Torturata dagli esperimenti di Mengele, ecco il monito della bambina cavia

La storia della bambina sopravvissuta ai terribili esperimenti di Auschwitz

Ci sono capitoli della storia dell’umanità più oscuri di altri, periodi così privi di luce da sembrare ombre in un inferno in terra. Il libro di di Lidia Maksymowicz, a cui partecipa Paolo Rodari, è la storia personale di chi in questo inferno c’è stata ed è riuscita a sopravvivergli.

Il libro, tra passato e futuro

Edito da Solferino questo saggio autobiografico non è solo una testimonianza della follia nazista, ma un monito chiaro e deciso affinché questo non ricapiti. “Prima che i campi aprissero quale fu l’errore? Dare cittadinanza a parole di una ostilità fuori da ogni logica, ma d’un tratto ritenute legittime. Così è ancora oggi. Torniamo ad ammettere parole che sanno di odio, di divisione, di chiusura. Quando le sento in bocca ai politici, mi manca il fiato. Qui, nella mia Europa, a casa mia, ancora quelle terribili parole. È esattamente adesso, in momenti come questi, che può ridiscendere il buio”. Ecco allora che il lavoro doloroso di scavo nella memoria che Lidia compie è un dono di conoscenza per le nuove generazioni, perché traggano dall’esperienza diretta e terribile dell’autrice quanto in basso può arrivare l’uomo nei confronti dei suoi simili. Un viaggio a ritroso nel passato perché possa esserci un futuro.

La testimonianza

Lidia aveva appena tre anni quando fu confinata insieme alla madre nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. È sopravvissuta a tredici mesi di privazioni durissime e dopo essere stata sottoposta ai crudeli e inutili esperimenti su cavie umane per mano del dottor Josef Mengele. “Quando vado da Mengele vengo addormentata, per cui quando esco non ricordo esattamente cosa sia accaduto. Mi sveglio ed è il mio corpo a parlare e a raccontarmi”. I segni delle torture fisiche e di quelle psicologiche non hanno impedito a Lidia di uscire viva da qui nel gennaio del 1945, adottata da una donna polacca che si prese cura di lei e addirittura di iniziare la ricerca di sua madre.

La nuova vita e la speranza

Lidia sentiva che sua madre non era morta in quel campo di concentramento, non sapeva spiegarlo ma ne era certa. Inizia così, una volta cresciuta, a svolgere indagini in un dopo guerra ancora molto difficile, all’ombra dell’Unione Sovietica che ha preso il controllo della Polonia, senza mai rinunciare al sogno di riabbracciarla perché la vita trova sempre il modo di imporsi, di uscire allo scoperto e riconquistare il suo spazio.

Lidia ha incontrato sia papa Wojtyla che papa Francesco, con loro ha pregato silenziosamente per le vittime dell’Olocausto, con loro ha dialogato attraverso gli occhi senza bisogno di parole. E proprio papa Francesco, in apertura del libro di Lidia, che firma una prefazione piena di solidarietà e di monito per tutta l’umanità, perché il buio che è stato non debba mai più tornare.