Un partito sbagliato? Il Pd è un caso da manuale da far studiare agli scienziati. In un libro l'analisi dell'esperto
Intervista al professor Antonio Floridia, docente di Scienze Politiche, ex presidente della Società Italiana Studi Elettorali e direttore dell'Osservatorio elettorale e “Politiche per la partecipazione” della Regione Toscana. Il Pd vive una grave crisi di contenuti. E' al capolinea o si può ancora pensare di riformarlo?

"Il declino di questo partito trova le sue origini in due fondamentali fattori, che analizzeremo da vari punti di vista nel corso di questo lavoro: a) l’assenza di una precisa individuazione di interessi sociali da rappresentare in modo prioritario, ossia l’idea di un “partito del Paese”, o “della nazione”, e un modello riconducibile all’idea del partito catch-all; b) il carattere indefinito e irrisolto della sua stessa identità: ovvero, da un lato, l’assenza di una cultura politica condivisa, di un quadro coerente di idee e di principi; e, dall’altro lato, però, nemmeno un vero dialogo e una reale interazione tra le diverse tradizioni della cultura politica democratica italiana di cui il nuovo partito avrebbe dovuto essere espressione".
Intervistiamo Antonio Floridia. Dopo aver lavorato a lungo presso un istituto di ricerche economiche e sociali, dal 2005 dirige l’Osservatorio elettorale e il settore “Politiche per la partecipazione” della Regione Toscana. Ha insegnato presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze ed è stato presidente della Società Italiana Studi Elettorali (2014-2017). Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: La democrazia deliberativa: teorie, processi e sistemi (2012), Un’idea deliberativa della democrazia. Genealogia e principi (2017), From Participation to Deliberation. A Critical Genealogy of Deliberative Democracy (2017) e il capitolo The Origins of the Deliberative Turn, all’interno dell’Oxford Handbook of Deliberative Democracy (2018).
Chi sono i dirigenti del Pd, chi sono gli elettori del Pd? Sono di Sinistra? Ma cosa significa oggi essere di Sinistra? E' un'esperienza da concludersi?
"Pensare che il Pd si possa sciogliere non è in sé un obiettivo che abbia senso proporsi; e tuttavia si può temere che a uno scioglimento si possa giungere ugualmente, e non perché qualcuno lo decida. Un partito che tuttora raccoglie 5.300.000 voti, che esprime molti amministratori (e molti di buona qualità), e una componente di militanza ancora attiva (anche se sempre più esigua), non è un qualcosa di cui si possa auspicare il puro e semplice dissolvimento: non si può dire loro sciogliete le righe, tornatevene a casa".
A quindici anni dalla sua fondazione, il Partito Democratico vive una grave crisi di contenuti. Si può ancora pensare di riformarlo? In genere, le ricette che vengono proposte riguardano la linea del partito, la sua strategia, o si limitano a evocare la necessità di una nuova leadership. Ma è sufficiente tutto ciò? Non sarà forse necessario guardare più a fondo, ossia allo stesso impianto genetico, ai tratti che ne hanno contraddistinto, fin dall'inizio, il profilo politico-culturale e il modello organizzativo?
Il libro è apparso per la prima volta nel 2019, questo saggio offre un contributo su temi spesso trascurati nelle discussioni correnti e che non riguardano solo il Pd. Con un interrogativo di fondo: è possibile una democrazia senza partiti degni di questo nome? Ed è possibile un'altra idea di partito?
La crisi del Pd può riassumere la crisi dei partiti del 900 o è una storia tutta sua?
Parlare di "crisi dei partiti del '900", in realtà, è una semplificazione: i partiti sono cambiati, ma non dappertutto sono in crisi e vi sono anche casi di ripresa, rinascita e reinvenzione dei partiti. L'idea che la democrazia possa fare a meno dei partiti si è rivelata un'idea illusoria e pericolosa.
Il caso del Pd è anomalo, è frutto di una storia specifica, di un tentativo di "importare" in Italia un modello di partito-ombrello "post-ideologico" che avrebbe dovuto tenere insieme tutti i "riformisti", unificare tradizioni diverse e reggersi solo sui "programmi" (non su una visione condivisa, o su un'"ideologia", che non è una parolaccia). L'esperimento del Pd non ha funzionato, per tante ragioni che analizzo nel mio libro.
La caratteristica democratica e non personalistica del partito, il suo cannibalismo interno che 'assassina' i suoi leader è superabile?
Quello che lei chiama "cannibalismo" non è una perversione, ma il frutto del modello di democrazia plebiscitaria che è stato adottato dal Pd: il meccanismo delle "primarie aperte" (aperte a tutti quelli che si trovano anche per caso a passare davanti ad un gazebo) ha svuotato il partito, ha tolto valore e ruolo ai militanti e agli iscritti, e non ha prodotto nemmeno leadership autorevoli. Le "primarie aperte", in realtà, nel Pd, servono a legittimare un candidato segretario che aveva già contrattato il consenso con una o più correnti, ma soprattutto servono a definire poi gli equilibri interni tra le correnti, eleggendo gli organismi dirigenti.
Il Pd ha una possibilità reale di rinascita o come ha detto Rosi Bindi è morto e bisognerebbe andare oltre questa esperienza?
Il Pd, così com'è, non regge: ci sono idee e cultura troppo diverse al suo interno. Non si tratta di "sciogliere" il PD, ma di capire che, se non si fanno scelte nette sull'identità e il profilo politico, il Pd è destinato a sciogliersi, ma non perché qualcuno lo decida: per consunzione, o per un lento deperimento. Il congresso che sta per partire non promette bene, ma staremo a vedere....
Anche gli altri partiti di sinistra dell'Occidente sono in crisi. Cosa ha in comune la crisi del PD con quella dei laburisti in GB, dei socialisti in Francia e dei democratici negli Usa?
Lei cita casi assolutamente diversi; anzi, casi che non possono nemmeno essere definiti come "critici". Il Pd può temere di fare la fine dei socialisti francesi, che si sono quasi estinti: ma tutti gli altrii partiti della sinistra europea, e quelli della tradizione socialista, hanno molti problemi, ma non sono affatto in crisi: i socialisti spagnoli e portoghesi sono al governo, e lo stesso la SPD in Germania, e poi i partiti socialdemocratici sono al governo in tutti o quasi i paesi scandinavi (da ultimo hanno vinto le elezioni in Danimarca). In Gran Bretagna, la leadership di Corbyn aveva portato il Labour Party al 40%, nelle elezioni del 2017, un dato che il Labour non otteneva dai tempi di Tony Blair: poi la questione della Brexii ha diviso profondamente il partito e Corbyn ha dovuto abbandonare. Ma il Labour è ora in grande crescita ed è primo nei sondaggi, di fronte al disastro dei conservatori. Quindi, il Pd è in crisi, ma è solo "farina del suo sacco", non può dare la colpa a tendenze più generali
Molto interessante la postfazione di Nadia Urbinati nella nuovissima ristampa.
