Il bacio a Rosa Chemical: ma Fedez conosce Umberto Bindi? Lo schiaffo di Sanremo per un anello
Un libro di Ferdinando Molteni racconta come l'industria discografica abbia crocifisso i musicisti gay, a cominciare da Bindi, i silenzi di troppe star e il coraggioso coming out di artisti come Ivan Cattaneo o Tiziano Ferro
Chissà se Fedez ha mai ascoltato Umberto Bindi. Ha mai sentito Arrivederci, Il mio mondo, La musica è finita o Il nostro concerto. Proprio lui, il multiforme Fedez, che nell'ultima edizione di Sanremo ha baciato in bocca Rosa Chemical e mimato una specie di amplesso goliardico, tanto per dirsi libero, liberato, ma soprattutto per innescare la solita ridda di polemiche che i Re Mida Ferragnez trasformano in denaro sonante, beati loro.
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Di musica e di amori
Fedez, questa specie di paladino dei diritti, che ieri ironizzava pesantemente sull'omosessualità dichiarata di Tiziano Ferro e ora gioca con la fluidità. Ecco, Fedez dovrebbe ascoltare Bindi, artista supremo, musicista mirabile, compositore purissimo che nel medesimo Teatro Ariston nel 1961 terminò di fatto la sua carriera solo per un anello al dito, un cappotto un po' troppo femmineo e una magnifica canzone - Non mi dire chi sei - considerata troppo allusiva
Al maestro di Bogliasco e non solo è dedicato un libro ricco, necessario, documentato. Si intitola L'anello di Bindi - Canzoni e cultura omosessuale in Italia dal 1960 a oggi. Lo ha scritto con cura e amorevole passione Ferdinando Molteni per Vololibero (pagg.216, euro 23). Molteni inizia il proprio saggio spiegando cosa accadde subito dopo quella esibizione a Sanremo: "Lo schiaffo a Bindi e alla sua arte non è immediato. Ma la percezione che ci sia qualcosa che non va non sfugge all’artista. Niente passaggi televisivi, niente radio, qualche insinuazione velenosa su qualche giornaletto di provincia. Ma i segnali, o per meglio dire i messaggi cifrati di quella silenziosa valanga che stava per arrivare c’erano già stati. Eppure non si era mai nascosto più di tanto. Lo sapevano i colleghi e lo sapevano i giornalisti. Prima del maledetto Festival del 1961 aveva pubblicato una canzone, retro della popolare Appuntamento a Madrid, intitolata Il confine, che è probabilmente la sua prima e coraggiosa confessione pubblica". Bindi, per la sua omosessualità, verrà di fatto messo ai margini dell'industria discografica, definito via via "frocio, pederasta, culattone", preso in giro in un'imitazione grottesca perfino da Alighiero Noschese, escluso dal baraccone sanremese di Aragozzini dopo aver raccontato, in lacrime, la sua "diversità" al Maurizio Costanzo Show. Finirà povero in canna - lui che era stato miliardario - costretto a sopravvivere con il piccolo vitalizio della Legge Bacchelli. Morirà a 70 anni, il 23 maggio del 2002, in un ospedale di Roma, stremato, dimenticato, cancellato. Ma tutto questo Fedez chissà se lo sa mentre gigioneggia sotto i riflettori.
Molteni documenta gli anni Sessanta, e l'accenno alla rivoluzione culturale degli anni Settanta con Gian Pieretti, Loredana Bertè, Patty Pravo, il favoloso Ivan Cattaneo e Renato Zero. Scrive l'autore, senza sconti, a proposito del Re dei sorcini: "In un altro mondo, Renato Zero sarebbe stato l’eroe gay per eccellenza. Comincia prima di tutti, con le sue canzoni e le sue mosse. I suoi birignao e poi i suoi costumi. Manifesta un universo nuovo, gioioso e intelligente, del quale i gay avrebbero potuto fare tesoro, in un’epoca – Zero debutta, di fatto, con No, mamma no! nel 1973 – che condannava l’omosessualità a una condizione di tristezza ed emarginazione. Renato Zero, va detto con chiarezza, sembra sempre più sincero nelle canzoni che nelle dichiarazioni pubbliche. Forse se perché le canzoni possono essere facilmente interpretate e dunque smentite". Molteni non è più tenero con Lucio Dalla o con Gianna Nannini, mentre invece dedica interi capitoli a personaggi che hanno avuto la determinazione di fare coming out: Andrea Tilch, Alfredo Cohen, lo stesso Malgioglio, Paola Turci e appunto, Tiziano Ferro che, prima di dirsi gay, parla con i suoi amici, il suo staff, la famiglia. Il padre gli dirà: «Ascoltami, la tua vita è particolare perché tu sei speciale. Impara a rispettarti. Il tuo sollievo è anche il mio sollievo». Molteni conclude: "Il dolore di Umberto Bindi e l’ingiustizia da lui subita, che sono all’origine di questo libro, ci pare trovino nel 2010 con Ferro se non una conclusione definitiva almeno una possibile, parziale e dolente consolazione. Si chiude un cerchio. O, meglio, si rimargina almeno in parte una ferita". Quella inferta a un musicista meraviglioso che ebbe solo l'ardire di amare chi desiderava amare.