La guerra tecnologica tra Cina e Usa, senza missili. Chi vince, vince il dominio del XXI secolo. Il libro
La Cina è il nuovo centro manifatturiero del mondo. L’Occidente non lo è più. Washington e Pechino sono in guerra. Il fronte è la tecnologia. Chi vince a questo grande gioco, vince il dominio del XXI secolo

Chi conquisterà l’egemonia sul XXI secolo? Cina o Usa? E' la domande a cui cerca di dare una risposta Alessandro Aresu, consigliere scientifico della rivista “Limes”. Ha lavorato per diverse istituzioni, tra cui la presidenza del Consiglio, il ministero dell’Economia e delle Finanze, il ministero degli Affari esteri, l’Agenzia spaziale italiana. Ne Il dominio del XXI secolo uscito per Feltrinelli racconta storie, avventurose, ciniche e geniali, e ci guida attraverso una mappa fatta di dipendenze e ricatti, strategie e colpi di scena. Per la prima volta diviene possibile decifrare il grande gioco della guerra tecnologica.
Si parla dunque di una guerra invisibile che si combatte fra la Cina e gli Stati Uniti e riguarda da vicino ciascuno di noi.
Per esempio ha fatto entrare nella nostra vita quotidiana temi oscuri come i semiconduttori, il litio e il cobalto. Taiwan è diventata l’isola più importante del pianeta, mentre Washington impedisce alle stesse aziende americane di vendere prodotti in Cina, attraverso sanzioni sempre più sofisticate. Il territorio che deciderà il destino di questo secolo è la tecnologia.
Dalle comunicazioni all’energia, il digitale pervade ogni settore industriale. Gli investimenti di tutti i maggiori attori globali sono concentrati qui. Ogni smartphone, ogni sensore, ogni auto dipende dall’evoluzione continua e avveniristica, quasi magica, dei semiconduttori. Contemporaneamente, lo stoccaggio delle energie rinnovabili e l’ascesa della mobilità elettrica, la cui componente principale è la batteria, avranno conseguenze profonde su numerosi settori industriali. Soprattutto su quello automobilistico, essenziale per l’economia e la società dell’Europa, degli Stati Uniti e di molti altri paesi. Ci saranno vincitori e vinti. Già oggi il baricentro industriale del mondo non è più l’Occidente. È l’Asia il centro manifatturiero della Terra: qui è prodotta gran parte degli oggetti che compongono il nostro futuro tecnologico.
Chi sono i protagonisti di questa guerra? Non solo uomini di governo, ma anche ingegneri, ricercatori, assemblatori, imprenditori: persone che plasmano la vita invisibile del pianeta.

Ne abbiamo parlato con l'autore a cui abbiamo posto alcune domande:
C'è una guerra reale, fatta con missili e carri armati al confine dell'Europa tra Ucraina e Russia. Ma poi ce n'è un'altra invisibile e combattuta a colpi di tecnologia, quella tra Usa e Cina? Quale fa più paura? Quale condiziona maggiormente le nostre vite?
La guerra ai confini dell’Europa oggi catalizza maggiormente l’attenzione pubblica, com’è naturale, e ha effetti profondi sull’energia, sugli aspetti militari, sull’identità degli europei. Ma la competizione tra Stati Uniti e Cina è la questione fondamentale del nostro tempo perché la Cina è l’unico vero avversario degli Stati Uniti. L’attenzione di Washington rimane comunque più su questo ambito rispetto agli altri conflitti, e lo dimostrano tutti i principali documenti dell’amministrazione Biden, che sono volti ad aumentare l’attenzione sulle filiere tecnologiche. L’allargamento della sicurezza nazionale sull’alta tecnologia è senza dubbio la priorità degli Stati Uniti e continuerà a esserlo.
Chi ha più possibilità di vincere e perché?
Per rispondere, dobbiamo anzitutto capire che la situazione della Cina e degli Stati Uniti è molto diversa nei principali ambiti della competizione tecnologica e industriale. Nel mio libro, cerco di raccontare queste differenze attraverso le storie delle personalità e delle aziende che animano questa competizione. Per esempio, io descrivo la crescita cinese in quello che riguarda la transizione ecologica, come i pannelli solari e le batterie che sono al centro della mobilità sostenibile. Ci troviamo davanti a intere filiere che vedono la Cina in un ruolo dominante. È quindi importante capire come questa ascesa sia stata possibile, e anche capire il funzionamento di queste filiere, in cui i protagonisti cinesi sono emersi sostanzialmente dal nulla. Pensiamo al sistema complesso di materie prime, al loro trattamento, alle tecnologie e alle economie di scala che stanno dietro l’auto elettrica. Anche il percorso cinese nell’aerospazio è stato notevole negli ultimi vent’anni. Per quanto riguarda i semiconduttori, che sono i “mattoncini” di tutta la nostra vita digitale e di interi settori industriali, dagli smartphone alle automobili, la Cina – al contrario di quanto spesso si crede – invece non è riuscita a raggiungere i suoi obiettivi. Il governo cinese si è dato letteralmente degli obiettivi e non li ha raggiunti, anzi, è molto lontano dai traguardi che si era dato. E questo ha già conseguenze profonde. Inoltre, la Cina non ha un sistema di alleanze in grado di sostenere le sue ambizioni sulla cooperazione tecnologica. La Cina ha una convinzione molto radicata, e presente negli intellettuali più influenti del Partito Comunista, che il sistema degli Stati Uniti sia “malato”, destinato a crollare, seppellito dal disordine incapace di sostenere una competizione con chi pensa nel lungo termine, come effettivamente fa la Cina. Quest’ultima, fissata sulle debolezze dell’avversario, rischia di dimenticare le proprie, in una stagione economica diversa da quella della crescita sostenuta degli ultimi quarant’anni. Una stagione in cui gli Stati Uniti sono passati decisamente al contrattacco, lavorando sulle alleanze, sulle politiche industriali e sulle sanzioni per arrestare la corsa tecnologica cinese.
