Basta con la retorica del boss playboy, furbo e vincente: i giovani devono capire quanto fa davvero schifo la mafia
Quando la mafia è diventata una storia appassionante? Chi detiene la responsabilità di questa narrazione che non spiega, soprattutto ai più giovani, i danni terribili che le organizzazioni criminali fanno al nostro Paese?
Con la cattura, dopo 30 anni, del boss Matteo Messina Denaro è sotto gli occhi di tutti come la mafia (tutte le mafie, non solo quella siciliana) siano raccontate dalla cronaca dei quotidiani come un fenomeno avventuroso. Una storia di eroi e antieroi a puntate in cui la condanna senza sè e senza ma ai crimini commessi, spesso, non segue un giudizio così forte, chiaro e netto nei confronti di chi quelle azioni efferate le ha compiute.
Se avete letto con attenzione i titoli che raccontavano le indagini e le notizie sulla vita del latitante arrestato di recente a Palermo, in questi tre decenni, abbiamo ricevuto informazioni sulla sua vita privata: un playboy, un uomo che amava vestire alla moda, un grande lettore. Il tono degli articoli in quasi tutti i giornali non è severo, ma appassoniato alla sua storia. A tratti morboso. Come se si stesse raccontando un personaggio di un film, un romanzo, una serie tv. Non il responsabile di azioni sanguinose.
Quando la mafia è diventata una storia appassionante? Chi detiene la resposabilità di questa narrazione che non spiega, soprattutto ai più giovani che non hanno vissuto sulla loro pelle la stagione delle stragi, i danni terribili che le organizzazioni criminali fanno al nostro Paese in termini di sangue, economici, di immagine (Italia, pizza, spaghetti, mafia e mandolino). Quando i mafiosi hanno smesso di essere criminali spietati e sono diventati personaggi di una saga entusiasmante dove i contorni fra giusto e sbagliato, male e bene sono così spaventosamente sfumati?
Dopo il film Il Padrino del 1972 il fenomeno mafioso diventa a tutti gli effetti "una storia". Una saga familiare, una trama avvincente in cui ci si trova da spettatori a simpatizzare con i criminali. Nulla di sbagliato perché si tratta di cinema e il cinema fa il suo mestiere, intrattiene.
Dalla serie tv La Piovra nel nostro Paese (il Paese che ha inventato la mafia), siamo negli anni '80, inizia quel filone di fiction che condannano in modo forte, disegnando i profili dei personaggi senza lasciare dubbi su chi sia il buono e il cattivo, che accompagneranno la nostra società proprio nel periodo più sanguinoso di Cosa nostra. Fino a qui tutto bene, c'è una distinzione netta tra finzione televisiva e giornalismo. Vengono assassinati Falcone e Borsellino, nessuno si sogna di scrivere sceneggiature che possano simpatizzare coi mafiosi.
E' negli anni 2000 che molte serie tv e film, non solo italiani, tornano a raccontare la mafia dal punto di vista dei mafiosi. Il problema si pone quando anche l'informazione, nonostante condanni apparentemente il fenomeno (ovviamente), lanci messaggi contradditori utilizzando linguaggi e aggettivi che sono più da romanzo che da cronaca. L'esempio più calzante è quando si racconta il boss con la normale superficialità tipica della fretta giornalistica trascrivendo la sua quotidianità in modo da avvicinare il carnefice a tutti noi. Le donne che ama o che si sono innamorate di lui, i libri e i film che più apprezza. I vestiti indossati, le auto che preferisce guidare. Le ville in cui vive. L'amore per gli animali domestici, e così via...
Una narrazione che può creare nei più giovani un sentimento e un desiderio di emulazione nei confronti del boss. Utilizzando una parola che i giovanissimi usano "un fico" e non "uno sfigato".
Libertà di stampa e di espressione sempre. Ognuno racconta nel proprio giornale come vuole un fenomeno, ma se vogliamo che le nuove generazioni non confondano per esempio la vera camorra con la serie tv Gomorra è meglio che questi leggano libri che spieghino loro cosa sia realmente quella che Peppino Impastato definiva giustamente "Una montagna di merda".
Il caposaldo per capire le origini del fenomeno mafioso resta "Il giorno della civetta" (Adelphi) di Leonardo Sciascia, primo scrittore a raccontare l'impatto della mafia sulla vita quotidiana dei siciliani. Il romanzo del 1961, dove troviamo il Comandante dei Carabinieri Bellodi che indaga sull'omicidio di un piccolo imprenditore, mostra anche la drammatica verità di uno Stato che continuava a negare l'esistenza della mafia. Da far leggere a scuola assolutamente.
Consigliamo anche "Cose di Cosa nostra" (Bur Rizzoli), in cui Giovanni Falcone spiega alla giornalista Marcelle Padovani quale sia il rapporto fra mafia e Sicilia e quali siano le regole a cui ogni mafioso deve attenersi, il magistrato ci fa capire come si trovasse a combattere contro politici e giudici che continuavano a dire che "la mafia non esiste".
Ancora il libro scritto da Maria Falcone insieme alla giornalista Lara Sirignano, "L'eredità di un giudice" (Mondadori), in cui condivide il dolore privato e mostra come l'indignazione delle persone si sia trasformata in uno strumento attivo per combattere la mafia.
Per conoscere davvero l'ultimo latitante arrestato del periodo stragista da leggere la biografia del giornalista Fabrizio Feo, "Matteo Messina Denaro. La mafia del camaleone" che Rubbettino rilancia in occasione dell'arresto del super latitante.
E' tornato in libreria da poco anche "Hanno fermato il Capitano Ultimo" (Chiarelettere) di Pino Corrias con il racconto in prima persona dell'uomo che ha arrestato Totò Riina e fatto tremare i palazzi per poi finire nel tritacarne giudiziario e mediatico, bersagliato da mille accuse.
Tra i tanti titoli per i più giovani, "La mafia spiegata ai ragazzi" (Mondadori Oscar Bestseller) di Nicola Nicasio, storico delle organizzazioni criminali, nell'edizione aggiornata con la prefazione di Gian Antonio Stella.
Da non dimenticare anche la biografia di un piccolo grande eroe, Peppino Impastato che dalla radio libera da lui fondata denunciava gli affari sporchi dei clan e fu assassinato nel maggio 1978 come racconta in "Una vita contro la mafia" (Rubbettino) lo scrittore e poeta Salvo Vitale, grande amico di Impastato.
Chiudiamo con una sorta di dizionario in cui viene svelato l'alfabeto con cui il capo dei capi ha parlato alla sua organizzazione. Si tratta di "Voi non sapete. Gli amici, i nemici. La mafia, il mondo nei pizzini di Bernardo Provenzano" (Mondadori) dell'immenso Andrea Camilleri.