Audrey Hepburn in Sabrina del 1954
Certamente Jonathan Coe ha confezionato con Io e Mr Wilder (Feltrinelli 2021) uno struggente bildungsroman, abilmente intrecciato alla rievocazione fedele e appassionata di una delle voci più geniali e versatili del cinema, non solo americano.
“Qualunque cosa la vita ci riversi addosso, avrà sempre qualche piacere da offrirci”. (Billy Wilder)
E alla sessantenne londinese Calista Frangopoulos – di origini greche evidenti – la vita ha riservato un incontro irripetibile nel 1976. Quando – alla stessa età che ha sua figlia Ariane in partenza per Sidney – durante una vacanza on the road in America insieme a Till “dai capelli biondo cenere”, l’ha fortunosamente fatta sedere accanto al regista dell’iconico A qualcuno piace caldo, che era intimo del padre dell’amica. Questo pur essendo lei impacciatissima e con una mise fuori ordinanza per un ristorante francese di Beverly Hills, stile Irma la dolce.
Ora, autrice di colonne sonore melodiche in crisi professionale (note meccaniche e sintetizzatori hanno silenziato Ravel e Debussy), Calista è sensibile alla “voragine dei ricordi”.
Strutturato su un’asse temporale multiplo, sapientemente variato fra il 2020, il 2013 e gli anni ‘70, Io e Mr Wilder scandisce la faticosa, esaltante maturazione interiore dell’ingenua, romantica Cal.
Adolescente nell’Atene dei Colonnelli, piegata dalla stagnazione economica e dalla censura, Calista lamenta che ad essere negati erano “i diritti umani fondamentali” che abbiamo oggi ad Internet, ai social media, a download e streaming. Persino l’ascolto della sobria, malinconica, “degenerata” musica classica era tacitato dai ritmi autoctoni, pseudo-folkloristici, di roboanti bande militari.
Io e Mr Wilder
Marilyn Monroe in A qualcuno piace caldo del 1959Billy Wilder ha radi capelli bianchi ben ordinati, occhiali spessi cerchiati di nero, eleganza informale, marcato accento tedesco di ebreo polacco ashkenazita, classe 1906. Ha un’aria cupa, capace di improvvisi scatti di allegria di fronte alle poche situazioni che lo meritano. È cinico ma espansivo se si riesce a comprenderne il sarcasmo e comunque perentorio verso quanti gli si rivolgono in tono eccessivamente serio. Ballerino di professione nella Berlino anni ’20, collezionista autorevole di arte moderna (Schiele, Klimt, Picasso), lo sconosciuto commensale che segnerà il suo futuro – al tavolo con la moglie Audrey Young e il malinconico, imperscrutabile collaboratore storico “Iz” Diamond – è una leggenda in procinto di imboccare un doloroso Viale del tramonto, dopo aver ritratto quello della allucinata, delirante Norma Desmond.
Amareggiato, spiazzato, affranto
Amareggiato dal successo dello Squalo – pesce cartilagineo che fa guadagnare più di Marilyn e Scarlett O’Hara: “del resto il cinema è un’industria, si vince e si perde al botteghino… e comunque meglio gli umani”.
Viale del tramonto, in originale Sunset Boulevard, film del 1950, con Gloria Swanson che interpreta Nora Desmond.Spiazzato inesorabilmente dalla “nuova generazione dei giovani barbuti”, Spielberg, Coppola, Scorsese (il migliore) che demoliscono il sogno americano filmando l’eccesso, la violenza, il sesso.
Intrigato, nonostante tutto, dalla potenza del Padrino – come lo sarà di Schindler’s List – e dalle capacità attoriali di Al Pacino, colpevole di nutrirsi avidamente solo di cheeseburger. Affranto che la sua sophisticated comedy sia appannaggio dei Monty Phyton, o del geniale ma rozzo Mel Brooks, senza più il tocco raffinato e la maliziosa ambiguità mitteleuropea dell’adorato Lubitsch.