L'incontro al G20 tra Biden e Xi (e quell'energica stretta di mano) che significato ha?
Significa che, anche in mezzo a una competizione molto accesa, tra le due principali potenze mondiali continuano a esserci canali di comunicazione, e questo è positivo. Ma le foto dei leader hanno sempre un significato relativo. Gli incontri non implicano che i temi siano veramente affrontati o tantomeno risolti. Facciamo un esempio concreto. Leader come Biden e Xi Jinping si incontrano e dicono “dobbiamo collaborare sui cambiamenti climatici”. La realtà è che anche quella collaborazione è molto ridotta, perché le posizioni sono diverse, perché nei comunicati internazionali si scrivono spesso impegni che non si rispettano, e perché entrambi i paesi riconoscono il pericolo dei cambiamenti climatici ma allo stesso tempo sono impegnati alla competizione sulle industrie e le tecnologie che li coinvolgono, per trarre vantaggi dalla situazione.
Taiwan è l'isola più importante al mondo, oggi?
Sicuramente Taiwan è uno dei luoghi decisivi del nostro pianeta, per due ragioni principali. La prima è che, in estrema sintesi, il suo status è incerto e problematico. La Repubblica Popolare Cinese rivendica l’isola come parte della Cina, la maggior parte dei Paesi riconoscono diplomaticamente la Repubblica Popolare Cinese come rappresentante legittima della Cina, ma Taiwan (Repubblica di Cina) ha relazioni di fatto con gli altri Stati, oltre che coi pochi con cui c’è un riconoscimento diplomatico ufficiale. Il secondo fattore è l’enorme successo di Taiwan nella tecnologia, e in particolare l’avanzamento compiuto da questo popolo di poco più di 20 milioni di persone nell’industria dei semiconduttori, grazie alla straordinaria avventura imprenditoriale di un’azienda, Tsmc, e del suo fondatore, Morris Chang, la cui storia racconto nel mio libro. Questo successo è stato visto in passato come un elemento di interdipendenza in grado di ridurre le tensioni con la Cina, visto che le stesse aziende cinesi sono tra i clienti di Tsmc. In realtà è anche un rischio, rispetto al quale si sente il bisogno di diversificare, perché la capacità di calcolo mondiale dipende troppo da uno stesso posto. Uno sviluppo violento della vicenda di Taiwan, con un’invasione cinese, sarebbe davvero molto grave per il pianeta, e dobbiamo tutti esserne consapevoli.
Che ruolo gioca l'Europa? (Se ha un ruolo...)
Nei semiconduttori, l’Europa ha un ruolo rilevante, soprattutto nei centri di ricerca e nelle aziende di alcuni segmenti. Parlo di “segmenti” perché una delle cose più importanti da capire della guerra tecnologica è che per giungere, per esempio, ai chip che sono presenti in uno smartphone, c’è il coinvolgimento di tantissimi componenti, di tantissimi paesi, di centinaia di aziende. Uno dei passaggi più importanti per l’industria riguarda alcuni macchinari, per cui è essenziale il ruolo di un’azienda dei Paesi Bassi, ASML, che produce anche macchine da 100-150 milioni di dollari l’una, grazie all’aiuto soprattutto di due aziende tedesche, Zeiss e Trumpf. Insomma, nel senso in cui “tutti dipendiamo da tutti”, allora l’Europa ha senz’altro un ruolo perché ci sono chiaramente cose che fanno gli europei e che altri attualmente non possono fare. D’altra parte, ci sono altri segmenti, come il design e la fabbricazione dei chip avanzati, in cui gli europei sono molto deboli. Poi, più in generale, in quanto europei dobbiamo considerare che le nostre popolazioni invecchiano, e quindi più difficile convincere le persone a investire in industrie importanti e molto complicate, che sono in un certo senso “invisibili” e non si vedono come per esempio le facciate dei palazzi ma che sono molto più importanti delle facciate dei palazzi. Nell’invecchiamento europeo, c’è un flusso minore di tecnici preparati e di ingegneri che possono sostenere le capacità avanzate. Infine, nella competizione tecnologica c’è anche un elemento militare, su cui i Paesi europei sono più deboli di altri, sono meno preparati e disposti a investire rispetto anche ai loro vicini, come cerco di illustrare con l’esempio della Turchia e della sua industria dei droni. Pertanto, la posizione dell’Europa non è semplice e si trova davanti a scelte difficili, che non potranno accontentare tutti.
