Stirpe e Vergogna: dalla scoperta del nonno fascista all'elaborazione di una colpa familiare e collettiva
Tra romanzo e memoir, un libro dalla voce schietta e incalzante, che pur sospendendo il giudizio non smette di interrogarci e di invitarci a coltivare la memoria, perché “solo così si può sperare che certe cose non accadano più”.
Forse il più bel libro ho letto (e presentato) quest'anno.
"Fuggo da quando ero piccola. Fuggo dal mio passato. Fuggo dalla colpa. Ma qual è esattamente la mia colpa?" si chiede Michela Marzano, scrittrice, filosofa, editorialista, ex deputata del Pd, autrice tra l'altro de 'L'amore è tutto: è tutto ciò che so dell'amore' con cui ha vinto il Premio Bancarella 2014 e di 'Idda'.
“Quando non lo si elabora, il passato ci agisce. Se non si decide di farci i conti, lo si tramanda di generazione in generazione. Quando ci si illude di averlo rimosso, riaffiora. E prima o poi c’è chi il conto lo deve pagare”.
In occasione del battesimo di suo nipote scopre che il vero nome completo di suo padre non è solo Ferruccio, bensì Ferruccio Michele Arturo Vittorio Benito. Come è possibile che tra i nomi ci sia anche quello del duce? Non è che per caso suo nonno fosse fascista?
In Stirpe e Vergogna (edito da Rizzoli) intreccia il passato familiare alle pagine più controverse della storia del nostro Paese. Michela non sapeva. Per tutta la vita si è impegnata a stare dalla parte giusta: i fascisti erano gli altri, quelli contro cui lottare. Finché un giorno scopre il passato del nonno, fascista convinto della prima ora. Perché nessuno le ha mai detto la verità? Era un segreto di cui vergognarsi oppure un pezzo di storia inconsciamente cancellato? “Sono stata pure io complice di questa amnesia?” si chiede Michela dopo aver ritrovato una vecchia teca piena di tessere e medaglie del Ventennio. Inseguendo il filo teso attraverso le vicende della sua famiglia, tra il nonno Arturo e il nipotino Jacopo, l’autrice ridisegna il percorso che l’ha resa la donna che è oggi, costellato di dubbi e riflessioni: il rapporto complicato con la maternità, il legame tra sangue, eredità e memoria, e quel passato con cui l’Italia non ha mai fatto davvero i conti. Il risultato è uno spietato autoritratto che va molto al di là del dato personale, in questo Paese di poeti, di eroi, di santi e (così pare, ad ascoltarne i nipoti) di milioni di nonni partigiani, mettendo in luce la rimozione collettiva dell’humus fascista in cui affondano le radici di molti alberi genealogici. Tra romanzo e memoir, un libro dalla voce schietta e incalzante, che pur sospendendo il giudizio non smette di interrogarci e di invitarci a coltivare la memoria, perché “solo così si può sperare che certe cose non accadano più”.