La strada per gli Oscar 2020, si sa, è molto lunga. Quando arrivano i primi film della stagione cominciano subito le previsioni, ma con l’avvicinarsi dell’award season, già da dicembre, lo scenario cambia radicalmente. Produzione e distribuzione meditano attentamente il calendario delle uscite in sala: nessuno vuole presentare al pubblico un film “da premi” troppo presto. Il rischio è che al momento del voto sia stato dimenticato. D’altro canto, far uscire i film in sala tutti insieme, vuol dire fronteggiare un’accanita concorrenza e danneggiare gli incassi. Peccato che i distributori italiani ancora non abbiano appreso questa lezione!
Poi ci sono i festival, dove tutto ha inizio: anteprime destinate a un pubblico numericamente ridotto, ma con alto tasso di critici e addetti del settore. Un banco di prova durissimo. Dinamiche che quest’anno sono state per un verso confermate, per l’altro stravolte. I festival hanno ancora la funzione di trampolino: i premi di maggior peso sono andati a film presentati a Cannes, Venezia e Toronto. Si registra con dispiacere una certa assenza del Sundance, il festival indipendente per eccellenza.
1917
La regola dell’uscita in sala ben calibrata ha retto: 1917 è arrivato piuttosto tardi e ha fatto subito incetta di premi: tre Oscar tecnici come Sonoro, Fotografia ed Effetti Speciali. Non che il bellissimo film di Sam Mendes, tesa e coinvolgente rappresentazione della Prima Guerra Mondiale, avesse bisogno di certi stratagemmi per essere considerato. Ma certo ha aiutato a riaffermare il valore di una pellicola per tanti versi “classica”. Caratteristica, questa, che apparentemente ha danneggiato alcuni titoli, dimostrando come l’Academy abbia finalmente scoperto la sete per un tipo di narrazione diverso, più al passo coi tempi, sicuramente più inclusivo. Peccato che quest’aspirazione sia venuta in parte meno con le nomination.
Piccole Donne e Joker
La pur aggraziata trasposizione di Piccole Donne, firmata da Greta Gerwig, mancava di qualcosa e abbondava forse di un afflato programmatico che ne spegneva la naturale esuberanza.
Eppure, varie tradizioni sono state infrante: il premio come Miglior Attore Protagonista è andato meritatamente a Joaquin Phoenix per Joker, nonostante un’annata ricca di spettacolari performance maschili. Il rapporto dell’Academy con i film tratti da fumetti è storicamente ambivalente e arretrato, ma a quanto pare la saga di Batman è la sola in grado di spuntarla nelle categorie “nobili” e non solo in quelle tecniche. Joker ha portato a casa anche il premio per la Miglior Colonna Sonora – prima volta per una compositrice donna – premiando l’islandese Hildur Guðnadóttir, da poco vincitrice di un Emmy e un Grammy per la colonna sonora di Chernobyl.
Jojo Rabbit e Rocketman
È stata anche la prima volta di un maori con la Miglior Sceneggiatura Non Originale a Taika Waititi per Jojo Rabbit. Per una consuetudine infranta, un’altra tendenza che si conferma: le biopic musicali portano bene a chi le interpreta. Dopo il trionfo di Bohemian Rapsody dell’anno scorso, Judy dona alla sua protagonista Renée Zellweger il suo secondo Oscar, mentre Rocketman si è aggiudicato l’Oscar per la Miglior Canzone Originale premiando l’inossidabile duo Elton John-Bernie Taupin. Peccato per Taron Edgerton che aveva dato corpo, voce e anima per la sua interpretazione di Elton John, ma si è scontrato di fronte al monumentale Phoenix. Eppure Rocketman era stato presentato trionfalmente a Cannes, dove ha iniziato il lento e inesorabile cammino per la vittoria della vera sorpresa degli Oscar di quest’anno.
Perché Parasite?
Parliamo ovviamente di Parasite, la satira sociale venata di dramma del sudcoreano Bong Joon-Ho. Un film che ha scompaginato le carte in tavola, portandosi a casa ben quattro premi, tutti di peso: Miglior Film Internazionale, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Regia e persino Miglior Film, diventando la prima pellicola in lingua non inglese ad aggiudicarsi il premio più ambito.
Cosa è accaduto? Quali sono gli ingredienti di tanto, deflagrante successo?
Verrebbe da dire che in un’America dominata dall’ingombrante presenza di un presidente attivo sui social e ogni media si sentiva forse la necessità di una boccata d’aria fresca, estranea nel miglior senso possibile. Forse la spiegazione più plausibile è che, in anni in cui a dominare sul grande schermo sono soprattutto blockbuster ricchi di effetti speciali, scorre sotterraneo – ma non troppo – il bisogno di narrare la realtà, di presentare storie vere, sebbene esagerate. Storie capaci di farci mettere in discussione lo status quo, di scuotere la nostra morale assopita.
A proposito di pellicole che parlano di vita vera è impossibile non citare Storia di un matrimonio. Prodotto da Netflix con due attori cari ad Hollywood come Scarlett Johansson e Adam Driver, è valso alla comprimaria di spicco Laura Dem l’Oscar come Migliore Attrice non Protagonista.
Il film di Bong Joon-Ho è molto coreano: una certa vena splatter, i primissimi piani alternati, il gusto per architetture quotidiane vagamente stranianti, la rappresentazione di una società dove i vari ceti si incontrano seguendo determinate regole non scritte. A noi italiani potrebbe venire in mente il cinema di Monicelli o di Risi. La ragione? Il retrogusto amaro e la condanna morale celata dietro la rappresentazione delle truffe architettate dai protagonisti, in fondo delle simpatiche canaglie. Si ride a denti stretti. Si passa dalla commedia al dramma in un batter di ciglia, rappresentando in un microcosmo una società intera malata, spersa. Sono tutti elementi, questi, che dal cinema americano – e non solo – mancano da un po’ troppo tempo e che Bong Joon-Ho ha saputo mettere insieme, calibrandoli sapientemente.
Se poi fosse materiale sufficiente a battere 1917 o Joker – che in quanto a critica sociale non si risparmia – questo dipende dalle sensibilità personali. Certo è che l’Academy e forse il pubblico in genere avevano voglia di qualcosa di nuovo e antico insieme: Bong Joon-Ho è arrivato al momento giusto sullo schermo giusto. Una porta è stata aperta, un’altra crepa nel muro della roccaforte hollywoodiana creata. Ora sta ai cineasti di tutto il mondo dimostrare di poter essere all’altezza… Noi spettatori aspettiamo con ansia!
L'articolo Parasite e gli altri Oscar. Una riflessione a mente fredda proviene da Cronache Letterarie.