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L'amore ai tempi dell'Alzheimer: come ritrovarsi nello sguardo di chi sarà costretto a dimenticarti

In un libro prezioso Beppe Sebaste racconta la sua (vera) storia con S. una donna coltissima e brillante colpita da demenza precoce. Opera intima sul bene che neppure il dolore cancella

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
L'amore ai tempi dell'Alzheimer: come ritrovarsi nello sguardo di chi sarà costretto a dimenticarti

C'è un capitolo dedicato al "Piangere". E dove l'autore racconta ogni lacrima: di rabbia, di paura, di tenerezza, di gratitudine, di spavento, di sorpresa, di benevolenza, di assenza, di distacco, di ritrovamento, di gioia. Perché, come scriveva Karen Blixen, "La cura per ogni cosa è l'acqua salata: sudore, lacrime, o il mare". E' un libro sull'accoglienza, sulla comprensione. E' un libro sulla compassione, parola meravigliosa e dimenticata, il cui etimo latino è cum patior, significa "soffro con". E' un libro d'amore. Si intitola "Una vita dolce" (Neri Pozza, pagg. 224, euro 18). L'autore è Beppe Sebaste, scrittore e poeta, un outsider dei salotti letterari, un "flâneur" che ha dedicato tra l'altro un saggio alle panchine "per uscire dal mondo senza uscirne" e un altro a Henri Paul, l'ultimo autista di Lady Diana.

Un uomo curioso spesso definito per comodità "eccentrico", ma che forse è semplicemente dotato di un'ipermetropia di sguardo che gli permette di guardare il mondo attraverso prospettive inusitate. Inusuale è anche "Una vita dolce", che forse non è un romanzo, o almeno non insegue la forma classica dell'opera di narrativa in prosa ma attraverso un flusso di coscienza diventa ora diario intimo, ora taccuino di appunti, ora purissima letteratura. Dentro ci sono riflessioni sul divino e sul misterioso, citazioni e passioni culturali (infinite: Sebaste è un lettore/spettatore vorace), ci sono parabole in forma di fiaba per arrivare alla domanda fondamentale sull'esistere, sul suo senso.
«Cosa scriveresti in un’isola deserta? – si chiede il protagonista del libro – Che la vita umana sente la mancanza di eternità come un’asfissia, finché non incontra l’ossigeno del Divino, senza il quale la vita non sarebbe altro che ciò che tende alla morte. Vita e morte si equivalgono, essendo entrambi stati di mancanza. L’eternità invece, l’infinito, è quella dimensione che “manca di ogni mancanza”. Viviamo in un’isola deserta e al tempo stesso affollata, e non ne possiamo più della nostra devastante fame d’aria, della nostra assenza di respiro».


Ma soprattutto al centro del libro c'è S. compagna dell'autore. S. oggi deve fare i conti con una patologia che si chiama "demenza precoce", ma ieri, solo ieri scriveva, raccontava bellissime storie in radio, faceva la giornalista, gestiva con un intuito raro le pagine culturali dell'Unità individuando talenti letterari poi diventati autori famosi. Tra ieri e oggi c'è una crepa da cui entra luce, per citare Cohen, ma anche soffi imperiosi di buio. S. e Beppe cercano di colmare l'intercapedine redigendo haiku quotidiani, ballando in cucina, ascoltando musica, accompagnando la cagna Dora a fare una corsa in un parco, facendo i conti con la progressione del dolore, con la fragilità.
Scrive Sebaste: «La malattia di S. non è molto diversa dalla situazione di tutta l’umanità: vivere sapendo di morire, vivere per morire, ma perdendo sé stessi poco alla volta lungo la strada. Ne è forse solo una messa a fuoco più nitida, un’accelerazione incalzante. La disintegrazione della materia è a portata di mano e di labbra, è visibile guardando sé stessi, ascoltando sé stessi. Ma se dilatiamo l’adesso, vivendo il lusso delle infinite variazioni sul tema, come nella musica jazz, siamo più liberi e meno perdenti nei confronti delle forze disgregatrici. Esserne pienamente consapevoli, avere il coraggio di riconoscersi e di essere, per un istante, felici. Essere e basta».


"Cosa vuole questo Alzheimer da me?", dice S. a un certo punto. E in una semplice domanda c'è una disperazione che nessuno saprebbe dire meglio. Sebaste non cede mai alla tentazione del vittimismo, narra la fatica certo, e lo sgomento, la difficoltà quotidiana che pare un abisso. E pure la rabbia descrive senza sconti, perché S. è ancora giovane e "questo Alzheimer" - che non colpisce solo gli anziani - è una malattia a specchio che aggredisce anche chi si prende cura del "paziente", il caregiver.

Ci sono pagine di "Una vita dolce" travolgenti per quanta commozione comunicano. Quando, per esempio, Sebaste annota: «S. e io stiamo per entrare nella notte. È il nostro viaggio e il nostro vascello insieme. Ho paura, per lei e per me. Che la notte cancelli o nasconda anche solo in parte la luce tenera e forte che ha fatto innamorare di S. chiunque l'abbia incontrata nel corso della sua malattia. Riusciremo a tenerla accesa, a colorarla? Se lei scompare, sono io che non vedo. Se divento invisibile, sono ancora io a essere cieco. Se lei diventa cieca, sono sempre io a non vedere». Oppure quando racconta la difficoltà di comunicare, la fatica della vestizione, lui che la perde su una metropolitana di Milano e la cerca come una furia tra stazioni e folla indifferente. Fino a ritrovarla lì, nel vagone dove si era seduta.

Eppure è un libro, questo, che tra viaggi in Oriente, colori di Rothko, ricordi di incontri (altre donne, altri uomini, alcuni celebri, altri di un'intima cerchia) riesce a tenere in mano la vita con presa salda. E c'è la "meraviglia dell'esistenza" a metà tra una preghiera e una canzone di Dylan, una pausa di meditazione all'alba in una casa così silenziosa che sembra fuori abbia nevicato. C'è tanto smarrimento in "Una vita dolce", quello che noi tutti proviamo alle prese con le malattie senza cura, davanti all'abisso della finitezza. Ma Beppe Sebaste riesce a trasformare il percorso suo e di S. in una arrampicata a tappe dove baluginano visioni impreviste, impreviste e lunghissime risate, impreviste e fortissime tenerezze, imprevisti insegnamenti di S. che al buio, guardando la parete, sa ancora essere Stefania che litiga con Beppe, proprio lei, la mia compagna di banco all'Unità, la mia spericolata amica guidatrice di motorini, la lettrice appassionata, la donna dal sorriso grande e largo. E' un libro potente e prezioso "Una vita dolce". Leggetelo, fatevi un regalo, usatelo come ventaglio per far fluire l'aria in questo tempo fermo. Fatelo respirare con voi, con le vostre intime pene. Forse troverete una risposta e un piccolo sollievo.

Daniela Amentadi Daniela Amenta   
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