Roberto Vecchioni: "La mia magnifica ossessione che mi ha salvato la vita"
A 80 anni il professore della musica si è regalato un sogno, accarezzato in tanti anni di fogli sparsi qua e là, di domande infinite e di ricerche notturne, di letture sottolineate e scoperte mai immaginate, in quel “gioco famelico a sapere e chiarire”. E ha scritto un libro sulla parola
Più che un amore, una magnifica ossessione. Di quelle che danno felicità e di cui non riesci più a fare a meno. Per Roberto Vecchioni, il professore della musica, le parole sono piccoli suoni magici capaci di tradurre emozioni, simboli capaci di decifrare codici interiori e grovigli misteriosi, specchio fedele dell’anima. Ed è per questo che la nostra videointervista si svolge davanti allo specchio di un camerino: “Me ne sono innamorato quando ero un bimbetto di 3 anni e sentivo questi suoni magici uscire dalla bocca della mia mamma. Capivo che a seconda del tono si trattava di una minaccia, di un avvertimento o di qualcosa di dolce. E allora mi sono detto: classifichiamoli questi suoni. E ogni volta che trovavo parole nuove le andavo a cercare, volevo sapere da dove venivano. Perché le parole non sono comunicazioni fittizie per dirci qualcosa, hanno una nascita e corrispondono a sentimenti che vengono fuori. Nascono piccole e poi si allargano. E con i suffissi diventano aggettivi, verbi. E la loro storia che è lunghissima e parte da sette mila anni prima di Cristo era bello riscriverla”.
Così, a 80 anni, Vecchioni che mantiene la curiosità di un ragazzino e un entusiasmo irrefrenabile per etimologia, letteratura, filosofia e il sapere tutto, si è regalato un antico sogno, accarezzato in tanti anni di appunti e fogli sparsi qua e là, di domande infinite e di ricerche notturne, di letture sottolineate e scoperte mai immaginate, in quel “gioco famelico a sapere e chiarire”. E ha scritto un libro sulla parola. E sulla storia e le leggende che l’attraversano. Il titolo è accattivante, “L’orso bianco era nero”, ma lo è ancor di più la lettura perché Vecchioni ha il dono di saper raccontare le cose più complesse in modo semplice e di rendere affascinanti anche i rompicapo storico-linguistici più complicati. Il tutto, senza mai peccare in erudizione, ma sempre con quello sguardo da bambino innamorato che cerca di decifrare i suoni magici nella bocca materna.
Che cos’hanno di speciale le parole?
“A volte le parole hanno un significato ma contengono una metafora, soprattutto in poesia. Sono simboli. Per cui sono varie, si muovono da tutte le parti. Sono animaletti preziosi che vanno di qua e di là e sono parole che si somigliano tutte. O almeno quelle che ho cercato io, che sono quelle indoeuropee. Perché abbiamo una familiarità di pensiero noi indoeuropei, che poi siamo tanti perché siamo tre quarti del mondo. Perché c’è anche l’America del Nord e del Sud, spagnola, portoghese, gli iraniani, i pachistani”.
All'inizio del libro pubblichi il testo di una tua canzone, “Parola”, che si conclude con questa frase: “la parola ferita a morte”. Perché è ferita a morte la parola?
“Perché sono cambiati i tempi, perché lentamente, progressivamente, i giovani hanno trovato altri linguaggi, ma tutto dipende anche dalla situazione sociale. Non accettando la situazione sociale, e anche giustamente, hanno inventato il loro linguaggio, il loro modo di comunicare, che è ricco di emoticon, più visivo, che non sonoro, e quindi lentamente alcune parole si sono perse. Oltretutto questo avviene anche per i più grandi, perché nessuno sa che cosa veramente racchiude una parola o una frase: tutti danno per scontato che sia quello da sempre, e invece non è vero per niente perché è cambiata, si è mutata, si è trasferita, si è mischiata con altre parole fino ad arrivare a quello che è adesso. Spesso ripeto quello che diceva il grande De André: “se sbaglio l'aggettivo non faccio uscire una canzone. Finché , non trovo quello giusto”.
Qual è la parola non sopporti proprio?
“La parola che non sopporto è violenza, tutte le parole violente. Anche guerra. E un’altra ancora, ignoranza voluta, perché si può essere ignorante perché non si ha la possibilità, ma quando sei ignorante perché accetti la tua ignoranza, sei meschino, piccolo”.
E la parola che più ti piace?
“La parola più bella ovviamente è amore, ma amore non soltanto per una donna o per un uomo. Amore nel senso che noi siamo circondati da un meraviglioso involucro d'amore e dobbiamo scoprire l'amore in ogni cosa, piccola o grande che sia. Questo miracolo ci congiunge alle cose e supera perfino l'odio”.
Alla tua “giovane” età sei pieno di impegni: pubblichi album, fai tour, scrivi saggi e romanzi e sei pure diventato un personaggio televisivo grazie alla partecipazione a “In altre parole”. Dove trovi tutta questa energia e a cosa tieni di più?
“Credo che sia l'entusiasmo, l'entusiasmo della scoperta, il non accontentarsi mai di quello che vedi, il non restare mai nell'ovvio, nel luogo comune, perché è noiosissimo il luogo comune. Per me vale quello che diceva Ungaretti: “Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso”: è una frase bellissima per dire “oh che meraviglia ho trovato, non solo una parola, ma una situazione, un’idea, un pensiero che non avevo e questo vale la vita”. Continuare a scoprire vale la vita”.
