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Celestia di Fior, la graphic novel che ci ricorda di meravigliarci

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Celestia di Fior, la graphic novel che ci ricorda di meravigliarci

“La grande invasione è arrivata dal mare. È risalita verso nord, lungo la terraferma. Molti sono fuggiti, alcuni hanno trovato rifugio su una piccola isola della laguna. Un’isola di pietra, costruita sull’acqua più di mille anni fa. Il suo nome è Celestia.”

L’artista

Si apre così, con questa premessa vagamente sinistra, Celestia, la graphic novel in due volumi di Manuele Fior. Fumettista e illustratore, originario di Cesena e laureato in architettura a Venezia, Fior è un artista dal tratto inconfondibile, caratterizzato da una spiccata inclinazione alla sperimentazione tecnica. Le sue tavole, le sue illustrazioni, si dissolvono solitamente in campiture eteree, con palette brillanti o cupe di straordinario fascino.

Lo stile

Tavole che in Celestia si fanno particolarmente liquide e sfuggenti, in una perfetta corrispondenza con l’ambientazione lagunare dominata da cielo e mare mutevoli. Le tavole sono organizzate con un numero variabile di vignette, a seconda delle necessità narrative, così come gli sfondi possono essere presenti o i personaggi stagliarsi più graficamente contro il bianco del foglio (carta Fabriano, rigorosamente).

L’artista, contrariamente ai suoi personaggi, non sembra perdere mai l’orientamento nel dedalo della sua creazione, mantenendo una linea narrativa chiara e lineare nonostante la chiave poetica e allusiva.

Venezia

Celestia è, ovviamente, Venezia, città che Fior conosce bene per averci studiato: un luogo che sa entrarti nelle vene, che può accoglierti o respingerti a seconda che tu tenga la mano aperta o chiusa, come la sua mappa che pare un incontro fra due mani. Venezia per il fumetto italiano è sinonimo di Hugo Pratt e del suo Corto Maltese che vi si impigriva ma finiva col ritornarvi, fatalmente attratto dal suo mistero. Alcune atmosfere, alcuni rimandi sono inevitabilmente memori di Pratt e in particolare di Favola di Venezia, citata da vicino all’inizio del Libro 1, con le calli, le corti e le parole d’ordine. Ma gli omaggi qui sono solo questo: citazioni, ricordi, quasi dei déja-vù, “l’eco del suo pensiero nella testa di un altro”. Sono presenti, vivi, non imbalsamate riproduzioni.

Le influenze

Del resto sono tante le influenze o, meglio, le appropriazioni, visive prima di tutto, che si possono ritrovare in Celestia e che altro non sono che punti di partenza per personalissime divagazioni. C’è, prima di tutto, come per tanti suoi colleghi, l’influenza di Miyazaki, con i paesaggi vuoti e le costruzioni labirintiche, l’attenzione per l’ambiente e una certa nota surreale che si insinua in situazioni apparentemente “normali”.

C’è un gruppo di telepati guidati da un “dottore” che potrebbe far pensare agli X-Men della Marvel, ma il dottore in questione si chiama Vivaldi, assomiglia fisicamente a Stravinskij (che guarda caso è sepolto proprio a Venezia) e ha un figlio che si chiama Pierrot. Pierrot è un poeta, un telepate ed è anche un po’ chiaroveggente, ma soprattutto è scorbutico e scostante, anche se molto generoso e a suo modo timido.

Nella sua casa è appesa la riproduzione di un quadro di Paul Delvaux, il pittore surrealista belga celebre per le ambientazioni architettoniche vuote in cui posizionava figure femminili bellissime ed enigmatiche. Frequenta un bordello in cui una delle prostitute sembra uscita da un’opera di Egon Schiele e l’altra si muove con silenziosa sensualità come una più matura fanciulla di Balthus.

Ma c’è una sola persona in grado di penetrare la sua corazza, e quella è Dora: la più potente dei telepati del gruppo del dottor Vivaldi. Come Pierrot è una forza eccentrica rispetto agli altri, cerca il contatto ma al tempo stesso ne rifugge. Dall’isola, con le sue calli, le sue citazioni di Venezia letterali o reinventate, Pierrot e Dora fuggono verso la terraferma, misteriosa, disabitata, sede di edifici all’apparenza impossibili.

L’architettura

Ma Fior ha una formazione da architetto e quindi anche queste costruzioni sono riletture di edifici reali. Come il castello nel Libro 1 o la casa della nonna nel Libro 2: altro non sono che omaggi alle visionarie creazioni del geniale architetto catalano Ricardo Bofill, rispettivamente La Muralla Roja e Xanadù, entrambe a Calp, in Spagna.

Fior mette in Celestia tutte le sue passioni e le rielabora poeticamente, conducendo il lettore in un viaggio attraverso atmosfere rarefatte ma mai cupe. Gli orizzonti si aprono nel fondersi delle acquarellature o si chiudono nei notturni fra le calli invase dall’acqua. I personaggi si stendono al sole o si battono violentemente al buio, ma sempre si ha la sensazione che ci sia altro. Qualcosa di inafferrabile, sospeso fra paura e speranza, tra nostalgia e prospettiva, e che ci risuona con un’evidenza diversa adesso che l’invasione (del virus) è veramente avvenuta e siamo tutti chiusi in tante isole, tanti castelli, con solo le nostre menti ad unirci. Come attraverso un libro un artista parla a tanti lettori, così ora, sfogliando Celestia, possiamo pensare di afferrare quel qualcosa sfuggente e inneffabile:

“L’eco dei pensieri nella mente di ognuno dispersi nell’aria come un saluto.”

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