“Per capire che strano popolo fossero i giapponesi il governo americano durante la guerra aveva chiamato un’antropologa, Ruth Benedict, per cercare di far luce su quella cultura. Lei scrisse un saggio memorabile, Il crisantemo e la spada, pubblicato nel 1946, in cui cercò di spiegare che le normali categorie “logiche” occidentali erano uno strumento inadeguato per riuscire a capire”.
Così scrive Igort in Quaderni giapponesi e in effetti questo popolo enigmatico sembra sfuggire alle nostre classificazioni, è come un mondo a parte che forse anche per questo ci affascina. Alla grazia e al culto della bellezza, i giapponesi sovrappongono il culto della forza e della morte. E in questo, secondo la tradizione nipponica, non c’è niente di strano. È il 1991 quando Igort, ovvero Igor Tuveri, arriva a Tokyo per la prima volta. Nato sull’isola di Sardegna nel 1958, Igort aveva iniziato la sua carriera alla fine degli anni Settanta collaborando con Linus, Alter e Frigidaire. Quando vi giunse per lavorare con la più grande casa editrice del paese, “la stessa in cui Mishima incontrava i suoi editor”, il Giappone era diventato lo scrigno dei suoi desideri. Ecco come comincia Quaderni giapponesi:
“Mentirei se dicessi che tutto cominciò in maniera inaspettata. Prima di metterci piede per la prima volta, nella primavera del 1991, sognavo il Giappone da almeno 10 anni. Da quando cioè cominciai a disegnarlo in maniera quasi inconscia, sulle pagine di quello che sarebbe diventato il mio primo libro a fumetti: Gooodbye Baobab. Cosa cercavo? Una domanda che mi accompagna ormai da quasi 25 anni. Da allora, poco alla volta, quel luogo misterioso mi era entrato sottopelle”.
Il suo Giappone era fatto da Mishima e i suoi demoni, da L’impero dei segni di Roland Barthes, dai grandi maestri dei manga famosi anche in Occidente e da quelli meno noti da noi, dai film di Yakuza, di samurai, o erotici. E poi ancora da scrittori, pittori, poeti. Soprattutto il Giappone era per lui “il paradiso dei disegnatori”. L’enorme redazione della rivista a fumetti con cui collaborava contava ben 55 editor! Lì Igort inizia la sua seconda vita. Fa “ingresso in un mondo nuovo, un universo fatto di regole indecifrabili”. In Quaderni giapponesi il racconto autobiografico, si mescola alle strisce dei suoi lavori. Il libro è un’introduzione al Giappone fatta da qualcuno che lo ama da molto tempo e che va a scoprire sul campo i punti cardinali della cultura nipponica.
A Tokyo per sei mesi…
Tre anni dopo, Igort viene invitato a vivere a Tokyo per sei mesi, sempre dalla stessa casa editrice, la Kodansha. E anche se in quel periodo perse 12 chili, perché mangiava una sola volta al giorno, fu uno dei periodi più felici della sua vita. Grazie al suo editor conosce numerosi autori di manga tra cui Taniguchi con cui inizia un’amicizia poi durata per anni. Taniguchi è curioso di sapere come si lavora in Occidente e i due fanno un confronto manga-fumetto.
Malgrado sia una città di nove milioni di abitanti con ritmi di lavoro frenetici e alienanti, Tokyo ha il dono di calmarlo. La mattina si sveglia molto presto e va al santuario Nezu Jinjia dove pratica la meditazione.
“Lontanissimo da casa, ma in un’altra isola, cercavo il senso del mio esistere. E, attorniato dalla bellezza dei giardini di azalee coltivate da monaci diligenti con cura ultraterrena, circondato da alberi secolari, mi pareva a tratti di stringerlo tra le mani, quel senso. Poi scorreva via, come l’acqua tra le dita”.
Questo è un aspetto fondamentale del fumetto di Igort, la ricerca del senso della vita, una ricerca di tipo estetico che fa sprigionare dal libro una sorta di spiritualità. Lui è curioso di tutto. Immerso in un mondo di immagini, acquista cartoline sbiadite di menko, le carte da gioco con sopra disegnati samurai, lottatori di Sumo o eroi di guerra, per poi ridisegnarle sui suoi quaderni. Si sente accolto dai giapponesi, con i loro inchini cerimoniosi.
