Cuccette per signora è un bel libro di Anita Nair che racconta, in maniera delicata ma approfondita, della situazione della donna in India fino a una ventina di anni fa. Come spiega l’autrice, il titolo deriva dal fatto che, fino al 1998 nella stazione di Bangalore c’erano degli sportelli dedicati alle signore, agli anziani e ai portatori di handicap. Inoltre, sui treni notturni di seconda classe, c’erano proprio degli scompartimenti dedicati alle donne, le cosiddette cuccette per signora.
Akhila, a 19 anni, diventa il capofamiglia
La protagonista è Akhila, prima di 4 figli che, appena 19enne, alla morte del padre eredita il suo posto di lavoro, diventando così il capofamiglia. Questo, nella rigida struttura sociale indiana, significa mettere le esigenze di tutti i componenti della propria famiglia prima dei propri. La madre, i due fratelli, la sorella, tutti devono mangiare, vestirsi, studiare, sposarsi ed è compito suo prodigarsi perché ciò succeda, a costo del sacrificio della sua vita.
Fino a che Akhila, ormai 45enne, non decide di fare una cosa per se stessa: prendere il treno notturno che la porterà in una località di mare. Akhila è sempre sottostata alle rigide regole sociali indiane che non prevedono che una donna possa vivere sola, o che possa autodeterminarsi senza una figura maschile di riferimento, sia essa il padre, il marito o un fratello. Per questo la sua idea di viaggiare da sola nelle cuccette per signora sconvolge persino lei, ma la necessità di indipendenza è più forte di tutto. Infatti, da un po’ di tempo, Akhila ha deciso che vuole vivere da sola, vuole liberarsi dell’ingombrante presenza della sorella minore che, oltre ad essersi piazzata in casa sua con marito e figlie, non solo le manca di rispetto, ma si aspetta anche che continui a mantenerla e, soprattutto, paghi la dote alle sue figlie.
Il personaggio della sorella risulta particolarmente odioso. È una sorta di “grillo parlante” al contrario, rigido tutore delle convenzioni che tengono la donna sottoposta all’uomo, totalmente sorda e insensibile al benessere della sorella maggiore, a cui deve praticamente tutta la sua vita.
Durante il viaggio, tra uno spuntino e un sorso di tè, conoscerà le altre cinque donne che condividono con lei le cuccette per signora.
Può una donna vivere da sola?
A questa domanda, ognuna di loro risponderà raccontando la sua storia. Ci sono la madre di famiglia anziana, la moglie benestante, la professoressa che si vendica del marito tiranno, l’adolescente con le idee ben chiare sul suo futuro, la single a cui è stata devastata la vita per una leggerezza compiuta da ragazza.
Alla fine del viaggio Akhila avrà capito molte cose di sé e ciò la porterà a vivere la sua vita con più consapevolezza e serenità.
La particolarità di Cuccette per signora è che è diviso in 6 parti, in ognuna delle quali una delle signore racconta in prima persona la sua storia. Solo nell’ultima parla Akhila, che tira un po’ le somme dei pensieri delle altre passeggere. Non c’è nessuna interazione durante il racconto, nessun commento delle altre: sono monologhi tramite i quali ogni donna prende coscienza della sua vita.
Questo mi ha dato la sensazione di leggere una raccolta di racconti, più che un romanzo unico. Personalmente, preferisco un romanzo che dipani anche storie diverse ma con un unico filo conduttore, mentre in genere i racconti mi danno un senso di dispersione che rallenta la lettura.
Sei donne, sei storie
Le sei storie in Cuccette per signora non sono legate, se non dal fatto che – indipendentemente dal contesto sociale delle passeggere – narrano tutte situazioni in cui la donna conta poco. Gli uomini che le circondano hanno sempre paura di perdere il predominio che l’indipendenza femminile potrebbe portare. Inoltre ogni sventura è sempre colpa della donna. Insomma, il legame narrativo è dato dalle consuetudini sociali a cui tutte le donne, seppur con risultati diversi, hanno dovuto sottostare.
Sono queste consuetudini che sono le vere protagoniste di Cuccette per signora. Così ho scoperto che c’è un colore giusto del sari a seconda dell’età, o che le cavigliere si portano solo quando si cerca un marito. Ho conosciuto la potenza persuasiva e totalizzante della famiglia indiana, a cui tutto è dovuto senza alcuno spazio per l’individualismo. Un’idea comunque non così distante da quella, altrettanto soffocante, che si ritrova in alcuni contesti nostrani, anche ai giorni nostri.
Soprattutto, ho avuto un assaggio del sistema delle caste in cui è divisa la società indiana che, nonostante siano state ufficialmente abolite dal 1950, regolano ancora ogni minimo dettaglio della vita delle persone.
