Brindani, giallo in redazione: "Verità e notizia non sempre coincidono. Maria Rosaria Boccia? Non è finita qui"
"Il mio giornalista-detective ha molto di me ma è ispirato anche a un cronista sardo purtroppo scomparso, Giangavino Sulas. Maria Rosaria Boccia? Sono uno dei mille giornalisti che le ha chiesto un'intervista"
“La ragazza è morta. Stecchita. Ma io che c’entro. Mica faccio l’investigatore”. Inizia così “Suicidio imperfetto” (Armando Curcio Editore), il primo romanzo di un debuttante di lusso come Umberto Brindani, volto e firma del giornalismo italiano da oltre 40 anni, già condirettore di “Panorama” e poi direttore, tra gli altri, dei settimanali “Tv Sorrisi e Canzoni”, “Oggi” e “Gente”, che guida tutt’ora.
Un giornalista di nera diventa suo malgrado detective
Un romanzo giallo dove niente è ciò che sembra e dove il suicidio della figlia del suo editore, costringe suo malgrado, un cronista di nera, ormai stanco e demotivato perché inviso al direttore che lo tartassa con servizi impossibili o pezzi risibili, a improvvisarsi detective e a cercare la verità di una morte improvvisa e inspiegabile. I colpi di scena si alternano a una descrizione piuttosto sconsolante della realtà delle redazioni, fatte di open space semi-disabitati e di giornalisti-impiegati. Il tutto, condito con grandi dosi di ironia, connaturata nel dna dell’autore.
Perché un debutto così tardivo?
“Scrivere un romanzo era un’idea che avevo in testa da molti anni. Così quando mi è capitato di avere del tempo libero da impegni lavorativi l’ho scritto. È un romanzo giallo come si deve, nel senso che si parte con un cadavere. Sono tanti i colpi di scena e le situazioni che si succedono per il mio protagonista che, detective suo malgrado, vuole portare a casa la pelle”.
Che tipo è il tuo giornalista?
“Si chiama Pier Balzani ma tutti in redazione lo chiamano “ispettore” perché da tanti anni si occupa di morti ammazzati, sequestri di persona, gialli irrisolti e ci si appassiona. Nel suo personaggio c’è molto di me ma è ispirato a un giornalista sardo che purtroppo non c’è più, era un grande cronista e un mio caro amico. Si chiamava Giangavino Sulas ed era lo storico cronista di nera del settimanale “Oggi”. L’ho conosciuto nel 2010, quando divenni direttore di quel settimanale, e lui era effettivamente già in pensione e messo un po’ da parte. Ma in lui ho scoperto una verve e una volontà appassionata di andare oltre le verità ufficiali. Con Giangavino ho lavorato molti anni e molto bene”.
Nell’ultima di copertina c’è scritto “La notizia e la verità dovrebbero essere le due facce della stessa medaglia”. Invece non lo sono?
“Parlando di cronaca nera e di delitti molto spesso la verità ufficiale e quella giudiziaria non corrispondono alla verità vera. Il compito di un giornalista come quello del mio romanzo è proprio quello di cercare la verità vera, in modo che la notizia, e cioè il delitto, e il colpevole, e cioè ciò che è realmente successo, siano la faccia della stessa medaglia. Purtroppo oggi nelle redazioni lo si fa molto poco, soprattutto dove bisogna inseguire l’immediatezza della notizia, nei siti, nei tg e nei quotidiani. Ogni tanto lo si riesce ancora a fare nei settimanali e nei periodici dove c’è più tempo e maggiore volontà di andare oltre a quello che ci viene propinato dalle fonti ufficiali”.
In questi giorni sui giornali campeggia il caso di Maria Rosaria Boccia e dell’ex ministro Sangiuliano. Che idea ti sei fatto di lei?
“Credo di essere tra i mille giornalisti che hanno cercato di intervistarla. Lei ha scelto prima “La Stampa” e poi “In onda” sul La 7. Infine, non si è sentita sufficientemente tutelata con Bianca Berlinguer e con gli atri giornalisti che avrebbero dovuto incalzarla a “È sempre Carta Bianca”. È una storia che sembra scritta da uno sceneggiatore di una serie tv: un ministro che si mette nei guai per una collaboratrice, amica o magari amante facendo tremare addirittura il Governo. La mia sensazione? La storia non è affatto finita e ci saranno sicuramente altri colpi di scena”.