Dalla parte del fuoco: un libro che ci spiega come il Bambi disneyano ci ha convinti che fuoco e incendi siano la stessa malefica cosa
Può un cartone animato influenzare tanto la cultura di un'epoca trasformando un elemento naturale in un nemico esclusivamente umano ed estraneo agli ecosistemi naturali? Sì, ecco come.
Anche questa estate il nostro Paese ha dovuto vivere il lutto, perché di lutto si tratta, degli incendi. Sardegna e Calabria sono state le più colpite in assoluto. All'estero Grecia e Turchia hanno ugualmente vissuto una stagione terribile. Ogni volta che questo accade e cioè che gli incendi inceneriscono le nostre foreste, proviamo tutti un senso di dolore, smarrimento e impotenza, come se ci avessero strappato l'ossigeno e la bellezza e la rabbia verso chi ha provocato tutto questo diventa incontenibile. Ciò accade perché non si comprende il fenomeno e la politica da sempre non sa assolutamente come intervenire per estirpare una piaga che sta letteralmente distruggendo il nostro habitat naturale, uccidendo animali e a volte facendo vittime anche tra le persone.
Per capirne di più abbiamo incontrato uno dei massimi esperti italiani. Si tratta di Giuseppe Mariano Delogu, autore del libro “Dalla parte del fuoco ovvero il paradosso di Bambi” (Ed. Il maestrale, 2013) autore di diverse pubblicazioni scientifiche sull’argomento; è laureato in Scienze Forestali e titolare di un “Master in Ciencia y Gestion de incendios forestale” (Masterfuego, 2014). Già dirigente regionale del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale della Regione Sardegna ora ritirato, collabora a progetti di ricerca e divulgazione delle problematiche sugli incendi in ambito mediterraneo ed internazionale.
Perché un paradosso della nostra epoca vede l'esclusione del fuoco dai sistemi naturali a dispetto della importante funzione ecologica che il fuoco ha sempre svolto. Le politiche di esclusione totale del fuoco per prevenire gli incendi, in area mediterranea, stanno determinando un ulteriore paradosso: l'accumulo dei combustibili vegetali nei territori scatena i cosiddetti grandi incendi forestali che nessun apparato tecnologico antincendio è in grado di domare. Si invocano così interventi speciali o straordinari (di tipo militare) e ci si dimentica che la via maestra è costituita dalla prevenzione, intesa in senso ampio a partire da politiche di Fire management, selvicoltura preventiva, riduzione dei combustibili, educazione dei cittadini, nuove strategie urbanistiche. Il presente volume affronta con chiarezza, passione e competenza questi e molti altri problemi, andando alla riscoperta del fuoco quale fattore ecologico antichissimo, utilizzabile dall'uomo per vivere in modo più sicuro.
Perché al Sud il fenomeno degli incendi è molto più marcato che nel Nord? Se si parla dell'Italia, che ha uno sviluppo nord-sud entro il Mediterraneo, si osservano differenze stagionali importanti: a sud e nelle isole gli incendi sono prevalentemente estivi, mentre al nord prevalgono quelli invernali: la ragione sta nel diverso periodo di siccità che al nord coincide con la stagione fredda, quando la vegetazione entra in aridità fisiologica a causa delle basse temperature (ghiaccio); al sud e nelle isole l'aridità fisiologica coincide con mesi e mesi di assenza o scarsità di piogge. In realtà non si può dire che il fenomeno sia più marcato al sud: oggi anche il centro-nord Europa sta subendo lunghe fasi di secco con milioni di ettari di boschi indeboliti dallo stress idrico e esposti alle fiamme. E in Piemonte e in Friuli negli anni scorsi abbiamo visto incendi di migliaia di ettari bruciare per oltre un mese.
Potrebbe definire quale è il profilo classico del piromane? Perché lo fa? Esiste una cultura o meglio una sottocultura incendiaria? Il piromane è una figura "mitologica": in realtà sono pochissimi i casi di piromania, cioè della malattia psichica che si manifesta con un piacere nel vedere le fiamme svilupparsi e talvolta si accompagna alla presenza del malato sul luogo dell'incendio che ha appiccato per farsi vedere attivo nello spegnimento. Nella stragrande maggioranza degli incendi "dolosi"(cioè volontari) si deve parlare di "incendiario", cioè persona pienamente consapevole di ciò che fa e perciò responsabile di un delitto. Tra questi però ritengo che si debba parlare di singole persone, non di crimine organizzato, almeno in Sardegna, legato spesso al disagio (tossicodipendenza, microcriminalità, giochi di bambini lasciati da soli e a cui piace vedere volare gli elicotteri etc.) Ci sono poi tanti casi, di incendi "colposi"(cioè involontari) causati per leggerezza, stupidità, mancato funzionamento di sistemi tecnologici (scariche elettriche in campagna, uso di saldatrici, troncatrici, marmitte catalitiche di auto, sigarette lanciate in cunetta per abitudine (non necessariamente con la intenzione di creare un danno).
