Mario Sironi : Periferia
C’erano una volta le periferie, abitate da contadini inurbati e successivamente da terroni emigrati, sempre per diventare manodopera a buon mercato per l’industria. Oggi però forse il termine “periferia” è diventato antiquato, perché le periferie sono cambiate e assomigliano molto più agli slums e alle banlieues che circondano le grandi città delle nazioni con un importante passato coloniale. Sono quindi occupate da una varietà di razze e tipi umani mai vista in precedenza, a volte isolate in gruppi etnici ben definiti, a volte confuse e miscelate in modo tale che la composizione di una generazione non sarà mai uguale a quella della successiva.
Il comune denominatore però, è sempre l’emarginazione.
La Torino in cui si svolge il nuovo romanzo di Enrico Pandiani (vedi qui la nostra intervista), Lontano da casa, sembra assomigliare più alla Marsiglia di Jean-Claude Izzo e di René Fregni che alla Torino dei non lontanissimi Fruttero e Lucentini, la Torino di La donna della domenica e di A che punto è la notte. Una Marsiglia senza mare e con molto meno sole.
Alla periferia di Torino, nel quartiere Barriera
In questa periferia, nel quartiere Barriera, si muove Jasmina Nazeri, un’italiana di nuova generazione, italiana del futuro. Figlia di rifugiati curdi, nonostante abbia trascorso tutta la vita in Italia e sia in possesso di regolare cittadinanza, non è percepita da tutti come tale. Rimasta orfana, avrebbe potuto finire in chissà quale abisso. Ma ha avuto la fortuna di trovare sulla sua strada gente che aveva poco da dare ma una grande disponibilità nel darlo. Insomma ha conosciuto la solidarietà. E, nel tempo, ne ha fatto il proprio mestiere. Jasmina si occupa di senzatetto, vagabondi, anziani abbandonati, senza chiedere la carta d’identità a nessuno. Una bella cosa, senza dubbio. Peccato che, a frequentare certi ambienti, anche con le migliori intenzioni, si corra sempre il rischio di cacciarsi in grossi guai.
Il guaio si materializza nel modo peggiore, con la ricomparsa di uno dei ragazzi cui insegna l’Italiano, il nigeriano Taiwo, del quale aveva perso le tracce da qualche giorno e per il quale era preoccupata. Taiwo ricompare nel modo peggiore, morto ammazzato, a quanto sembra, a colpi di balestra. Con l’aria di uno che è stato sottoposto a ogni genere di maltrattamenti e poi inseguito a lungo, prima di essere finito. La polizia pensa che sia capitato in mezzo a un regolamento di conti tra piccoli delinquenti, soprattutto spacciatori, ma tra i poliziotti non c’è unanimità.
Una poliziotta razzista ma capace
C’è un’ispettrice, Pandora Magrelli, che non pare molto convinta da questa spiegazione così semplice. La Magrelli è agli antipodi di Jasmina riguardo tutte le cose importanti, non crede affatto nella solidarietà ed è spudoratamente razzista, ma è soprattutto una poliziotta capace e a Jasmina non resta altra scelta che collaborare con lei.
Le due donne cominciano dunque a muoversi in mezzo all’intricato sottobosco di umanità che brulica, soprattutto di notte, nell’area della Barriera. C’è da trovare un altro alunno di Jasmina, il senegalese Mame, che era il migliore amico di Taiwo e potrebbe essere al corrente di qualche suo segreto. Ma, guarda caso, è scomparso anche Mame. Ci sono poi altre figure dal comportamento ambiguo, come il clochard Smemo, che non ricorda nulla della sua vita precedente ma ha occasionali atteggiamenti da gran signore. E poi c’è un certo Lorenzo, che sarebbe un poliziotto ma non si comporta mai come se lo fosse. Questi, anche se rappresentano segreti da svelare, non rappresentano nessun pericolo.
Invece, poi ci sono quelli che non si vedono, dei quali l’identità è tutt’altro che certa. E questi sì, oltre che misteriosi, sono anche molto pericolosi. Perché dietro la scomparsa e la ricomparsa di Taiwo si svolgono almeno due storie criminali molto più grandi e interconnesse tra loro, che si sovrappongono continuamente, nelle quali si muovono troppe pedine perché si possa comprendere facilmente chi sta realmente giocando la partita.
Lontano da casa non è un semplice romanzo di buoni e cattivi in cui, alla cornice Izzo style si è sovrapposto lo spirito di quelle canzoni alla De Andrè. Di quelli dove gli emarginati sono tutto sommato buoni e la malvagità è solo quella di chi li mantiene nell’emarginazione. È una storia criminale basata sul presupposto che, quando ci si inoltra sulla via del Male, poi non ci si ferma più finché qualcuno non ti ferma da fuori.
Il Male chiama altro Male ancora peggiore
La violenza chiama altra violenza. In questo contesto, a contrastare il Male, è un Bene che non è necessariamente virtù, ma semplicemente opposizione con tutti i mezzi. Questo non è sicuramente un tempo per cavalieri senza macchia e senza paura, ammesso che ce ne sia mai stato uno.
Pandiani è un autore dalla formazione ricca e variegata, le cui suggestioni si percepiscono facilmente tra le immagini e l’azione, se si è adeguatamente preparati. Ad esempio, la circostanza, che poi si rivelerà decisiva, del piccolo oggetto apparentemente insignificante nascosto all’interno del corpo di un morto e delle circostanze che hanno preceduto e determinato quella morte, è già una citazione da Kiss me deadly (Bacio mortale) di Spillane, o più probabilmente dall’ottimo film di Aldrich – Un bacio e una pistola – che ne fu ricavato.
Pellicola esemplificativa di un modello di noir senza speranza e senza redenzione. Lo stesso in cui si potrebbe far rientrare anche la vicenda di questo romanzo, malgrado la sua conclusione che sembra almeno rimettere le cose a posto, anche se quelli che avrebbero potuto beneficiarne sono quasi tutti morti. Una realtà che nemmeno la purezza e la rettitudine di Jasmina, figura tanto positiva quanto impotente, appaiono in grado di riscattare.
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