La guerra anacronistica di Mosca è l'ultimo atto di una Russia che non conta più nulla?
In termini di potenza tecnologica e capacità di mercato, l’importanza della Russia è molto minore di quello che normalmente si crede, perché la sua dipendenza dall’energia non è stata mai superata. Questo significa che in Russia, come del resto in molti altri Paesi, non ci sono per esempio aziende avanzate nei semiconduttori, nelle batterie, nei droni, e se ci sono sanzioni e controlli alle esportazioni che riducono l’accesso a materiali molto avanzati, queste misure mettono in vera difficoltà. Le barriere d’ingresso sono molto elevate, quindi non c’è letteralmente alcuna possibilità di inventare queste capacità da un momento all’altro.
A suo parere il giornalismo italiano ignora questi temi? Non dà loro lo spazio che meritano sui quotidiani?
Per quanto riguarda la Cina e l’Asia, il giornalismo italiano ha firme e voci di grande qualità, sia tra gli inviati che tra i commentatori: questo è vero soprattutto nelle nuove generazioni, dai quarantenni in giù. Quindi il problema non è la presenza di competenze italiane, ma al massimo il fatto che non vengano riconosciute abbastanza nei ruoli più importanti. Questo però realisticamente è dovuto anche alla struttura dell’industria giornalistica, alle opportunità sempre più ridotte rispetto al passato, soprattutto se si resta sulla lingua italiana. Per quanto riguarda la tecnologia, il problema è più complesso, e riguarda la cultura scientifica e tecnologica dell’Italia, che secondo me è troppo bassa a tutti i livelli, e ciò comporta una sottovalutazione di quegli studi e della loro importanza. Quindi c’è un problema culturale molto profondo: anche per colpa delle persone che come me hanno una formazione inizialmente umanistica, tendiamo a sottovalutare gli aspetti tecnici quando affrontiamo alcuni argomenti. Compresi gli argomenti di politica estera, che attirano grande attenzione e passione. Io sento invece il bisogno di persone che spieghino di più il funzionamento di satelliti, semiconduttori, carri armati, gasdotti, cavi sottomarini e molto altro, anche per capire questi aspetti materiali e molto interessanti delle nostre vite. Sono convinto che sia una responsabilità civile portare maggiore attenzione, a tutti i livelli, per gli studi tecnici e scientifici, perché aiutano a capire la struttura profonda del mondo.
Alessandro Aresu (Cagliari, 1983) ha studiato filosofia all’Università San Raffaele con Massimo Cacciari, Enzo Bianchi e Guido Rossi. Con quest’ultimo si è laureato con una tesi sulla storia filosofica del capitalismo, ed è stato suo assistente di ricerca, approfondendo i temi economico-finanziari e la storia del capitalismo italiano, e curando il libro Perché
filosofia (Milano, 2008).
È direttore scientifico della Scuola di Politiche, il principale progetto di formazione gratuita sulle politiche pubbliche rivolto ai giovani italiani. Ha svolto lezioni e seminari presso numerose università italiane e straniere, tra cui la Yale Law School. Dall’anno accademico 2018/2019 insegna anche presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici, di cui è consulente. È inoltre consigliere della Fondazione Verso L’Europa e membro dello YLC del Consiglio Italia-USA. È consigliere scientifico di “Limes”, la principale rivista italiana di geopolitica e questioni internazionali, per cui scrive dal 2007. Per “Limes” ha redatto numerose analisi sulla storia del capitalismo e dell’impresa in Italia, sulla storia istituzionale, sulle politiche industriali e tecnologiche, sui rapporti tra Italia e Francia. Svolge inoltre consulenza geopolitica per società internazionali.
Ha acquisito un’esperienza distintiva operando come consigliere, consulente e speechwriter per alcune Istituzioni italiane governative e finanziarie: la Presidenza delConsiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, la Cassa Depositi e Prestiti, Mediocredito Centrale, il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. È stato inoltre, da ottobre 2014 a maggio 2018, consigliere d’amministrazione dell’Agenzia Spaziale Italiana.
È autore di articoli in quotidiani e riviste, tra cui “la Rivista delle Società” e “Nuovi Argomenti”, nonché autore e curatore di diversi volumi tra cui L’interesse nazionale. La bussola dell’Italia (il Mulino, 2018), scritto con il diplomatico Luca Gori. Il suo prossimo libro sarà pubblicato nel 2019 da La Nave di Teseo nella collana diretta da Massimo Cacciari e Natalino Irti.