Quanto incide il cambiamento climatico e quanto l'incuria degli amministratori in questi disastri? Direi che il cambiamento climatico sta già facendo il suo corso: è già qui, i dati IPCC lo dimostrano, con un netto incremento rispetto al 1990 dei fenomeni estremi (di maggiore intensità e più frequenti). Le estati mediterranee sono più lunghe e così la stagione degli incendi: fino al 1990 le campagne antincendi andavano dal 1 luglio fino al 15 settembre, oggi iniziano di fatto il 1° giugno e finiscono il 15 ottobre. La stagione appena passata ha presentato almeno 3 settimane continuative tra luglio e agosto di temperature elevate oltre media e scarsa umidità atmosferica nelle zone interne dell'isola. Quanto all'incuria parlerei dell'incuria di tutti noi, non solo degli amministratori: si registra una forte riduzione nella gestione attiva dei boschi, delle campagne, soprattutto nella riduzione del carico combustibile (rovi sui muri a secco, canneti, fieno in prossimità delle periferie cittadine, sotto i quali spesso sono nascosti rifiuti di ogni tipo che aumentano il pericolo.
Cosa è il "paradosso di Bambi"? Nel mio libro "Dalla parte del fuoco" ho voluto introdurre il concetto della scomparsa virtuale e sostanziale del fuoco dalla nostra cultura, proprio come rimozione culturale - a partire dalla società industriale - del fuoco dai nostri ecosistemi. Il riferimento al Bambi disneyano nasce dal messaggio contenuto nel famoso cartone animato in cui il fuoco appare come umano, esclusivamente umano ed estraneo agli ecosistemi naturali, e perciò da escludere dalla nostra vita. Sappiamo invece che il fuoco, che esiste ben prima della comparsa dell'uomo sulla terra, ha partecipato a forgiare i nostri ecosistemi e li ha resi non solo resistenti ma in certi casi "dipendenti" da esso per potersi rinnovare: la macchia mediterranea ne è un esempio, la quercia da sughero un altro, certi pini che solo dopo essere totalmente bruciati aprono le pigne liberando i semi dando origine ad una nuova popolazione. E anche l'uomo ha avuto il fuoco come compagno nella sua evoluzione sociale. Non possiamo dimenticarcene e dobbiamo recuperare un sano rapporto con il "fuoco buono" per evitare quello "cattivo" degli incendi.
Il fuoco è nostro amico? Può spiegarci le sue funzioni positive anche in contrasto agli incendi? Come ho appena detto, il fuoco ha modellato i più bei paesaggi della nostra terra: il mosaico di pascoli, di boschi, alternati alle colture agrarie sono conseguenza anche dell'uso comunitario del fuoco, alla fine del ciclo agrario, tra settembre e ottobre: dopo il raccolto del grano, dopo il pascolo delle stoppie, i terreni di uso comunitario venivano "bruciati" dai nostri agricoltori prima dell'avvio della nuova coltura. Le macchine hanno sostituito questa tecnica ma non hanno introdotto una migliore cura del suolo (anzi, spesso lo hanno alterato con lavorazioni profonde!). Oggi la riscoperta delle tecniche di maneggio del fuoco tradizionale, associato alla ricerca scientifica e alla professionalità (fuoco prescritto, cioè il fuoco applicato con il bisturi delle torce dagli operatori abilitati) può aiutare a creare discontinuità nello spazio abbandonato e ridurre la possibilità che le fiamme diventino fuori controllo nelle stagioni secche; durante un incendio l'uso del fuoco tattico e del controfuoco (anche questo richiede una elevata professionalità e conoscenza del rischio che si affronta). L'uso del fuoco prescritto richiede una attenta pianificazione dei luoghi dove intervenire (non dappertutto dunque) che noi chiamiamo "punti critici", cioè quelli in cui le fiamme possono cambiare comportamento e diventare più aggressive. L'uso di adeguati simulatori consente una ottima progettazione. Non deve tuttavia mancare la partecipazione dei cittadine per una maggiore consapevolezza del rischio che non è delegabile a nessun mezzo aereo dedicato alla estinzione. E naturalmente deve svilupparsi una adeguata valorizzazione del bosco come bene anche economico in modo da rendere la gestione sostenibile (e non assistita) e più efficace nella prevenzione.