Akhila, ad esempio, grazie a una sua collega per metà inglese, scopre il gusto delle uova sode e, peccaminosamente, decide di mangiarle nonostante la casta dei Brahmini a cui appartiene non ne faccia uso e, pur non vietandole, trova “disdicevole” mangiarle. Mi ha molto divertita il punto in cui la sorella, scandalizzata, trova le uova in cucina e Akhila, con rinnovata indipendenza, seraficamente le risponde che “a casa sua mangia quello che vuole e se non le sta bene se ne può sempre andare”.
Se devo trovare un punto un po’ artefatto della narrazione, è che le storie finiscono sempre tutte bene e la nuova indipendenza di Akhila le fa cambiare modalità di vita dal giorno alla notte. Il che non dico che non sia possibile ma, in un contesto come quello di Cuccette per signora che vorrebbe avere delle valenze quasi documentaristiche, suona un po’, passatemi il termine, disneyano.
In bilico fra tradizione e modernità
Cuccette per signora, comunque, racconta molto bene la situazione delle donne nell’India in bilico fra tradizione e modernità. È stato scritto nel 2001 e, anche se probabilmente le cose ora sono un po’ diverse, ci fa prendere atto che la strada per l’autodeterminazione femminile in India – e purtroppo non solo lì, vista la cronaca nostrana – è ancora molto lunga. Alla fine, pur trovandolo un po’ lento, mi è piaciuto proprio perché mi ha permesso di conoscere parte di una società che mi è completamente estranea.
Si fa presto a dire “cucina indiana”. Equivale più o meno a dire “cucina europea” e, infatti, ci sono degli ingredienti di base, comuni più o meno a tutto il sub-continente. Ma poi le variazioni sociali, etniche, religiose sono tante e tali che si può mangiare in ristoranti indiani per mesi e assaggiare cose completamente diverse.
In Cuccette per signora c’è un’appendice di gustosissime ricette tipiche dell’India del sud, che è la zona in cui si svolge la nostra storia. Ne sono molto incuriosita ma non ho ancora avuto modo di provarle.
C’è però un piatto popolarissimo che troviamo più volte nominato da Akhila, lo street food più consumato in India da nord a sud, che è anche tra i più conosciuti e apprezzati da noi, oltre ad essere abbastanza semplice da fare in casa: i Samosa.
Si tratta di fagottini triangolari di pasta fritta, o in versione più dietetica cotti al forno (vi prego, friggeteli, è un’altra cosa!), farciti con qualsiasi cosa passi per la mente della persona che li sta cucinando. Quelli classici sono vegetariani, con patate, piselli e spezie varie, tra cui l’imprescindibile Garam Masala, un misto di spezie in vendita nei supermercati più forniti (o su Amazon). Si mangiano bollenti, intinti in una salsa di yogurt e menta. Io li adoro!
Samosa
3 cucchiai di olio vegetale (non di oliva però, ha un sapore troppo caratteristico) 60 gr di cipolla tritata 60 gr di piselli surgelati 600 gr di patate sbucciate, bollite per 10 minuti e tagliate a dadini Zenzero fresco, tritato, 1 cucchiaino Coriandolo in polvere, 1 cucchiaio Cumino in polvere, 1 cucchiaino ¼ (o più, a seconda di quanto vi piace piccante) di cucchiaino di peperoncino rosso in polvere ½ cucchiaino di Garam Masala Sale 4 cucchiai di foglie di coriandolo fresco, tritate Olio vegetale per friggere
Per la pasta: 550 gr di farina 120 ml di olio vegetale ½ cucchiaino di sale 150 ml di acqua tiepida
Per la salsa di accompagnamento: Un vasetto di yogurt bianco Due cucchiai di menta fresca tritata Sale
Come prima cosa preparate la pasta. Mettete la farina e il sale in una ciotola, mescolate bene poi versate l’olio, facendo in modo che venga bene assorbito dalla farina. Quindi, un po’ alla volta, versate l’acqua fino a formare una palla dura. Coprite con pellicola e fate riposare a temperatura ambiente per almeno 2 minuti.
Nel frattempo preparate il ripieno: scaldate i due cucchiai di olio in una padella abbastanza grande e fate saltare la cipolla per circa 3 minuti. Aggiungete lo zenzero e continuate finché la cipolla non si sia ammorbidita. Aggiungete quindi i piselli e le spezie e, dopo altri 5 minuti, le patate e il coriandolo. Salate, mescolate, poi versare il ripieno su un piatto e lasciatelo raffreddare completamente.
Preparate la salsa di accompagnamento.
Prendete un pezzo di impasto, lasciando il resto coperto per non farlo seccare. Stendetelo col mattarello e poi, con un bicchiere largo, ritagliate dei cerchi di circa 7 cm di diametro. Mettete una noce di ripieno al centro di ogni cerchio, poi inumidite i lati e chiudete il cerchio a mezzaluna. Chiudete bene i lati con una forchetta. Scaldate l’olio per friggere in una padella adatta, poi friggete i samosa un paio alla volta, finché siano dorati. Mescolate lo yogurt con la menta e il sale e servite la salsa con i samosa caldi.
L'articolo “Cuccette per signora” di Anita Nair proviene da Cronache Letterarie.