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Niente più "brutto", "grasso" e "matto", così ci si divide sul politically correct: la censura sui libri di Roald Dahl

La casa editrice ha avviato la riscrittura dei libri cancellando parole che suggeriscono sessismo, razzismo e stereotipi. E' giusto riscrivere un libro di decenni fa per adattarlo alla sensibilità contemporanea?

Francesca Mulasdi Francesca Mulas   
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E' giusto riscrivere un libro di decenni fa per adattarlo alla sensibilità contemporanea? Ce lo chiediamo da qualche giorno, da quando cioè il quotidiano inglese The Telegraph ha preso in mano le ultime edizioni dei romanzi di Roald Dahl e ha notato qualche ritocco qua e là. Nulla di sconvolgente, sia chiaro, ma riscritture, sostituzioni, correzioni che rendono il tutto politically correct ai nostri occhi.

Roald Dahl rewritten: the hundreds of changes made to suit a new ‘sensitive’ generation (telegraph.co.uk)

E ci domandiamo se lo scrittore britannico, nato a Llandaff nel 1916 e scomparso a Oxford nel 1990, autore di capolavori per l'infanzia come "Matilda", "Charlie e la fabbrica di cioccolato", "Gli sporcelli" e "Il GGG" sarebbe contento di sapere che in fondo le sue streghe non sono più così brutte, le protagoniste femminili non fanno più mestieri modesti, le donne non sono più "attraenti" ma "gentili", e le ragazzine non leggono Rudyard Kipling ma Jane Austin.

L'operazione è stata giustificata dalla Puffin Book, la casa editrice dei romanzi di Dahl, con un avviso tra le prime pagine dei libri: "Le parole contano – scrivono - Le meravigliose parole di Roald Dahl possono trasportarti in mondi diversi e farti conoscere i personaggi più meravigliosi. Questo libro è stato scritto molti anni fa, quindi rivediamo regolarmente il linguaggio per assicurarci che possa continuare a essere apprezzato da tutti oggi". Il tutto con il consenso della Roald Dahl Company, la società che detiene i diritti d'autore dei suoi libri e che due anni fa è stata acquistata da Netflix.

Dalle streghe alla fabbrica di cioccolato, ecco come cambiano le parole

E dunque ecco il risultato: nella vecchia edizione di "The Witches", romanzo pubblicato nel 1983, si parlava di streghe che indossano parrucche per nascondere la calvizie e guanti per camuffare lunghi artigli ricurvi; nella nuova versione si ricorda che sono tante le ragioni per cui una donna potrebbe indossare una parrucca senza che vi sia nulla di sbagliato.

dalla pagina di The Telegraph

Nello stesso volume, la "chambermaid" (cameriera) diventa "cleaner", parola che indica personale addetto alle pulizie sia maschile che femminile; l'espressione riferita a una donna "che sia cassiera al supermercato o segretaria in ufficio" è sostituita con "che sia una grande scienziata o gestisca una attività". E poi spariscono le parole "fat", "mad", "crazy", "white" e "black" (grasso, matto, pazzo, bianco e nero), che potrebbero suggerire stereotipi sulla salute mentale, difetti fisici o razzismo. Il tutto, secondo quanto riferiscono gli autori dell'articolo del Telegraph Ed Cumming, Abigail Buchanan, Genevieve Holl-Allen e Benedict Smith, con la consulenza di Inclusive Minds, organizzazione che si occupa di iclusione e accessibilità nella letteratura per bambini.

I commenti su Twitter e sui giornali

E dunque la discussione è aperta: è giusto rivedere le pagine di uno scrittore nato oltre un secolo fa, se dalle sue parole potrebbe trapelare razzismo, sessismo, antisemitismo e stereotipi vari?

Questa è la sinistra intellettuale, quella che perde le elezioni e si chiede come mai”, scrive su Twitter l'attore e conduttore televisivo Luca Bizzarri. “Cambiare le parole di un classico perché a qualcuno potrebbero suonare offensive non è censorio, è inutile. Venite in biblioteca: qui conserviamo per sempre gli originali. Per sempre, l'orizzonte e unica misura della letteratura”, commenta Fabiano Massimi, scrittore, traduttore e bibliotecario italiano. “La questione di aggiornare testi come quelli di Roald Dahl per renderli politicamente corretti secondo i canoni attuali dovrebbe essere catalogata tra le idiozie”, scrive Pierfrancesco Maran, assessore alla Casa e Piano Quartieri del Comune di Milano; per la scrittrice e giornalista Lia Celi è “Bizzarro che i sensitivity reader nella Fabbrica di Cioccolato abbiano trovato i riferimenti alla grassezza di Augustus Gloop più urtanti delle sevizie punitive che Willy Wonka infligge a lui e agli altri tre ragazzini”. Per Andrea Spinelli, giornalista, la domanda fondamentale che dovremmo farci è questa: “Ha più senso cambiare le sue parole o contestualizzarle? Nella seconda ipotesi serve impiegare tempo, energia, amore per sedersi coi figli e spiegar loro la complessità. Figli che con le loro domande potrebbero metterci in difficoltà. La prima ipotesi è più facile e rassicurante”. L'editore Marco Cassini rilancia con l'hashtag #riscriviamoli e propone un gioco per la revisione ironica dei grandi classici della letteratura a partire dalla Divina Commedia.

Tra i commenti agli articoli sulla stampa italiana sono tanti quelli che condannano la censura su Dahl, ma si leggono anche interventi che giustificano l'operazione ricordando che i bambini e le bambine non hanno gli strumenti per contestualizzare certe espressioni che potrebbero influenzare la loro visione della società, e che in fondo si tratta di piccoli cambiamenti che non portano svantaggi ma solo benefici per i lettori e le lettrici più giovani.

E l'autore cosa penserebbe?

Non sapremo mai cosa pensa di tutto questo Roald Dahl. Sappiamo però che anni fa, quando i suoi libri vennero accusati di antisemitismo, la sua collaboratrice Amalia Foster dichiarò: “Dahl era un tipo particolare. Avrebbe odiato tutto ciò che oggi è politicamente corretto".

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