"Tra pinguini gay, pipistrelli in bagno e ratti sul comodino: la mia vita straordinaria"

In questa intervista sul suo libro “La mente animale”, l’etologo Enrico Alleva parla di stragi di scimpanzé, dell’amicizia tra sua moglie e una pavona, lupi e di diritti degli animali

Che direste se vostra figlia o vostro figlio, da piccolo, come primi compagni di gioco  avesse “girini, bruchi, lombrichi e millepiedi”. Non pago, da adolescente porterebbe a casa “una volpe accecata da una fucilata, un ratto nero sul comodino e i suoi meravigliosi nidi di carta, coleotteri ghiottissimi di Cremino Algida, serpenti trovatelli e pipistrelli disturbati dal letargo (pietosamente accolti nel bagno di servizio)”. Sono i ricordi che snocciola nell’introduzione dell’edizione aggiornata del suo libro “La mente animale” (Codice Edizioni, pp. 265, euro 15) l’etologo Enrico Alleva. È una raccolta di saggi brevi e articoli che, come novità, ha tre capitoli e una prefazione dello scomparso Andrea Camilleri.

Trattasi di una raccolta estremamente gustosa grazie alle capacità affabulatorie dello scienziato in grado in più passaggi di farci sorridere per un umorismo e un’ironia che sembra avere qualche eco piuttosto british (ed è un complimento). Oltre al piacere della lettura, tuttavia, il volume solleva interrogativi profondi sul nostro rapporto con il mondo animale, sulla biodiversità in bilico, e in più casi devastata, perché noi umani occupiamo sempre più territori a discapito di bestie e piante. Il libro solleva domande anche sui diritti degli animali, un interrogativo che ha implicazioni filosofiche, volendo teologiche, e ci interroga su come noi intendiamo la vita nel pianeta: invece di esserne padroni e dominatori non ne siamo, piuttosto, che una parte (la più spietata, peraltro)?  

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Alleva ha appena presentato la sua “Mente animale” alla Galleria nazionale di arte moderna di Roma, istituto chiamato dai più “Gnam” diretto da Cristiana Collu la quale organizza costantemente incontri con scrittori, scienziati, pensatrici, esponenti di più discipline in un confronto continuo fra le tante forme del sapere.  

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L’etologo è nato a Roma nel 1953: tra altri incarichi è membro del Consiglio Superiore di Sanità e del Comitato Nazionale per lo Sviluppo del Verde Pubblico Urbano del Ministero della Transizione Ecologica, è Accademico dei Lincei e figura nel Consiglio scientifico della Enciclopedia Treccani.

Professore, ci parla della pavona Ginetta di cui riferisce nei primi nuovi capitoli del libro e di altri animali come gli istrici a Roma?

Nelle città vediamo un’entrata di tante specie animali, alcune classificate come infestanti. I colombi, i ratti, i topi, così come i gabbiani sono arrivati in massa anche in città lontane dal mare.

Roma ne è piena.

Sono arrivate le volpi e lungo i fiumi, lungo i corridoi ecologici dei parchi, arrivano animali come l’istrice. Si è cominciato a vedere qualche povero istrice investito da una macchina nella zona vicina a villa Ada a Roma. La pavona Ginetta in realtà arriva nel giardinetto di Ansedonia, in una zona fuori dalla città, e senza essere invitata. In questa storia molto femminile e sentimentale tra la pavona e mia moglie Titti dimostro che in realtà è la pavona ad addestrare mia moglie ai suoi voleri e non viceversa. È una progressiva amicizia fino al giorno in cui arriva la primavera, l’amore spinge la pavona verso qualche maschio e, come avevo predetto, tanto magicamente è comparsa una mattina su un ramo e così una mattina, dopo mesi e mesi, non c’era più.

Lei riferisce in un capitolo della strage del tutto inutile degli scimpanzé usati in quantità industriale e in condizioni strazianti come cavie nella lotta all’Aids.  

Quello è un grido di dolore. All’inizio del terribile flagello dell’Aids c’era l’idea che lo scimpanzé poteva essere un modello per sviluppare farmaci e vaccini contro l’Aids. Quindi partì un semibracconaggio per catturare e trasportare nei laboratori dei paesi ricchi questi poveri animali, ne morivano tanti sparando direttamente alle madri o catturando i figli che cadevano dagli alberi. Noi etologi e zoologi fummo spaventati non solo dal problema etico ma soprattutto dal fatto che sono specie rare, quindi dal danno procurato alla biodiversità terrestre. È una storia dolorosa. Non è durat tanto ma abbastanza da intaccare le popolazioni selvatiche di scimpanzé.

Nel libro racconta anche della presenza del lupo nel Lazio.

Già molti anni fa ci fu una prima registrazione non lontano da una fermata della metropolitana periferica di Roma. Il mio articolo ebbe l’onore della prima pagina del Messaggero e raccontava che questi lupi, magari quello era un adolescente particolarmente esplorativo, mettevano il naso anche in zone cittadine. Come sappiamo dalle cronache degli ultimi anni lupi e ibridi tra lupi e cani si sono moltiplicati e sono diventati molto meno timorosi della specie umana e quindi degli incontri.

Una convivenza è possibile? In Abruzzo i pastori hanno esperienza e con i loro cani sanno tenere i lupi a distanza dalle greggi; in regioni come la Toscana sembrano abbiano più difficoltà, forse perché hanno meno consuetudine. E al tempo stesso in Toscana proliferano gli ungulati perché non hanno predatori.    