“Adoravo quelle persone ironiche e lievi, ma dedite al lavoro con un rigore che non avevo mai visto prima. In quel soggiorno il mal di Giappone prese ad avvolgermi sotto la sembianza di una dolce malinconia. Mi rattristava la bellezza antica di questa o quella casa di legno e carta di riso, che scorgevo di tanto in tanto nel mio quartiere. Parlava di un’epoca remota. Era quello il Giappone che vedevo evaporare sotto gli occhi, soffiato via dal formicolare vorticoso della vita moderna”.
Il suo lavoro procede bene. La seconda serie di Yuri, il bambino che viaggia nello spazio, viene pubblicata su Cominc Morning, la rivista che vendeva 1.400.000 copie ogni settimana e arrivano moltissime lettere di apprezzamento dei lettori.
Tanizaki
Igort racconta di Tanizaki, l’ironico, l’esteta, il raffinato e sapiente, anticonformista scrittore che incorse nella censura fin da quando, ventenne, scrisse il suo primo racconto Shisei – Il tatuaggio – in cui narra la passione travolgente per il candore dei piedi e della schiena dell’amata. Per anni i suoi lavori furono considerati offensivi e censurati sostituendo le parole incriminate con delle x, o con un cerchio. Quelle elisioni scatenavano la fantasia dei lettori oltre le intenzioni dell’autore. Quando poi negli anni Cinquanta, cambiati i costumi, gli chiesero di reinserire le parole mancanti lui rispose:
L’impero dei sensi: Abe Saba
Poi c’è la storia affascinante di Abe Saba, musa di tanti artisti, resa famosa dal film di Oshima, Ecco l’impero dei sensi. La sua vita fu “persa a inseguire ideali di bellezza e passione”. Non ne dirò altro per non guastarvi il piacere di leggerla.
Oriente e Occidente
Leggendo Quaderni giapponesi mi è venuto in mente Stupori e tremori di Amélie Nothomb perché anche lei, come Igort, adora il Giappone e va a viverci e a lavorarci per un certo periodo. La Nothomb lavora in una multinazionale ma il suo impatto con le regole e la sua interazione sociale saranno disastrosi al punto che precipiterà sempre più nella gerarchia dell’azienda, fino a che le verrà assegnato il compito di rifornire i bagni di carta igienica.
Igort sembra il suo opposto. Lui è a suo agio con i giapponesi e anche il gap culturale viene risolto positivamente, come dimostra il seguente episodio. Quando andò a parlare con il capo della grande casa editrice Kodansha, l’incontro durò tre ore e mezza. Questo perché Igort non sapeva che in Giappone l’ospite deve alzarsi per primo. Il direttore Kurihara continuava a offrirgli del tè pensando che lui volesse negoziare un compenso più alto. Nel corso di quella conversazione glielo aumentò tre volte. E i commento finale di Igort è: “Quando si dice la fortuna di non conoscere a fondo le usanze di un luogo”.
A livello formale è un racconto molto ricco e ogni pagina è una scoperta: il modo in cui lavora sul colore, il bianco e nero, l’intervento sulle fotografie che sembrano disegnate. L’impatto visivo ti conquista fin da subito. Colpiscono anche il modo cinematografico di montare le sue vignette con dettagli e poi le infinite citazioni, l’eleganza, la bellezza.
Tante storie si intrecciano in questa graphic novel che mescola diario di viaggio, racconti, pezzi dei suoi fumetti, riflessioni e meditazioni (zen), oltre alla presentazione di tanti artisti. Tocca numerosi aspetti in modo apparentemente leggero ma alla fine ti resta l’impressione di avere capito qualcosa in più di questo indecifrabile paese. In un dialogo continuo tra Oriente e Occidente, credo che sia proprio la bellezza il tratto che italiani e i giapponesi hanno in comune e sul quale possono entrare in sintonia.
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Attenzione, c’è anche una seconda parte, uscita due anni dopo, nel 2017: Quaderni Giapponesi, Il vagabondo del manga. Qui invece trovate il Diario di lavorazione dei Quaderni giapponesi: un video in cui Igort spiega il suo lavoro.
L'articolo Quaderni giapponesi. Il viaggio di Igort nell’impero dei segni proviene da Cronache Letterarie.