Fedora
Shirley MacLaine in Irma la dolce del 1963Wilder sta lavorando con passione disincantata all’ultima sfida di chi ha sempre creduto nella centralità sacrale della sceneggiatura e nella necessità che una pellicola onesta debba “narrare storie” più seducenti e rassicuranti della brutale, scontata quotidianità. E Calista lo seguirà, come interprete, sul set “affollato, adrenalinico, popolato di gente affidabile, reporter, fotografi, passanti, galoppini” di Fedora (1978), il suo penultimo film.
Tratto da un brutto e ridondante racconto noir di Thomas Tryon, è un autodistruttivo, antiquato e barocco melodramma che nessun produttore di Hollywood ha accettato.
“Lì non leggono ogni mattina i Cahiers du Cinèma ma l’andamento del mercato”.
Clone pretenzioso e inverosimile di Sunset Boulevard, narra di un’attrice al declino, sfigurata da un antesignano del make-up chirurgico che spaccia la somigliantissima figlia per se stessa, pur di continuare la carriera. Il film è interpretato da un cast malamente assortito di vecchie glorie (il “gentile e distinto” Henry Fonda accanto all’attempato replicante William Holden) e misconosciute “dive”.
È la figlia o la madre la vera star?
Marthe Keller (la figlia) in tailleur bianco, cappello di paglia e imponenti occhiali da sole? O Hildegard Knef (la madre) che ci mette del suo per fare il verso a Gloria Swanson dopo il rifiuto della Dietrich (loro sì divine)? “Un contrasto sordo e accanito fra le attrici” che non interessò minimamente il gossip.
La promettente e sempre più disinvolta “ragazzina greca” scoprirà che ad essere ostinatamente determinato nel concludere le riprese di un’opera evidentemente autobiografica è proprio il regista de La fiamma del peccato. È lui che, sfregiato dai meccanismi dello star system, si proietta nell’alter ego femminile della decadente Fedora (“I was Fedora”).
Intanto Jonathan Coe dissemina l’intreccio di Io e Mr Wilder commosse citazioni, più o meno subliminali, a capolavori che hanno miracolosamente toccato tutti i generi negli anni ’50 e ’60: dall’Aquila solitaria a Sabrina, dall’Asso nella manica, profetica e impietosa denuncia del giornalismo da
tabloid stroncato dal pubblico, all’Appartamento, con la sua battuta finale, “Stai zitto e da’ le carte”, che tiene testa al memorabile “Francamente me ne infischio” di Via col vento. Sino all’ambizioso, prediletto La vita privata di Sherlock Holmes, massacrato dai tagli del montaggio.
Soprattutto, nell’assolata isola di Leucade, a Parigi, Monaco (le location di Fedora), Calista imparerà ad amare “l’uomo” Wilder. Fra spiagge ancora per poco incontaminate, sontuosi alberghi in cui “le poltrone hanno i cuscini a righe intonati alle tende spesse e pesanti”, brasserie fumose, fattorie francesi, incontri intimi falliti e scoperta della propria vocazione.
Jack Lemmon, Audrey Young (attrice e moglie di Wilder) e Billy WilderDalla Germania nazista esule negli States
Di estrazione, gusti e formazione profondamente europee, il regista è “trionfante e umiliato” dall’ambiguo rapporto con una Germania che “aveva dilaniato la sua famiglia”. Convinto antinazista, nemico di negazionisti camuffati da studiosi, precocemente esule nel ’30 in Francia. Poi andrà nei dorati States insieme a Siodmak, Zinnemann, Peter Lorre, al compositore Rósza.
Jonathan CoeResponsabile nel 1945, per conto del Ministero Alleato dell’Informazione, di un documentario verità sui campi di concentramento durante la liberazione. Wilder è alla ricerca di una madre mai rimossa, cadavere fra i cadaveri in una fossa di sterminio.
Chissà se Mrs. Frangopoulos si è resa conto di assomigliare molto, nei risvolti maturi della propria vicenda di donna e musicista affermata, al mito della sua “educazione sentimentale”. Certamente il viale del tramonto, improvvisamente spalancatosi anche dinanzi a lei, non intende percorrerlo. E l’esito finale di Io e Mr Wilder – complice un ispirato, redivivo Coe – avrà l’imprevedibilità e la leggerezza di una commedia da Maestro.
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