È un problema molto sentito, per esempio dalla Federazione italiana di scienze della natura e dell’ambiente, dalla Società italiana di etologia e da altre società. Gli etologi stanno molto dibattendo: si è passati da una fase in cui il lupo era in serio pericolo a un momento nel quale c’è qualche scorribanda di troppo, anche purtroppo per gli ibridi tra cani e lupi, e qualche volta sono gli stessi cani inselvatichiti o padronali ad attaccare il bestiame. Gli etologi sono sempre contenti quando una specie compare. Ma c’è moltissimo da fare soprattutto da parte delle istituzioni pubbliche per rendere i cittadini edotti su cosa va fatto e cosa non va fatto. Per esempio nutrire un animale selvatico significa renderlo sempre più fastidiosamente presente nelle aree urbane. C’è bisogno di istruire le persone perché quando gli animali diventano troppo domestici si crea un problema. Per quello che riguarda gli ungulati, l’argomento è all’ordine del giorno. 

 

Enrico Alleva

 

Ora una domanda che muove da un episodio raccontato al sottoscritto da un’amica canadese alquanto stupita per un coyote che le ha lasciato in giardino non una bensì due volte il corpo di scoiattoli uccisi. E lei abita in una grande città. Il canide le lascia quel corpo come un “dono”? Si instaurano rapporti che non dovrebbero esserci in ambienti urbani?

Non ci sono sufficienti elementi per una diagnosi. Molti animali utilizzano gli stessi atti etologici che usano quando sono cuccioli o quando corteggiano perché magari instaurano un legame con un essere umano. Magari il coyote è stato adottato da piccolo da una famiglia umana, chissà che storia ha alle spalle. In tanti casi questi animali diventano infestanti. Ricordo gli anni del premio Nobel a Rita Levi Montalcini, con la quale sono stato molto legato da un punto di vista personale oltre che professionale: i cervi avevano invaso i giardini di Stoccolma e mangiavano qualsiasi fiore e bulbo. Quando queste popolazioni diventano troppo numerose e soprattutto domestiche la docilità può diventare un fastidio. Comunque è importante che i cittadini conoscano un bon ton, una regola per comportarsi con le specie selvatiche.

Uno dei capitoli più curiosi riguarda pinguini omosessuali con tanto di citazione nel titolo della canzone di Dalla e De Gregori “Ma come fanno i marinai”. Anche tra gli animali c’è omosessualità?

In generale pensiamo agli animali negli zoo. Come fanno i marinai? Succede nelle carceri, nei college maschili e femminili: l’assenza degli stimoli naturali dell’altro sesso straborda verso altre forme un po’ meno consuete. Comunque i vincoli anche tra soggetti della stessa specie non è casuale. Devo dire che è molto facile allevare il pinguino negli zoo e nei bioparchi ed è un animale che fa la gioia della pubblicità televisiva. Io ho allevato colombi e colombi viaggiatori e il formarsi di coppie tra femmine che invece di due uova ne depositano quattro è un fenomeno raro ma non del tutto infrequente.

Il suo libro induce a chiederci se non sarebbe l’ora di riconoscere i diritti di tutti gli esseri viventi, animali compresi. C’è chi parla di riconoscere anche i diritti delle piante. È un riconoscimento essenziale anche per la vita stessa nel pianeta? È un atto di giustizia?

Proprio alla fine dell’introduzione mi soffermo per un paio di paragrafi sul concetto di unica salute del pianeta, la one earth: tutte le specie compartecipano a un equilibrio globale, al pianeta Terra. Sui diritti degli animali l’etologia ha dato grandi contributi: ha cominciato tra le due guerre mondiali, proseguendo con il premio Nobel per la medicina del 1973 ai tre etologi Konrad Lorenz, Nikolaas Tinbergen e Karl von Frisch a far vedere quanti aspetti di delicatezza e sofisticazione ci fossero nel mondo animale. Questo ha portato a un fatto poco noto: nel 2014 per la sperimentazione animale sono stati estesi anche ai molluschi cefalopodi particolari accorgimenti che erano obbligatori per le specie vertebrate cioè mammiferi, uccelli, rettili, pesci, anfibi: si è riconosciuto che anche i polpi e i calamari quando li mantieni a lungo per sperimentazioni vanno trattati bene; hanno un loro grado di coscientizzazione, un termine legislativo di origine teologica, fra animali senzienti e come tali vanno mantenuti secondo un disciplinare che ne rispetti il benessere psico-fisico e soprattutto ne minimizzi dolore e sofferenza. Anche da un punto di vista legislativo la sofferenza animale ha trovato una sua regolazione: oggi per chi fa male a un animale è più pericoloso e può incorrere anche in un reato penale.

Infine: lei ha un animale preferito? Qual è?

Mia moglie.

Viene in mente il libro, peraltro molto divertente, dello zoologo Gerald Durrell “La mia famiglia e altri animali” pubblicato in Italia da Adelphi (pp. 354, € 12,00).

Quando mia madre ha letto quel libro ha detto: “beata la mamma di Durrell perché in fondo lui aveva a casa delle specie animali abbastanza consuete mentre tu mi hai portato a casa qualsiasi mostro ti capitasse per le mani come volpi cieche e pipistrelli in letargo”.