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Il ricettario sentimentale di Erri De Luca. Così la pastiera napoletana diventa più evocativa della Madeleine di Proust

L'ultimo libro dello scrittore è "Spizzichi e bocconi", un viaggio in dispense intime, tra sapori, ricordi. Senza dimenticare la fame di chi non siede alla tavola imbandita dell'Occidente

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
Il ricettario sentimentale di Erri De Luca. Così la pastiera napoletana diventa più evocativa della...

C'è sempre un odore anche quando non è dichiarato nelle pagine di Erri De Luca. C'è un sentore, un sapore. C'è una scia che viene dal mare, quel salmastro, quell'umido d'alga che resta perfino nella padella dove finisce il pesce. C'è il profumo antico, primordiale, del latte e del pane. C'è il sentore di erbe e l'olezzo della paura: palpito di bestie in fuga braccate da umani armati. C'è il sale da farsi asciugare sulla pelle, poi leccarselo. C'è la sete, che è peggio della fame, ed è inaccettabile, difficile, cattivissima.
Così De Luca in "Spizzichi e bocconi" (Feltrinellli, pagg 190, euro 16,50) non apparecchia la tavola, perché tavole in questo libro ce ne stanno poche e quasi tutte sono casalinghe o povere, ma usa il cibo come grimaldello, segno, evocazione, metafora, simbolo. Quelli che ne hanno troppo e quelli che si puzzano di fame, le due facce, fuori e dentro la trattoria del mondo. E racconta di morsi allo stomaco, di ragù tremolanti, sobbollenti come terra vulcanica, di fragole tesori del bosco, di zuppe di pescato come fa lui, con quella scrittura che è un colpo al cuore, secca, perdurante, coltissima a volte, soprattutto umana.
Sarebbe difficile un ricettario a la De Luca che la fame l'ha vissuta, che sa la fame degli altri e porta rispetto per i vuoti della pancia. Lui che ha trasportato scorte di cibo in Bosnia ed ora in Ucraina. Che conosce il gusto della neve per silenziare la sete, che non è asceta ma conta i passi tra noi e l'abbondanza sfacciata dei supermercati. Onnivoro come molti che non hanno avuto altra opzione che mangiare quanto c'era, Enrico detto Erri scrive: “Il cibo ha una storia spaventosa, eroica, miracolosa. La scrittura sacra contiene narrazioni di provviste dal cielo. La parola fame è stata più temuta della parola guerra, della parola peste, di terremoti, incendi, inondazioni. Si è ammansita presso di noi l’ultima virata di bordo del secolo, permettendo insieme alla medicina la prolunga inaudita dell’età media. Si è costituita una scienza dell’alimentazione. Lentamente le porzioni si sono trasformate in dosi, le etichette forniscono l’apporto in calorie. Sono di un’epoca alimentare precedente a questa, basata sulla scarsa quantità e varietà. Mi è rimasto in bocca un palato grezzo, capace di distinguere il cattivo dal buono, ma povero di sfumature intermedie. Ho le papille del 1900".


Così la pastiera napoletana descritta da De Luca, unica eccezione dolce in un menù spartano e di sapori forti, è pari alla Madeleine di Proust "quando il naso inventa una via d'ingresso nella memoria". La sua via d'ingresso, il più potente desiderio, è tornare a sedersi "a quella tavola della domenica dove nessuno era ancora mancato". C'è sempre, forte anche ora, anche qui in "Spizzichi e bocconi" la nostalgia del tempo andato, più che perduto: ovvero la cifra della poetica di Erri De Luca. Ci sono i sapori dell'infanzia, il gusto della giovinezza, il ricordo vivissimo del primo uovo cucinato in solitudine appena ragazzo, lontano da casa, con i consigli della nonna al telefono.

Un viaggio mnemonico tra montagne scalate, case di famiglia, mense universitarie popolate da compagne e compagni, trattorie con tovagliette di carta e vino aspro, pagnotte divorate nei cantieri con gli operai. Un percorso a zig zag nel vasto, evocativo eppure materico mondo di Enrico detto Erri alternato come in un epistolario con le riflessioni di Valerio Galasso, biologo nutrizionista. Che spiega con grande semplicità e amichevole comprensione quanto gli errori alimentari - eccessi di carboidrati, zuccheri, proteine, sale - incidano sulla nostra salute. De Luca è l'interlocutore modello di Galasso e di tutti gli esperti di sana alimentazione: nessuna smodatezza, bocconi piccoli masticati con cura, postura diritta anche a tavola, zero sale pure nell'acqua della pasta, grande attività fisica, spesso digiuni per scelta o necessità. Il contrario dell'italiano medio, ancorato sul divano, appassionato di lieviti e junk-food.

Non che in questo libro ci siano solo preparazioni severe e rigorose, tutt'altro, perché il piatto preferito dallo scrittore è la parmigiana con le melanzane possibilmente asciugate al sole. E poi i carciofi alla Giudia, ma anche il tacchino alla Canzanese e la coda alla vaccinara spolpata fino all'osso in un'osteria del quartiere San Lorenzo, Roma.

Il cibo in "Spizzichi e bocconi" è pretesto per raccontare le storie che solo De Luca sa raccontare. Come un Natale in solitudine trasformato in un imprevisto dono grazie a un viandante che si perde nella nebbia della campagna romana, che viene accolto davanti a un camino, con cui condividere salame e calore. Ecco, anche in questa piccola opera De Luca celebra il valore della spartizione, l'aggiunta di un piatto a tavola pure se non si aspetta nessuno, l'elogio dell'incontro e dello scambio. Proprio in virtù della comunanza con il lettore, De Luca apre dispense intime, e riporta le ricette tramandate da zia Lillina e nonna Emma (raccolte dalla cugina Alessandra Ferri): un profluvio di salsicce e friarelli, mozzarelle in carrozza e peperoni 'mbuttunati. Infine, nelle ultime pagine, appare Paola che spezza la sequenza di piatti solitari dello scrittore. Per questa donna che abita dirimpetto all'Oceano Pacifico c'è una dichiarazione d'amore, tanto struggente quanto semplice e diretta: "Insieme a lei si interrompe il mio spariglio di numero dispari. Meglio di una coppia siamo un appariglio".
Consumatelo con grazia questo libro, masticatelo piano, scartatelo come un regalo prezioso.

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
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