Il segreto di una piccola fisarmonica verde che riportò la musica nel silenzio dell'Olocausto
Andrea Satta, musicista e scrittore, grazie ai ricordi del padre ricostruisce in un libro per ragazzi una pagina cancellata della Storia: la mattanza nel lager nazista di Lengenfeld
"Questa è una storia vera, la storia di un uomo normale, mica un eroe. Uno che partì in guerra perché si doveva partire e che tornò anche se era difficile tornare e, tra andare e svenire, ingoiò momenti di tragedia assoluta e sputò straordinario coraggio. Si chiamava Gavino S., grande narratore di silenzi, ed era mio padre".
Andrea Satta è un essere speciale. Di professione fa il pediatra nell'estrema periferia romana, dove vanno a vivere i migranti, quelli che riescono ad arrivare sulla terra ferma. Cura i bambini di tutto il mondo. Ha trasformato il suo ambulatorio in una casa con le pareti di vetro, dove chiunque è benvenuto, e dove le madri nell'attesa della visita raccontano a loro stesse e ai piccolini le fiabe del loro Paese: Cina, Africa, Filippine, Bangladesh, Italia... Sono le mamme narranti, il più semplice, immediato e formidabile paradigma dell'integrazione.
Andrea Satta è anche musicista, il suo gruppo si chiama Tetes de Bois. Insieme compongono canzoni che somigliano a poesie bislacche, a filastrocche gentili. Quando non prende il tram gira in bicicletta, ha inventato un sistema per produrre energia pedalando, un sistema che funziona, che durante i concerti accende le luci e gli amplificatori.
Andrea Satta è il figlio di Gavino S. nato in Sardegna, sopravvissuto alla strage nazista nel campo di concentramento di Lengenfeld. Una storia che ora è un libro per ragazzi, si intitola La Fisarmonica Verde (Mondadori, euro 16). Un libro per ragazzi consigliato anche ai grandi, e che prima di essere un bellissimo, commovente progetto editoriale è stato uno spettacolo teatrale per la regia di Ulderico Pesce. Una storia apparentemente piccola dentro la Storia grande segnata dalla guerra, dal sangue, dalle deportazioni, dalla fame, dalla morte.
Gavino S. dunque. Un ragazzo che il regime fascista spedisce nel Pelopponeso, durante la Campagna di Grecia. Dopo l'8 settembre del 1943 viene bloccato dai nazisti, accusato di tradimento, infilato su un treno piombato, destinazione Germania, al confine con la Polonia. Gavino, "narratore di silenzi", ha raccontato ad Andrea solo una parte della sua storia. Non ha voluto confessare la pagina più buia, più atroce, forse per lasciare in eredità al figlio un'idea di speranza, uno spiraglio di luce. Ma quello che vide quel soldato italiano fu ferocia senza limiti, la banalità del male moltiplicata all'infinito.
Perché a un passo dalla Liberazione, mentre i russi marciano verso Lengenfeld, il capo del lager - Joseph Hartmann - ordina alla sua squadra di morte prima di bloccare le uscite della baracca dove erano ammassati quaranta innocenti, poi lui stesso dà fuoco alla casupola in legno. Gavino S. si salva per caso, era in un terreno a cavare patate. Vede la scena dall'alto, urla in silenzio, fugge con il poco che trova nel campo di concentramento abbandonato dai nazisti: un cappotto, due fisarmoniche.
Nel 2005 Gavino muore. Solo allora Andrea ricostruisce quasi per caso i trascorsi del padre, grazie a una lettera nascosta in un libro di Giulio Bedeschi, "Centomila gavette di ghiaccio". Poi, molti anni dopo, con suo figlio Lao, va a Lengenfeld, un viaggio a ritroso, alla ricerca delle tracce di un ex ragazzo coinvolto in una guerra che non era la sua, in una mattanza con la quale ancora oggi è necessario fare i conti perché non accada più, mai più.
Quando Gavino S. esce dal campo di prigionia, prova ad orientarsi in un deserto gelato, cammina per tre mesi in luoghi che non ha mai visto, senza conoscere la lingua, disperato, affamato. A un posto di blocco russo i soldati chi chiedono in pegno una fisarmonica, consegna la più grande, tiene per sé quella piccola, una Grasselli, di colore verde. E arriva a Dresda, alla stazione, cercando di prendere un treno che lo riporti indietro, a casa. Ma è a quel punto che lo vede, vede seduto su una panchina, vestito con abiti borghesi Joseph Hartmann, il boia. Forse qualcun altro minacciando, ricattando, lo avrebbe picchiato a sangue, provando a pareggire i conti a proprio modo. Non Gavino S. Lui no, mica un eroe. Lui, con la poca forza che ha, prende il carnefice tedesco per un braccio e lo trascina fino al comando di polizia per denunciarlo. Denuncia il Lagerfurher. Nel foglio ritrovato da Andrea, tra le pagine del romanzo di Badeschi, c'è la lettera inviata al Comando americano, l'atto definitivo, l'accusa che inchioderà il gerarca.
E poi, finalmente, dopo un'odissea lunghissima il ragazzo sardo arriva a Roma: pesa appena 40 chili, ha solo un vecchio cappotto e una fisarmonica verde. Per il resto dei suoi giorni insegnerà il francese nelle scuole serali, guarderà i tram sferragliare lungo via Casilina e, con infinita dignità, misurando le parole, ricordando per bisogno di giustizia e non per vendetta, sfiorando i tasti di una Grasselli, tramanderà alla sua famiglia la lezione della schiena dritta.
La stessa che Andrea ha imparato così profondamente e che lo rende un essere speciale, capace di avere cura degli altri. La più grande lezione, quella di chi tiene in vita la memoria non solo per dare fiato al respiro della Storia ma per proteggere il futuro.