Tiscali.it
SEGUICI

Carlo Petrini di Slow Food: "La cucina italiana la migliore del mondo? Ecco perché non è vero"

Intervista al patron dell'associazione, oltre che scrittore e sociologo: "Senza biodiversità alimentare il pianeta si impoverisce". E parla di buona alimentazione prodotta in forme sostenibili, insetti, mercati, contadini, di vendita online. "Serve la moderazione dei consumi. Vi svelo qual è il mio piatto preferito

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

Carlin Petrini, all’anagrafe Carlo, è fondamentalmente un uomo curioso del mondo. Nel 1989 ha fondato Slow Food, un’associazione che, con interventi graduali e capillari, ha cambiato il rapporto di molti con il cibo e con la cultura alimentare. Per dirla in sintesi, il movimento si pone come alternativa concreta e di pensiero verso una civiltà votata tutta al consumo, al consumismo, al produrre massicciamente in quantità industriali a scapito di sapori, odori e, spesso, causando danni all’ambiente e a ciò che ci nutre. Da Slow Food è poi nata Terra Madre, una rete di piccoli agricoltori, piccoli allevatori, piccoli pescatori, cuochi e altre figure professionali che sono attente sia alla qualità di un cibo sano sia a quanto sia necessario produrre senza danneggiare il pianeta Terra. Nato nel 1949, Petrini è gastronomo, scrittore, sociologo.  

Clicca qui per il sito di Slow Food

Petrini, voi vi battete fin dall’inizio in difesa della biodiversità nel cibo quando la biodiversità era un concetto assodato per gli scienziati, non per la pubblica opinione né per la stragrande maggioranza degli esponenti politici: perché la ritenete così rilevante?

La difesa della biodiversità è uno dei principi fondanti di Slow Food. Quando è nato il movimento l’elemento distintivo era valorizzare la diversità gastronomica e i saperi tradizionali in campo alimentare. Rispetto allo sviluppo di un concetto di fast food, sempre più caratterizzato da un modello unico, noi lavoravamo e lavoriamo tuttora per la diversità gastronomica. Nello stesso tempo oltre che sulla diversità di cucine viene fuori un elemento distintivo di questa fase storica, ovvero la progressiva scomparsa di materie prime rispetto a una produzione intensiva dei cibi, frutta, verdura, animali, che premia le razze e le specie più forti rispetto a quelle meno produttive. Ma proprio l’abbandono di queste specie e razze animali meno forti genera un depauperamento che a lungo andare si riflette su tutta la catena alimentare. Slow Food opera su questo fronte.

Cosa rischiamo di perdere?

Noi come movimento abbiamo un patrimonio immenso che si concretizza in oltre cinquemila prodotti, tra frutta, verdura e specie animali, e fa parte di quella che con una metafora abbiamo chiamato l’ Arca del gusto (clicca qui per il sito). Sono prodotti che con l’omologazione e le produzioni intensive rischiano di scomparire perché sono piccole realtà territoriali con un senso e una loro storia proprio nei territori. Nel momento in cui abbiamo fatto la denuncia molti di questi prodotti sono stati rivendicati dalle comunità per farne un elemento di economia locale forte e identitario. Le comunità si sono organizzate non solo per difendere i prodotti dell’Arca in pericolo di estinzione ma per farli diventare uno strumento importante per rafforzare l’economia locale. Ci sono oltre mille presidi. Questi prodotti sono stati messi in sicurezza.

Clicca qui per il sito Terra Madre

Cosa ne pensa del cosiddetto “novel food”, delle prospettive di nuovi tipi di cibo? Vengono in mente gli allevamenti di insetti che possono fornire proteine. È una prospettiva fattibile? Già si consumano in varie zone del mondo.

Proporre elementi di alimentazione tradizionale realizzata in altre parti del pianeta, come gli insetti, è una cosa. Proporre invece nuove forme di tecnologie che creano questi modelli di carne-non carne e interventi di tipo genetico è un’altra cosa. La costante ricerca di nuovi modelli alimentari fa parte della storia dell’umanità: pensiamo all’epopea delle spezie che hanno comportato cambiamenti profondi; pensiamo allo scambio tra il continente americano e l’Europa nel ‘500 e che ha determinato forme di alimentazione innovative come il mais. Detto questo bisogna saper discernere e valutare se farlo diventare un modello unico. Che tutto il mondo mangi insetti dipende anche dalla piacevolezza dell’operazione, non solo dagli aspetti nutrizionali.

Da più parti si diffonde uno schema che danneggia il pianeta: produrre in quantità industriale carne richiede una tale quantità di acqua e destina all’allevamento territori che vengono devastati per coltivazioni intensive.

C’è un modello che antepongo a questa diversità: la moderazione dei consumi. Non siamo chiamati a diventare tutti vegetariani ma ridurre drasticamente il consumo di carne è possibile e fa anche bene alla salute. Allora si tratta di scegliere quale carne mangiare. Una carne allevata nel rispetto del benessere animale e nella forma di alimentazione, per esempio in pascoli adeguati e non in maniera intensiva, ebbene, ci sta. Le buone pratiche possono passare anche attraverso una moderazione e, in campo alimentare, non è una mortificazione: il piacere alimentare ha una sua ragion d’essere nel trovare un equilibrio con la moderazione. La crapula che punta al codificare il piacere rispetto alla quantità è profondamente sbagliata: il piacere alimentare trova forme proprio nella moderazione.

 

Manifestazione di Slow Food e Terra Madre. Foto Archivio Slow Food

 

Chi coltiva la terra in territori come l’Italia però ha guadagni davvero magri. Lei cosa suggerisce?  

