La cucina italiana non esiste: la verità sull'origine di Carbonara, spaghetti al pomodoro e altri piatti nazionali
Il libro di Alberto Grandi e Daniele Soffiati svela bugie e falsi miti attorno alla nostra tradizione culinaria. Per scoprire che la cucina italiana moderna è nata negli anni Cinquanta del Novecento
La dieta mediterranea? Un'invenzione degli anni Cinquanta. Gli spaghetti al pomodoro? Pressoché sconosciuti fino a un secolo fa. La carbonara? Sono stati gli americani a inventarne la ricetta. Se amate la cucina italiana sappiate che molti piatti che consideriamo da sempre protagonisti della nostra tavola non esistevano, fino a poco tempo fa. E a dire il vero pure l'abitudine di mangiare riuniti a tavola non è proprio antichissima. Per sfatare alcuni luoghi comuni attorno al cibo italiano da qualche mese è arrivato in libreria con Mondadori "La cucina italiana non esiste. Bugie e falsi miti sui prodotti e i piatti cosiddetti tipici", un libro che fa chiarezza su alcuni aspetti delle nostre abitudini e spiega, con precisi riferimenti bibliografici e statistici, molte falsità attorno ai piatti che consideriamo parte della nostra storia. Il libro è stato presentato domenica 15 settembre a Cagliari all'interno di Dialoghi di carta, festival letterario organizzato da La Fabbrica Illuminata.
La dura verità
Gli spaghetti al pomodoro, ad esempio: leggenda vuole, raccontano gli autori Alberto Grandi, professore di Storia del cibo all'Università di Parma e Daniele Soffiati, scrittore e autore del podcast "Denominazione di origine inventata", che sia stato Marco Polo, e in particolare uno dei suoi marinai che di cognome faceva 'Spaghetti', a portare la ricetta della pasta dall'Oriente in Italia, complice pure una rivista americana degli anni Venti chiamata Macaroni Journal che aveva diffuso la notizia. In realtà l'uso massiccio della pasta secca, se pure già conosciuta nel Paese, è arrivato in Italia dall'America nei primi del Novecento, complici il processo industriale di produzione e gli emigrati italiani di ritorno: era un piatto semplice, poco costoso e di facile conservazione e preparazione. Così come il pomodoro: il frutto non appartiene alla tradizione agricola italiana ma fu scoperto nell'America centrale dai conquistadores spagnoli; importato in Italia, a lungo fu ignorato dalla nostra cucina e introdotto come contorno dai cuochi spagnoli che avevano inventato qualcosa di simile al nostro sugo; solo con l'industria della conservazione e inscatolamento la loro diffusione divenne massiva anche nella Penisola.
Un popolo affamato
Il viaggio di Grandi e Soffiati prosegue attraverso la storia della cucina italiana per dimostrare che questa storia, in fondo, è piuttosto recente: prima della grande emigrazione di massa di fine Ottocento l'Italia era un paese frammentato che conosceva piatti poveri e legati alla produzione locale, con un popolo in gran parte analfabeta, mal nutrito e con una bassa aspettativa di vita, tormentato da pellagra, malaria, rachitismo, vegetariano e non per scelta. Il primo manuale che raccoglie le ricette italiane è "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" che Pellegrino Artusi pubblicò nel 1891: non rappresentava in maniera equilibrata la tavola degli italiani ma solo la sua parte più benestante, e fino agli anni Settanta del secolo scorso molte ricette non erano rigide come si pretende che siano ora. Basti pensare, ricordano gli autori del volume, alla pasta alla carbonara: guanciale o pancetta? Pecorino o parmigiano? La ricetta compare per la prima volta in un libro americano sui ristoranti di Chicago, e solo nel 1954 fa la comparsa in una rivista nostrana: "Alla faccia dei talebani della tradizione e della cremina – scrivono Grandi e Soffiati – la ricetta prevede il gruviera e consiglia di lasciar rapprendere le uova. E' solo l'inizio di un percorso che vedrà negli anni successivi mettere e togliere ingredienti […] fino ad arrivare alla trinità (uovo, guanciale e pecorino con pepe sullo sfondo) oggi ritenuta intoccabile e indiscutibile, ma in realtà recentissima sul piano storico".
Olio, vino, caffé
Il volume scorre denso di aneddoti e notizie tra economia, salute, boom demografici e depressioni, industria e televisione, marketing e narrazione, identità ed eccellenze: attraverso tanti esempi, in gran parte sui prodotti che consumiamo nel quotidiano e troviamo facilmente sugli scaffali del supermercato, scopriamo che l'identità, dal caffé all'olio, dal vino ai formaggi ai salumi, è un'etichetta che non fa parte della nostra storia antica.
La "biografia non autorizzata" arriva, in conclusione, a una domanda: "Il gusto italiano esiste o non esiste?" "Esiste - rispondono gli autori - ma proprio come la cucina, negli ultimi decenni, dopo il boom economico, ha conosciuto un'evoluzione straordinaria che continua ancora oggi. Quindi il gusto italiano si forma a partire da quel ventennio eccezionale che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, che è poi il periodo d'oro dell'economia italiana e le due cose vanno di pari passo: per creare un gusto e un piacere quotidiano nello stare a tavola, infatti, per prima cosa servono gli ingredienti e magari un po' di soldi per acquistarli". La cucina italiana non è un monolite, dunque, ma un processo in continua evoluzione, aperto agli scambi e all'innovazione. E potrebbe essere che tra qualche anno, nonostante le resistenze e il richiamo all'identità, ci troveremo in tavola abitualmente insetti, carne coltivata in laboratorio e altri piatti che oggi ci sembrano inaccettabili stranezze.