Perché l'Italia non fa pace con l'antifascismo? Agnese Pini: "Non ha avuto la sua Norimberga"
Il libro 'Un autunno d'agosto' racconta l’eccidio nazifascista che ha colpito la famiglia della giornalista. Una storia d’amore mentre la guerra torna a fare paura
"Quando non c'è un processo giusto, dei colpevoli condannati, come nel caso di mia nonna, che in quell’eccidio perse la madre, quando le uniche parole che ti vengono dette sono: 'dimentica, vai avanti', rielaborare è complicato".
E' l'estate 1944. Lungo la Linea gotica si consuma la parte più feroce della guerra in Italia, una serie di eccidi orribili per mano dei nazifascisti. Un autunno d'agosto edito da Chiarelettere racconta di San Terenzo Monti, paese di poche centinaia di abitanti tra Liguria, Emilia e Toscana, dove vengono uccise senza pietà 159 persone, in prevalenza donne e bambini, l’esecuzione sarà accompagnata dal suono di un organetto.
"Il vero problema è che l’Italia non ha mai avuto la sua Norimberga. Se questo Paese, dopo 80 anni, è ancora profondamente diviso sulla memoria di quel periodo, è anche perché la politica del tempo si impose di ricostruire presto una repubblica, una democrazia. Per farlo decise di mettere una pietra sopra su quanto era accaduto. Il risultato è una memoria frantumata. L'incapacità italiana di avere un giudizio sereno e univoco anche su cosa è stato il fascismo".
Attraverso la storia della sua famiglia Agnese Pini (guarda la video intervista sopra), da agosto 2019 direttrice de “La Nazione”, prima donna ad aver ricoperto questo ruolo in oltre 160 anni di storia del quotidiano (e da luglio 2022 ha assunto anche la direzione de “il Resto del Carlino”, “Il Giorno” e “Quotidiano Nazionale”) con una scrittura intensa e piena di grazia, ha costruito un grande romanzo civile che parla di noi.
“Una storia così lascia un segno indelebile nelle famiglie che l’hanno subita, e appartiene a tutti i sopravvissuti e ai figli dei sopravvissuti. È una storia di umanità e di amore perché, soprattutto nei momenti in cui vita e morte sono così vicine, l’umanità e l’amore escono più forti che mai. L’ho sentita raccontare fin da quando ero piccola: la raccontavano mia nonna, mia madre, mia zia (nella foto di copertina), ma per molto tempo ho pensato che fosse un capitolo ormai chiuso della storia d’Italia e della mia storia personale. Grazie anche al lavoro che faccio, ho capito invece che quel capitolo era tutt’altro che chiuso, che lì si nascondono gli istinti più inconfessabili di ciò che possiamo ancora essere. L’ho capito con la guerra in Ucraina, vedendo come certi orrori si perpetuino sempre identici al di là delle latitudini e degli anni. E l’ho capito perché nel nostro paese c’è un periodo, il ventennio fascista, che ancora non riusciamo a guardare con una memoria davvero condivisa. La storia raccontata in questo libro può diventare allora un’occasione per tornare a ciò che siamo stati con una consapevolezza nuova.
Del resto la resistenza civile di un paese si può tenere viva solo restituendo verità e dignità al destino degli ultimi. Questo è un libro sugli ultimi ed è a loro che è dedicato, perché su di loro si è costruita l’ossatura forte e imperfetta di tutto il nostro presente, dunque anche del mio.”