Uno degli elementi distintivi di questa fase storica è rafforzare le economie locali. Siamo in presenza di un mercato globale. Se su questo concetto misuro tutte le mie performance negli anni a venire, consegno anima e corpo a un modello che non è funzionale. Mi spiego: rafforzare l’economia locale significa rafforzare le relazioni con i contadini del territorio, immaginare un uso del territorio diverso, un sistema distributivo più basato sulla relazione che su budget e profitti. L’implementazione dei mercati contadini è un modello totalmente diverso dalla concentrazione dei supermercati e peggio ancora di questa vendita online che sta invadendo tutto il mercato e sta distruggendo e abbattendo i valori nei confronti dei contadini. Dove nasce una vendita online dei prodotti freschi automaticamente i contadini perdono un 20% del loro reddito. Allora ipotizzare forme diverse di economie locali con un rapporto diretto produttore-cittadino, con la valorizzazione della biodiversità di quel territorio, è un modello totalmente diverso nel quale si può disegnare un futuro possibile e anche piacevole.

Nel vostro sito alla voce “Advocacy” ricordate come i migranti climatici potrebbero raggiungere i 140 milioni nel 2050, di cui 86 milioni dall’Africa subsahariana. Dite anche che questi migranti portano con sé un bagaglio di semi, ricette e tradizioni che possono arricchire il territorio di destinazione, in questo caso l’Italia. Questa prospettiva si sta avverando? 

Come ho detto prima, rispetto alla tendenza dell’umanità di elaborare costantemente forme di futuro alimentare, un’altra questione caratterizza da sempre l’aspetto gastronomico: è quella delle forme di meticciato che le diverse culture inseriscono nei territori. Faccio un esempio: noi italiani tra gli anni ’80 dell’ 800 e il 1950 siamo stati artefici di una migrazione di oltre 26 milioni di persone, l’equivalente degli abitanti al momento dell’unità d’Italia. Erano 26 milioni e questa moltitudine si è radicata sui territori e ha portato la cultura italiana a forme di meticciato con le realtà locali: magari i prodotti non erano uguali. A questo non scappa neppure la nostra Europa perché se intere comunità si radicano in territori nuovi è automatico che le forme di meticciato se non alla prima ma alla seconda generazione saranno operanti. Questi innesti portano anche prodotti e gusti innovativi che possono trovare anche il consenso delle persone autoctone. È però un fenomeno che appartiene alla storia dell’umanità.

In questo momento per lei, Petrini, quali sono i cibi o le bevande preferiti? A titolo personale.

Sintetizzo così: il mio piatto preferito è la curiosità che cerco di tenere vivida attraverso i viaggi e le mie conoscenze. Se vado in un Paese non antepongo il gusto della mia cultura per cui voglio mangiare italiano, la curiosità mi spinge ad assaggiare le gastronomie di quel territorio e ciò rende quei piatti i miei preferiti in quel momento. Dovrebbe essere una politica per tutti e certo per un gastronomo: se uno non ha la curiosità di conoscere la diversità non è un gastronomo.

Vale per tutti però. Se si è in viaggio in un altro paese non vorremo mangiare spaghetti, no?

Conosco invece tante persone che all’estero si sentono smarriti senza i prodotti di casa. Oppure una logica sciovinista dice “ah, beh, non c’è niente nel mondo come la cucina italiana”. Non è assolutamente vero.

C’è chi all’estero va nei fastfood conosciuti perché si sente rassicurato.

Vale sempre il detto De gustibus non est disputandum: se a uno piace mangiar male non c’è santo che lo fermi.

Scoprire altri cibi è uno degli aspetti più divertenti del viaggiare?

È evidente. Ogni gastronomia va rispettata e quella di quel posto è la sintesi del territorio, delle caratteristiche pedo-climatiche, dei suoli.

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
I più recenti
Lo scultore Daniele Pinna e due statue di Riva (Foto Tiscali)
Lo scultore Daniele Pinna e due statue di Riva (Foto Tiscali)
Luca Foschi. Al centro, soldati in Ucraina e un bimbo tra le macerie di Gaza (Ansa)
Luca Foschi. Al centro, soldati in Ucraina e un bimbo tra le macerie di Gaza (Ansa)
Ragazze, scegliete la via che vi rende felici. Elena Cattaneo in libreria racconta la scienza al...
Ragazze, scegliete la via che vi rende felici. Elena Cattaneo in libreria racconta la scienza al...
Le Rubriche

Daniela Amenta

Sono giornalista. E ho scritto anche tre libri diversissimi tra loro: un giallo...

Fabio Marceddu

1993 - Diploma triennale come attore dell'Accademia d'arte drammatica della...

Ignazio Dessi'

Giornalista professionista, laureato in Legge, con trascorsi politico...

Cinzia Marongiu

Direttrice responsabile di Milleunadonna e di Tiscali Spettacoli, Cultura...

Stefano Miliani

Giornalista professionista dal 1991, fiorentino del 1959, si occupa di cultura e...

Francesca Mulas

Giornalista professionista, archeologa e archivista, è nata a Cagliari nel 1976...

Giacomo Pisano

Giornalista pubblicista, laureato in archeologia medievale e docente di...

Cristiano Sanna Martini

In passato ha scritto per L’Unione Sarda, Il Sole 24 Ore, Cineforum, Rockstar...

Claudia Sarritzu

Giornalista, per 10 anni anni ha scritto di politica nazionale e internazionale...

Camilla Soru

Cagliaritana, studi classici, giornalista pubblicista, ha intrapreso la carriera...

Cronache Letterarie

Ho fondato Cronache Letterarie nel 2011 con un’attenzione a tutte le forme di...