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Schwa? No grazie. Andrea De Benedetti spiega i limiti e gli eccessi del linguaggio inclusivo

In "Così non schwa" il giornalista e scrittore sostiene che pronuncia, accordi e nuove regole su tutto l'apparato linguistico produrrebbero più costi che benefici

Francesca Mulasdi Francesca Mulas   
Schwa? No grazie. Andrea De Benedetti spiega i limiti e gli eccessi del linguaggio inclusivo

Siamo sicuri che un linguaggio inclusivo a ogni costo non divenga, alla fine, paradossalmente esclusivo? Siamo certi che introdurre un nuovo lessico non trasformi la nostra comunicazione in uno strumento corretto per alcuni ma impraticabile per altri? Con queste domande Andrea De Benedetti, scrittore, linguista e giornalista, si è inserito nel variegato dibattito sullo schwa con il suo ultimo saggio uscito per Einaudi, "Così non schwa, limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo". L'autore ha presentato il suo punto di vista su uno dei temi più attuali, animati e divisivi nel campo della linguistica sabato 3 settembre all'interno del festival Bookolica organizzato in Sardegna, tra Scano Montiferro, La Maddalena e Tempio Pausania tra 30 agosto e 4 settembre da Bottega No-Made per la direzione artistica di Fulvio Accogli

Una proposta divisiva

Il tema non è nuovissimo ma è soprattutto negli ultimi anni che è diventato mainstream grazie soprattutto ai social network e alla pubblicazione di libri, articoli e podcast dedicati all'argomento. Tutto è iniziato nel 2015, quando un articolo, confluito poi nel più ampio progetto Italiano Inclusivo, propose di superare il limiti di una lingua priva del genere neutro con la desinenza dello schwa, una vocale già presente in alcuni dialetti italiani e codificata dall'alfabeto fonetico internazionale. Di recente è stata utilizzata all'interno di comunità sensibili al tema, come quella Lgbtqia+, proprio come soluzione al problema di un linguaggio che riconoscendo le forme maschili e femmili di nomi, aggettivi e pronomi esclude le persone che non si riconoscono in un genere definito. Il dibattito si è acceso qualche mese fa, quando il linguista Massimo Arcangeli ha lanciato sulla piattaforma Change.org la petizione "Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra", firmata oggi da 23 mila persone: "Siamo di fronte a una pericolosa deriva, spacciata per anelito d'inclusività da incompetenti in materia linguistica, che vorrebbe riformare l'italiano a suon di schwa - si legge nella petizione indirizzata ai Ministeri dell'Istruzione e dell'Università. - I promotori dell'ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente corretto, pur consapevoli che l'uso della 'e rovesciata' non si potrebbe mai applicare alla lingua italiana in modo sistematico, predicano regole inaccettabili, col rischio di arrecare seri danni anche a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuroatipiche". 

"Un esperimento che rimette al centro le persone"

Nessuna pretesa di cambiare l'italiano, spiega oggi chi usa lo schwa, si tratta di un esperimento volto proprio a testare nuove forme di linguaggio che possano davvero comprendere chiunque non si riconosca nei generi maschile e femminile. Tra le autrici che hanno messo per iscritto lo schwa c'è Vera Gheno, sociolinguista, che ha scritto sull'argomento un esaustivo articolo per Treccani e ha firmato per la casa editrice Effequ il libro "Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole" da cui è stato tratto anche un audiolibro. Nel frattempo anche altre case editrici hanno scelto di pubblicare alcuni volumi, dedicati soprattutto alla sociolinguistica o alle tematiche di genere, usando lo stesso simbolo. 

"Una proposta con limiti ed eccessi"

E' in questo contesto, dunque, che si inserisce la riflessione di Andrea De Benedetti, che scrive di sport, cultura e società per GQ, D La Repubblica delle donne, Guerin Sportivo e Il Manifesto. "Il libro - si legge nell'introduzione di 'Così non Schwa' nasce dall’urgenza di dare voce a quell’ampia fetta di individui che si riconoscono in valori per brevità definibili come 'progressisti', che nei loro comportamenti sono certamente 'inclusivi', che aborrono l’ipocrisia pelosa di chi, insieme al linguaggio inclusivo, vorrebbe liquidare anche i diritti delle categorie che lo reclamano, ma che al tempo stesso rimangono affezionati a un’idea democratica di lingua, ritengono sproporzionata e fuori fuoco l’attenzione rivolta al linguaggio come principale fronte di  conflitto e terreno di rivendicazioni, e sono un po’ stufi di sentirsi etichettare come vecchi conservatori attaccati ai loro privilegi di  maschi bianchi eterosessuali per il solo fatto di ritenere impraticabili alcune soluzioni e talora pretestuosi i loro presupposti. Piú di tutto, questo piccolo pamphlet serve a ricordare  che la lingua può concorrere a 'creare mondi' ma che le diseguaglianze risiedono essenzialmente nelle cose: nei diritti negati, nelle  discriminazioni, nel gender gap, nella cronica  mancanza di donne in posizioni apicali, nel sessismo quotidiano".

Secondo De Benedetti, in sintesi, l'uso del maschile cosiddetto 'non marcato' o sovraesteso non è necessariamente una forma discriminatoria verso le donne e verso chi non si riconosce in un genere, ma una delle forme convenzionali che la lingua italiana ha adottato nel tempo. E l'introduzione di interventi sulla morfologia e l'ortografia di una lingua sono "operazioni complesse, perché il loro impatto si ripercuote sulla colllettività, perché possono creare disagi, perché a volte generano più problemi di quelli che risolvono". Per l'autore, l'introduzione dello schwa produrrebbe più costi che benefici, più esclusione che inclusione; uno dei problemi sarebbe la pronuncia di un suono che nel Paese esiste solo in alcuni dialetti, "nella convinzione che si possa riformare la morfologia di una lingua partendo dallo scritto"; non secondario il fatto che occorrerebbe rimodulare "tutto il sistema degli accordi e dei rimandi pronominali". 

Il dibattito, ricco di interesse non solo per la linguistica ma per la società e la comunicazione, è tutt'altro che chiuso. Certamente una soluzione la avremo tra qualche anno quando saranno le stesse persone, con l'uso quotidiano di scritti e parole, a trovare il linguaggio più corretto e inclusivo.

 

 

 

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