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Il sociolinguista Federico Faloppa: "Non solo hate speech, vi spiego come il linguaggio possa fare anche del bene"

Il linguaggio può ferire, alimentare contrasti, ricalcare stereotipi, estremizzare posizioni; ma anche costituire una risorsa di consapevolezza e riflessione, e dunque risanare

Claudia Sarritzudi Claudia Sarritzu   
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Forse ci insultiamo di più oggi perché "abbiamo abbandonato la clava e lo scontro corporeo per imbracciare le parole d'odio, come fossero un fucile".

Siamo abituati a parlare solo ed esclusivamente di linguaggio d'odio. I social, ma non solo: anche i giornali, i programmi televisivi, la stessa comunicazione politica è piena di esempi di hate speech. Però la lingua può essere anche veicolo di gentilezza. Cura per una società arrabbiata e in perenne scontro. 

In questa video intervista parliamo con il linguista italiano Federico Faloppa del potere della lingua: "E' vero che il linguaggio può ferire, alimentare contrasti, ricalcare stereotipi, estremizzare posizioni. Ma anche costituire una risorsa di consapevolezza e riflessione, e dunque risanare, generare alleanze, tessere relazioni costruttive". 

Nel saggio La farmacia del linguaggio edito da Alpha&Beta Faloppa si misura con uno dei temi più "caldi" del nostro presente, approfondendo schemi di comunicazione, dinamiche sociali e meccanismi psicologici che hanno elevato, in certi casi istituzionalizzato, l'hate speech a mezzo pervasivo e al tempo stesso sfuggente e polimorfico.

Il linguaggio come pharmakon, veleno e medicina al contempo; le parole come veicolo di odio o somministratrici di cura. La discussione pubblica contemporanea, che trova nelle piattaforme social uno spazio privilegiato quanto illimitato, sembra elevare al massimo grado questa intrinseca dicotomia. Ma ricordiamo che la lingua può anche: "Risanare, generare alleanze, tessere relazioni costruttive. Quest'ultima funzione appare però sempre più ostacolata dalla distorsione del concetto di "libertà d'espressione" e da una tendenza generale a fare delle parole strumenti di discriminazione e di esclusione, spesso in maniera subdola e trasversale". 

Nell'intervista parliamo anche di un altro suo libro. 

Sbiancare un etiope: "Nel 2017 una pubblicità della Dove fu al centro di polemiche: grazie al potere del brand, una ragazza nera si trasformava in una ragazza bianca dai capelli rossi. Per l'azienda, si trattava di un omaggio alla diversità. Ma in tanti non gradirono: l'effetto sbiancante del docciaschiuma appariva nella migliore delle ipotesi un inspiegabile scivolone, nella peggiore un messaggio razzista, neanche tanto velato. Dai social partì un'ondata di indignazione che fece sparire velocemente lo spot incriminato".

Perché quella reazione? Perché, a prescindere dalle intenzioni dell'azienda, quella pubblicità riprendeva un motivo che, nei secoli, si era radicato in molte culture, non solo europee: quello dello "sbiancare un etiope" (o "un moro", "un nero"), col significato di "fare uno sforzo inutile" o "tentare un'impresa impossibile".

Di questo motivo culturale tanto profondo quanto nascosto, che affonda le proprie radici nei primi secoli dopo Cristo e arriva fino ai giorni nostri, Federico Faloppa raccoglie qui i frammenti e ricostruisce le vicende, muovendosi tra proverbi popolari, fiabe antiche e commedie secentesche, affreschi medievali e dipinti rinascimentali, vignette satiriche e manifesti pubblicitari, pamphlet politici e romanzi autobiografici. Si scopre così che la favola attribuita a Esopo del servo (nero) lavato e sfregato dal proprio padrone trova nei libri per bambini di epoca moderna risvolti moraleggianti e pedagogici sull'immutabilità della natura e dell'ordine sociale, o che il battesimo dell'etiope raccontato negli Atti degli Apostoli diventa motivo iconografico privilegiato nell'Olanda post Riforma protestante. E si tracciano fili rossi che uniscono i padri della Chiesa ed Erasmo da Rotterdam, libri di emblemi e mondi alla rovescia, poesia burlesca e letteratura alchemica, pubblicità di saponi e propaganda fascista, fino ad arrivare a Calimero, il pulcino nero sbiancato da un detersivo che ha segnato l'immaginario italiano del secondo dopoguerra. Nel ripercorrere la sorprendente storia di questo topos di lunga durata, scopriamo anche una vera e propria ossessione "occidentale", quella per il bianco, attraverso i tentativi - allegorici o reali - di "sbiancare l'etiope", e di costruire un sistema prima simbolico e poi razzista per raccontare e governare il mondo a propria immagine e somiglianza.

Federico Faloppa è un linguista italiano, ha onseguito un dottorato di ricerca a Royal Holloway, università di Londra, ha insegnato nelle università di Birmingham, Granada, Londra e Torino, è professore di Storia della lingua italiana e di Sociolinguistica all’università di Reading. Ha lavorato come editor e ha svolto attività di consulenza su argomenti linguistici e interculturali presso enti pubblici e organizzazioni non governative. Le sue ricerche si sono rivolte soprattutto allo studio degli stereotipi etnici e della costruzione linguistica della diversità. Ha pubblicato, tra l'altro: Lessico e alterità. La formulazione del diverso (2000), Parole contro. La rappresentazione del diverso nella lingua italiana e nei dialetti (2004), Razzisti a parole (per tacer dei fatti) (2011), Brevi lezioni sul linguaggio (2019), #Odio. Manuale di resistenza alla violenza delle parole (2020) e Sbiancare un etiope. La costruzione di un immaginario razzista (2022).

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