Mia madre, la punk di famiglia con la gonna strappata sul sedere: “Niente è vero” sbanca, dal premio Strega a quello di Viareggio
"Niente di vero" è stato premiato nella categoria narrativa: è un romanzo di ricordi, aneddoti e storie non necessariamente autobiografiche
![Foto da Ansa](/export/sites/cultura/.galleries/22/TISCALIANSAFOTO_20220801154624695_2c4f6ab25ae51ea4eb49120f211a9ec0.jpg_613881476.jpg)
"Mia madre è sempre stata la vera punk di famiglia. Cosa potevo dimostrare io a 15 anni con le mie calze a rete strappate se lei girava con la gonna completamente aperta sul culo? Se provavo a farglielo notare mi rispondeva 'ah, è arrivata la principessa sul pisello'". E' uno dei passi più divertenti da "Niente di vero", l'ultimo libro della scrittrice romana Veronica Raimo pubblicato da Einaudi che, dopo aver conquistato il Premio Strega Giovani e la finale del Premio Strega ha vinto ieri il Viareggio–Rèpaci, riconoscimento tra i più prestigiosi per la letteratura italiana giunto alla sua 93esima edizione: un nuovo successo per Raimo, che conquista ancora una volta lettori e critica con un lavoro ironico, dissacrante e a tratti spietato.
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Il libro, fruibile oggi anche nella versione audio con la bella voce di Cristina Pellegrino, procede in forma “destrutturata”, come ha sottolineato la stessa autrice, attraverso aneddoti, ricordi e storie non in ordine cronologico. Un “romanzo di formazione”, come è stato definito, dove di formativo c'è ben poco: la storia di Veronica, Verica come la chiama sua madre, è estremamente realistica e densa di vita vissuta anche nei suoi tanti momenti di disagio, sofferenza, imbarazzo. Chi legge viene travolto da una mamma ansiosa e ingombrante, un padre che spaventa le amiche della figlia con il suo tono di voce perennemente arrabbiato, un fratello colto e saggio fino alla noia, una protagonista che per sfuggire alle situazioni difficili inventa balle. Sin da quel primo episodio, all'età di otto anni, Veronica è stata costretta a mentire rubando due dipinti creati a scuola da studenti più grandi di lei, per non deludere le aspettative familiari, così come ha mentito nella sua prima fuga da casa, nel rapporto con le amiche di infanzia, nelle lettere scritte a parenti, compagni e amici.
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Il risultato, alla fine del romanzo, è una domanda sola: cosa c'è di vero nelle incredibili vicissitudini della famiglia Raimo, nel piccolo appartamento che il padre ha trasformato in un quadrivano aggiungendo muri e tramezzi ovunque ("un certo periodo della mia infanzia la mia cameretta è esistita solo di notte, di giorno tornava a essere un corridoio, la sera quando dovevo andare a dormire tiravo due porte a soffietto e buttavo giù un pezzo di muro che in realtà era un letto ribaltabile"), nelle afose estati pugliesi da nonna Muccia, nelle malattie curate con rotoli di scottex e in un'infanzia costretta tra quattro mura per la paura di germi e microbi? Ma in fondo cosa ci sia di vero nelle pagine di Veronica Raimo, tanto ricche e incalzanti, non è così importante, perché resta una lettura intelligente e divertente, dove la sofferenza è raccontata con rasserenante distacco e dove anche le delusioni più amare sono vissute con ironia, vere o presunte che siano.
"La memoria per me è come il gioco dei dadi che facevo da piccola - leggiamo in 'Niente di vero - si tratta solo di decidere se sia inutile o truccato"