Pacifico: "Io e la mia famiglia di barbari". Quando l'apparecchio per i denti lo si comprava a rate"
Un romanzo toccante e divertente, capace di raccontare l'estrema povertà ma anche l'etica del lavoro. E soprattutto di restituire attraverso la lente di uno sguardo tenero l'Italia che fu, quella della ricostruzione e degli emigranti, "i barbari" appunto. Un romanzo dovuto alla madre e a se stessoo
"Una storia breve, solo la parte lieta, la schiuma in cima, non il torbido in fondo al bicchiere"
Non solo autore di canzoni intense, cesellatore attento di termini e sentimenti capaci di aprirsi un varco emotivo e di fotografare stati d’animo che spesso restano in ombra. Ne sono esempio brani come “Ti penso e cambia il mondo” affidato alla voce di Celentano o “Sei nell’anima” come grida ruggente Gianna Nannini, ma anche tanti brani portati al successo da Ornella Vanoni, Samuele Bersani, Malika Ayane e da lui stesso. No, Pacifico, nome d’arte di Gino De Crescenzo, è anche uno scrittore. Non un cantautore capace di raccontare la sua storia ma un vero romanziere. E prova ne è “Io e la mia famiglia di barbari”, gioiello editoriale sfornato dalla fucina di Elisabetta Sgarbi e della sua nave di Teseo. Un tuffo nell’Italia che fu, nell’anima vera di questo Paese, un tempo povero ma pieno di volontà ed entusiasmi. La famiglia di barbari del titolo è ovviamente la sua, una famiglia stramba come lo sono tutte se vengono scrutate da uno sguardo insieme tenero e disincantato, quello che Pacifico restituisce al sé bambino prima e giovane uomo poi.

Una famiglia di emigranti che come milioni di altri, dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale, negli anni Sessanta fece il grande salto verso il Nord teatro di un’industrializzazione fatta di fabbriche e capannoni dove mancavano però le braccia. Quelle che ci mise suo padre Guido, sua madre Pia e tutta la famiglia proveniente dalla Campania, una specie di armata Brancaleone che Pacifico passa “nel setaccio della mia memoria bucherellata”. Un setaccio che non tace i momenti neri, le imprudenze, le difficoltà ma che trattiene soprattutto i fantasmi buoni, le facce amate, i momenti minimi ed intimi descritti con una accuratezza che svela l’affetto e il rispetto senza esprimerli in maniera conclamata. D’altra parte la madre Pia era una bimba rimasta senza genitori a sette anni e cresciuta in un orfanotrofio nella povertà più assoluta quella che ti fa staccare le zampe da un granchio per provarne a suggerne il sapore o quella che ti fa fare dispetti alle altre bimbe, che la domenica ricevevano visite e regali, mentre tu stavi sola nella tua stanza a guardare felicità sconosciute.
“Una famiglia dove ogni passo andava valutato con attenzione, dove tutto si comprava a rate con le cambiali. Non lo yatch ovviamente, ma l’utilitaria, l’apparecchio per i denti o i libri per la scuola dei figli”, racconta Pacifico in questa toccante videointervista concessa a Tiscali.it dalla sua casa di Parigi dove da anni vive con la compagna e il figlio, protagonista di una seconda capriola verso un altro Nord, stavolta nel cuore dell’Europa. Una storia a tratti delicata e straziante, a tratti profondamente divertente nella quale è facile ritrovare tante piccole epopee familiari che hanno formato l’ossatura dell’Italia. E nella quale è impossibile non ritrovare un’etica del lavoro e della fatica, del merito conquistato con il sacrificio, ma anche dei limiti inevitabili ai quali bisogna arrendersi perché andare avanti è possibile, volare non sempre. “Quando hanno cercato di fare il salto verso l’imprenditorialità sono stati respinti, non ne avevano il linguaggio né le protezioni”, afferma Pacifico che in questa intervista ha anche accettato di svelare come è nata la collaborazione con un mito come Adriano Celentano e perché questo era un romanzo dovuto a sua madre e a se stesso.
