesseri oggi ben conosciuti come l'anoressia, la depressione, la schizofrenia. L'esperienza degli ospedali psichiatrici, nata nei primi del Novecento con la legge "Disposizioni sui manicomi e sugli alienati", ha creato un "mezzo mondo", come lo chiama Elba, abitato da una comunità di persone che hanno perso una vita intera dentro quattro mura, sedati con terapie pesantissime ed elettroshock e resi totalmente incapaci di costruirsi un'esistenza al di fuori del manicomio.
Una realtà che Viola Ardone ha ricostruito grazie a uno studio attento e accurato: “Ho cercato di fare un grosso lavoro di documentazione – ci ha detto - sui testi di Basaglia, sui lavori di archivio, su audiovisivi, documentari, testimonianze dell'epoca, tutto quello che potesse aiutarmi a 'vivere' in quel luogo, a camminare tra quei corridoi, a sentire quelle voci. Il tema era talmente delicato che avevo timore di non rendere giustizia alle migliaia di persone che avevano subito l'internamento coatto”.
Dopo i due romanzi precedenti pubblicati da Einaudi nel 2019 e nel 2021 la scrittrice napoletana, che nel quotidiano insegna italiano e latino in un liceo scientifico, chiude con "Grande Meraviglia" la trilogia dedicata al Novecento: "Tutto è partito dal 'Treno dei bambini', una storia che ho incontrato sul mio cammino e che ho desiderato narrare fin dal primo momento. Poi con 'Oliva Denaro' ho voluto fare un passo in avanti nella storia del secondo Novecento e infine con 'Grande Meraviglia' ho raccontato gli anni Ottanta da una prospettiva molto particolare, quella del manicomio, e ho portato la narrazione fino ai giorni nostri. I fili rossi sono la condizione femminile, la sorte dei marginali, dei non visti, di quelli che sembrano essere nascosti nelle pieghe della Storia e che pure quella storia hanno contribuito a farla, a cambiarla. Ci sono anche dei personaggi 'staffetta' che collegano le tre storie, che restano autonome ma sono come tre fotogrammi di uno stesso film, quello del nostro dopoguerra".