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Enrico Franceschini si racconta: "La mia favola diventata realtà. Da New York a Mosca, che avventure incredibili"

Il corrispondente esteri de La Repubblica ci parla di "Come girare il mondo gratis, un giornalista con la valigia": "L'intervista a cui sono più affezionato? Quella a Michail Gorbačëv il giorno della caduta dell'Unione Sovietica"

Francesca Mulasdi Francesca Mulas   
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“Qualche volta i sogni, come nelle favole, diventano realtà”. La favola di Enrico Franceschini, giornalista bolognese, una carriera di oltre quarant'anni come corrispondente per La Repubblica da Stati Uniti, Russia, Medio Oriente e Inghilterra, è iniziata quando aveva 23 anni: nel 1979 ha preso un volo per New York, in valigia un migliaio di dollari per le prime spese e una Olivetti portatile, con il sogno di diventare giornalista: "A sedurmi, soprattutto, l’idea totalmente romantica di diventare un corrispondente dall’estero". I primi anni non sono facili, ma una incredibile tenacia e una serie di scelte fortunate nel posto giusto al momento giusto lo portano a realizzare il suo desiderio e conquistare un contratto giornalistico. La storia di Franceschini, che oggi ha 66 anni, è in pensione ("Ma non a riposo – sottolinea – continuo a collaborare per Repubblica") e vive a Londra è raccontata in "Come girare il mondo gratis, un giornalista con la valigia", pubblicato pochi mesi fa da Baldini+Castoldi; il libro è stato presentato ieri a Cagliari nel giardino della Fondazione Siotto, questa sera sarà alle 19 a Sant'Antioco per la rassegna Maggio dei Libri in collaborazione con l'associazione Iklos.

"Ho sempre continuato ad amare l'Italia come un amore che mi fa battere il cuore, ma se stai tanto tempo lontano alla fine non stai più bene da nessuna parte, quando sono in Italia mi manca Londra e viceversa, il mio posto migliore è un aeroplano che va da un luogo all'altro", ci racconta poco prima della presentazione cagliaritana. E in effetti Enrico Franceschi ha trascorso 43 anni dei suoi 66 anni lontano dal suo paese con venti traslochi tra cinque capitali (New York, Whashington, Mosca, Gerusalemme e Londra) e tre continenti, ha incontrato un'infinità di persone diverse, ascoltato lingue e storie da tutto il mondo, ha lavorato con colleghi e colleghe di centinaia di testate giornalistiche e intervistato i protagonisti della nostra storia recente. Il libro, che La Gazzetta di Parma ha definito "un manuale di viaggi e giornalismo", è anche una curiosa galleria di ritratti e una interessante autobiografia ricchissima di aneddoti e storie. Come quella su Bruce, il ragazzo che lavora alla caffetteria sotto casa, uno dei primi ad accogliere il giovane Enrico nell'avventura americana con un caffé e un sorriso, che un giorno sparisce perché ha avuto finalmente la parte di attore in una serie tv: "Willis - avvisa il nuovo barman - si chiama Bruce Willis. Ricordatelo, magari un giorno lo vedrai anche al cinema".

E poi ci sono decine, centinaia di interviste ai protagonisti dello spettacolo, della politica, dell'arte, della musica incontrati in tutto il mondo: Robert De Niro, Federico Fellini, Sergio Leone, Stephen Hawking, Nicole Kidman, Pelé, Ai Weiwei, Renzo Piano, Usain Bolt, Bruce Springsteen. "L'intervista a cui sono più affezionato? Era il 1991 e ho incontrato Michail Gorbačëv al Cremlino poche ore dopo le sue dimissioni e la fine dell'Unione Sovietica – ci racconta ancora - mi colpì perché non trovai un uomo amareggiato, arrabbiato stanco e depresso, ma un uomo che aveva ancora una speranza, la speranza che quel seme della democrazia che lui aveva piantato sarebbe continuato a crescere".

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