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"Vigliacchi!": il j'accuse di una teenager contro gli adulti. Il manifesto di una generazione

Il libro della 17enne Amelia C. ha tutto per appartenere all'adolescenza: i temi, il turpiloquio, lo sguardo al futuro, la presunzione di dire "mai", la legittima saccenza dell'età. Cose a cui si aggiunge una gran voglia di prendersela con i "grandi"

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L'accusa dei giovani agli adulti (Ansa)
L'accusa dei giovani agli adulti (Ansa)

Non c'è nulla di più scontato di un adolescente arrabbiato. Il modo in cui dimostra di esserlo, però, non è mai banale. Amelia C., 17 anni, ha scelto di farlo attraverso un libro, Vigliacchi!, in uscita il 4 ottobre per Agenzia X. In 138 pagine, raccoglie quello che la giovane definisce un j'accuse al mondo degli adulti.

Probabilmente l'ultima teenager a usare l'anonimato per pubblicare un libro è stata Melissa P. con i suoi '100 colpi di spazzola prima di andare a dormire'. Un innegabile cult della nostra letteratura. Era il 2003, e Amelia C. non era ancora nata. È dunque scontato che, già solo per la differenza generazionale, il libro della classe 2007 sia diverso. Non è un romanzo, anzitutto. È una sorta di lettera, ma non un diario. E non ha nulla di erotico, anche se in un capitolo discute di sessualità. Dell'adolescenza, però, ha tutto: i temi, il turpiloquio, lo sguardo al futuro, la presunzione di dire "mai", la legittima saccenza dell'età. Cose a cui si aggiunge una gran voglia di prendersela con i "grandi", gli adulti o, almeno, quelli che Amelia accusa di non capirla per via di una "profonda inconciliabilità". Anche se a loro ribadisce che il mondo non è bianco e nero, lei incorre nel loro stesso errore, non tanto perché generalizza i comportamenti, quanto perché non si rende conto che ormai nel mondo degli adulti rientrano tanti nativi digitali.

Al di là di questo - un libro di un'adolescente è già di per sé un successo, anzi, dev'essere imperfetto - Amelia riesce a scrivere un manifesto di ciò che vuole diventare, ammettendo che non tutti coloro che hanno 17 anni si sentono come lei. "Vorrei essere parte di quella schiera che sovvertirà il mondo - scrive - un gruppo minoritario, ma vincente". Elabora le sue idee, cita Platone, dimostra di avere anche una certa cultura che non è solo figlia del suo liceo classico. E rinfaccia di tutto alla generazione dei suoi genitori, alternando impeti di rabbia a momenti in cui ammette che "possiamo ancora dialogare".

Con una penna per nulla pomposa (in barba alle abitudini scolastiche), Amelia snocciola teorie, spiega che gli adulti sono quelli che fanno più danni con la tecnologia ma si preoccupano tanto per i giovani al cellulare, si lamenta di ciò che propone il tg (le "esternazioni del ministro Valditara" e i "Måneskin che conquistano il Messico"), soffre all'idea dell'appiattimento dell'opinione pubblica rispetto alle guerre.

Non ha paura, giustamente, di dire la sua sulla politica e la situazione in Medioriente, passando pure dalle migrazioni: "noi siamo già mischiati - ricorda - I nomi dei miei compagni di scuola sono misti. Nessuno di noi ci fa caso". E si lascia andare anche a un umorismo condivisibile: "parlate come gli attori delle fiction televisive italiane - è il suo rimprovero - Siete un misto tra il milanese imbruttito e Recalcati".

Amelia, insomma, scrive un libro che possono leggere i giovani (per condividere o meno le sue idee ed emozioni) e gli adulti (per cercare di capirci qualcosa dei primi). In mezzo a tutta la rabbia, tira fuori opinioni che sono lo specchio del suo tempo ma che meriterebbero un approfondimento, se non un confronto. E forse proprio per questo, alla fine del j'accuse, la cosa più triste di tutte è il non poter rispondere.

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