"In guerra 9 vittime su 10 sono civili". Il libro di Gino Strada racconta l'orrore di ogni conflitto
"Ogni giorno, migliaia di persone soffrono le conseguenze di guerre di cui ignorano le ragioni. Ma allora qual è il senso della guerra, contro chi si sta combattendo, se si dichiara di combattere contro dittatori e terroristi e poi il risultato finale è che nove volte su dieci è un civile a perdere la vita?". La domanda che Gino Strada, medico e fondatore di Emergency, ci ha lasciato pochi mesi prima di morire risuona oggi drammaticamente attuale. Strada, scomparso lo scorso 13 agosto a 73 anni, non aveva idea che da lì a pochi mesi l'Europa si sarebbe trovata una nuova sanguinosa guerra alle sue porte. L'ennesimo, insensato conflitto in cui le vittime sono in gran parte civili, molto spesso bambini e bambine. Esattamente come in tutte le altre. Gino Strada ha dedicato la sua vita proprio alle vittime di ogni conflitto tanto che la sua vicenda personale non può essere raccontata senza parlare di Emergency, l'ong che ha voluto e fondato 28 anni fa. A questa storia Gino ha dedicato le sue ultime energie in "Una persona alla volta", pubblicazione appena arrivata in libreria per Feltrinelli. "Non un'autobiografia – precisa Strada nell'introduzione del libro curato da Simonetta Gola, la donna che ha sposato pochi mesi prima di morire - ma quello che ho capito guardando il mondo dopo tutti questi anni in giro".
L'infanzia a Sesto San Giovanni, la "Stalingrado d'Italia"
Luigi Strada, Gino, nasce a Sesto San Giovanni, comune operaio a pochi chilometri da Milano, in una famiglia dove si imparano presto i valori della libertà e dell'antifascismo: "L'importanza del lavoro, la dignità, la solidarietà verso i vicini – scrive - l'idea di far parte di una comunità e che quindi in qualche modo alla comunità si dovesse rendere conto dei propri comportamenti erano pane quotidiano a casa mia". E' il primo laureato della famiglia, e dopo gli studi in Medicina sceglie di specializzarsi in Chirurgia d'urgenza con Vittorio Staudacher, che a Milano aveva fondato il promo reparto di Chirurgia d'urgenza in Europa. Grazie al suo professore Strada coglie la possibilità di studiare e approfondire la materia negli Stati Uniti ma rinuncia a questa possibilità e torna in Italia: "Che senso ha – si domanda - praticare la medicina in un Paese dove per potersi curare la gente deve tirare fuori la carta di credito?".
Negli ospedali dell'orrore
"Avevo frequentato una delle scuole di specialità più autorevoli d’Italia e avevo studiato i trapianti cuore-polmone in due delle migliori università al mondo. Esperienze importanti, tecnicamente solide, ma niente che mi avesse preparato davvero a ritrovarmi in un ospedale per feriti di guerra dall’altra parte del mondo". E' il 1989, Gino Strada è alla sua prima esperienza lontana dalla sanità occidentale, si trova in Pakistan, a Quetta, vicino alla frontiera con l'Afghanistan in un ospedale gestito dalla Croce Rossa. E' qui che incontra l'orrore: decine e decine di bambini feriti e mutilati dalle mine-giocattolo costruite dall'Unione Sovietica e non solo. "Armi per colpire bambini. Pensate, progettate, costruite per loro. Usate per loro, intenzionalmente. Tutto ciò e disumano, mostruoso". Dopo il Pakistan arriva per Strada nel 1991 un'altra drammatica esperienza, l'ospedale di Kabul, 150 posti che diventavano anche 700 a seconda dei giorni. I bambini sono tanti, troppi: i registri della struttura dicono che su dieci feriti tre sono bambini, gli altri donne e anziani; solo il 7 per cento sono combattenti. Da qui l'ennesima, drammatica constatazione che in un conflitto è più sicuro imbracciare un fucile che cercare di sopravvivere. "Avevo prima di allora un'idea diversa della guerra. […] Se nove vittime su dieci sono civili, però, non è più la stessa guera, non si dovrebbe chiamare tale". E non succede solo in Afghanistan, ma in tutti i conflitti in tutto il mondo: la prima guerra mondiale ha fatto tre milioni di morti tra i civili, la seconda tra i 60 e i 70 milioni; dal secondo dopoguerra contiamo 265 conflitti interni o internazionali con oltre 25 milioni di vittime. Sempre, ovunque, a pagare sono i più fragili, le persone comuni.
Emergency, cure d'eccellenza per le vittime delle guerre
Verso la fine del 1993 Teresa Sarti accoglie con apparente indifferenza il sogno del marito Gino di dare vita a una organizzazione per feriti di guerra. "Sentite un po' l'idea di Gino, secondo me è impazzito", annuncia una sera a cena ad alcuni amici. Quel progetto folle, pensato senza alcuna idea di come costruirlo, da dove iniziare e soprattutto con quali soldi diventa in pochi mesi una realtà che si materializza in Ruanda, un paese dell'Africa centro orientale sconvolto dalla guerra civile. E' il 1994, e dopo le prime spese autofinanziate dai fondatori di Emergency inizia per Gino e Teresa un momento di grande impegno: bisogna raccontare agli italiani cosa succede nel resto del mondo e in particolare nei paesi più poveri, devastati dai conflitti e affamati da politiche inique e disumane. Il giornalista Maurizio Costanzo regala a Emergency uno dei palcoscenici televisivi più seguiti e da qui Gino racconta la tragedia delle migliaia di vittime civili dei conflitti, mostra le immagini dei bambini dilaniati dalle mine e fa nomi e cognomi, anche italiani, di chi quelle armi le produce e le vende. Da questo momento Emergency raccoglie donazioni importanti e anche un preciso impegno dell'allora Governo Berlusconi per una moratoria internazionale sulle mine antiuomo, approvata nel 1997.
“Il volto della guerra è un uomo stravolto dalla sofferenza”
Cambia la lingua, la religione, le tradizioni ma l'impegno di Emergency si moltiplica in 16 paesi ovunque nello stesso modo: cure d'eccellenza gratuite e accessibili, ospedali accoglienti progettati con cura e circondati dal verde, personale preparato ed efficiente. Lo scenario è sempre lo stesso, tragico: feriti per esplosioni, mine, bombardamenti, fucili e mitragliatrici. Uno scenario drammaticamente attuale e vicinissimo a noi, oggi che assistiamo all'invasione russa in Ucraina. "Dopo tutti questi anni di guerra, la sola realtà, la sola verità inoppugnabile è che quello strumento,quella scelta, ancora una volta non ha funzionato - il messaggio di Gino Strada. - Non c’è bisogno di avere principi etici intransigenti, né visioni politiche specifiche, per capire che la guerra come strumento non funziona".