Il neurobiologo che restituisce la parola alle piante: la lezione green di Stefano Mancuso
La missione dello scienziato che ha rimesso il "verde" al centro del pianeta e nel suo ultimo libro racconta le fantastiche avventure de "La tribù degli alberi"
Stefano Mancuso è veramente un essere speciale. Tanto che si fa fatica a definirlo. Più di un botanico, più di un saggista, più di uno scienziato, di certo una somma brillante di talenti e intuizioni. Mancuso ha mille saperi e infinite qualità ma la principale è il grandissimo amore per il mondo "verde". Che studia, divulga e ci racconta con una passione ammirevole. Professore all’Università di Firenze e all'Accademia dei Georgofili, dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale e inventa cose mirabolanti. Tra le tante La fabbrica dell'aria ovvero "una sorta di serra domestica che contiene piante tropicali sempreverdi a foglia larga. Una canalizzazione insuffla l’aria all’altezza delle radici, la pianta l’assorbe e la rilascia purificata attraverso le foglie". Oppure la Jellyfish Barge, altra serra, ma galleggiante che dissala l'acqua marina utilizzando l'energia solare e attraverso la coltrivazione idroponica garantisce verdura e frutta a centimetro zero.
Per Mancuso le piante sono creature sociali, intelligenti, capaci di dialogare e di muoversi. Al mondo vegetale ha dedicato libri che sono dichiarazioni d'amore: Plant Revolution, La Nazione delle piante, L'incredibile viaggio delle piante, Botanica, Verde Brillante. L'ultima opera va oltre la saggistica ed è pura narrativa. Si intitola La tribù degli alberi (Einaudi, pagg. 181, euro 17). Una sorta di fiaba formidabile per i bambini ma soprattutto necessaria per gli adulti. Si narra la storia di un vecchio tronco - Laurin, il piccolo - e della sua comunità sparpagliata tra radici e chiome al vento in un territorio che si chiama Edrevia. Ci sono gli alberi del gruppo Cronaca, i Dorsoduro, i Guizza, i Terranegra e i rissosi, temibili Gurra. Tutti "cercano sottoterra ma per guardare il cielo. Si studiano, si somigliano, si aiutano", fanno feste, cacce al tesoro dove il premio è una zolletta di zucchero, si osteggiano, ma poi sanno come sostenersi a vicenda, fusto accanto a fusto, foglie su foglie. Una parabola dedicata a un mondo indispensabile e parallello, quello della natura, che maltrattiamo, uccidiamo, distruggiamo mentre ci salva la vita.
In un'intervista ad Avvenire del 2021 Mancuso ha spiegato - dati scientifici alla mano - che per ridurre la quantità di CO2 nell’atmosfera e il surriscaldamento globale servirebbe una riforestazione intensiva in grado di catturare il carbonio. "Negli ultimi due secoli abbiamo tagliato duemila miliardi di alberi. Una scelta scellerata che sta uccidendo anche la biodiversità - segnala -. Sappiamo che nel 2070 non ci saranno più pesci al di fuori di quelli allevati". Secondo uno studio dell’università di Cambridge citato dallo stesso Mancuso, infatti, l’80% degli animali che vivono sulla Terra è bestiame da allevamento, mentre 1'85% degli uccelli è pollame per uso alimentare.
“Bisogna applicare una vera e propria conversione biologica”, ammonisce perché "gli alberi sono i depuratori d'aria del nostro Pianeta: il ‘dispositivo’ più efficace che abbiamo per estrarre il carbonio dall'atmosfera. Negli Stati Uniti, ad esempio, le foreste catturano e immagazzinano quasi il 15% delle emissioni annuali di anidride carbonica, equivalente alle emissioni di 163 milioni di automobili all’anno”. Da qui la campagna One trillion trees del World economic forum che mira al ripristino e alla piantumazione di foreste, per arrivare a quota mille miliardi di nuovi alberi entro il 2050.
Ci riusciremo? Ce lo auguriamo con Stefano Mancuso che di par suo continua a raccontarci le meraviglie del pianeta provando così a difenderlo dalle violenze degli uomini. Non è un caso che il professore abbia stilato La carta dei diritti delle piante, una specie di Costituzione per tutti gli esseri viventi. Per esempio all'articolo 1 si legge: "La Terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene a ogni essere vivente". Insomma dovremmo finalmente imparare a piantare un albero, un fiore e attraverso un gesto semplice, atavico, ricominciare a nutrire quel rispetto universale che trasforma le nostre private solitudini in un territorio collettivo. Come nel caso degli "abitanti" di Edrevia che la sera si spartiscono i compiti per osservare il cielo. Scrive Mancuso ne La Tribù degli alberi: "Di ogni tramonto esiste un dettagliato resoconto da millenni: il colore, la durata, la trasparenza della luce, la presenza o meno di nuvole, il decorso del crepuscolo. Tutto è stato catalogato con attenzione negli sterminati archivi dei clan (....) e io ero felice di far parte di una comunità per la quale nessun tramonto scompariva invano".
Pensate che bellezza: nessun sole che sparisce invano nella notte grazie ai nostri sguardi, al battito di cuore planetario che finalmente ci unisce, figli e figle del medesimo mondo, sotto lo stesso immenso cielo.