Paolo Fresu: "Che cos'è il jazz? Una voce di libertà e una lezione di vita che si impara ascoltando gli altri"
Intervista al musicista che con Riccardo Gola e Vittorio Albani ha scritto "La storia del jazz in 50 ritratti": un compendio amorevole e necessario
C'è sempre un prima e un dopo in una grande storia d'amore. Il prima è un ragazzino che suona le marcette nella banda del paese, Berchidda, nel nord della Sardegna. Il dopo è un crescendo di tappe: l'acquisto, a Sassari, di un mangiadischi color pisello, gli ascolti ripetuti di musicassette con gli album di Duke Ellington e John Coltrane, la radio incollata alle orecchie per carpire gli assoli di Fats Navarro. Il jazz entra così nella vita di Paolo Fresu, trombettista e filicornista, musicista dotatissimo e mercuriale capace di celebrare tanto David Bowie quanto le partiture magnetiche di Miles Davis e gli struggimenti di Chet Baker. Un'icona del jazz italiano nel mondo. Una discografia infinita, oltre 200 album, collaborazioni da far girare la testa e un festival - Time in Jazz - che quest'anno compie 34 anni e si apre ai bambini, ospiti d'eccezione dei campus didattici gratuiti ideati da Sonia Peana, compagna d'arte e di vita di Fresu.
Non solo musicista ma anche scrittore. Non è la prima volta che Paolo racconta in un libro le vertigini del jazz. Lo aveva già fatto con Musica Dentro (Feltrinelli 2009), La musica siamo noi (Il Saggiatore 2017), Poesie jazz per cuori curiosi (Rizzoli 2018). Ma con questo saggio appena pubblicato da Centauria, Fresu rende omaggio ai musicisti che lo hanno ispirato, che ha amato, che ha ascoltato con un brivido e una fitta di stupore. Si intitola "La storia del jazz in 50 ritratti" ed è un lavoro in forma di trio: con Paolo che si racconta in una lunga, intima introduzione ci sono Riccardo Gola che ha realizzato le magnifiche illustrazioni e il giornalista Vittorio Albani che ha cesellato con amore supremo le schede biografiche degli artisti.
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Cinquanta ritratti jazz firmati da Paolo Fresu
Mi ha colpito il linguaggio usato nel libro: semplice, efficace, comprensibile anche per i neofiti. Ecco, la mia impressione è che con questo saggio abbiate voluto parlare ai più giovani, ai ragazzi e alle ragazze, indicare la stella cometa del jazz che non ha mai smesso di brillare. E' così?
Assolutamente si. Devo dire che all’inizio non volevo scrivere questo libro. Non essendo uno storico né uno studioso della storia del jazz mi sentivo inadatto. Poi ci ho ripensato ed è stato grazie all’illustratore Riccardo Gola (che è anche un contrabbassista di jazz) che ho deciso di accettare di scrivere una storia del jazz anomala attraverso 50 ritratti di altrettanti protagonisti di un mondo, musicale e umano, straordinario. Pertanto ho scelto i 50 nomi e scritto il lungo testo introduttivo rileggendo la storia del jazz attraverso la mia storia di scoperta e poi di collaborazione con tanti artisti. I 50 ritratti sono invece stati scritti da Vittorio Albani che, oltre ad essere un giornalista e un conoscitore del mondo del jazz, è da sempre anche il mio agente.
Ciò che uscito fuori è un gioco numerico oltre che una storia del jazz che racconto in maniera personale e che spero sia utile ai giovani e ai tanti che sanno poco di jazz. Magari anche a quelli che dicono di non amare questa musica senza averla mai ascoltata e mai letta.
La prima lezione del jazz è la libertà. L'episodio in cui racconta la trasformazione di Autumn Leaves da parte di Davis è emblematico. Non solo libertà espressiva, mi sembra, ma anche interiore.
Il jazz è una grande lezione di vita. Una metafora straordinaria per raccontare non solo della libertà ma anche della lotta, dell’uguaglianza, del rispetto, dell’ascolto reciproco. Leggendo nei primi anni Ottanta sulla rivista Musica jazz queste storie incredibili capii che il jazz poteva essere la mia musica. Perché oltre a una valenza estetica si portava appresso motivazioni umane, sociali e politiche. Diciamo che il jazz è la musica della contemporaneità che sempre si è legata profondamente al presente. Quello di oggi e quello di ieri.
Lei ha una voce quando suona. Ha una voce così precisa che è possibile riconoscere la tromba o il flicorno di Fresu a occhi chiusi. Come si acquisisce questa identità propria in musica? E' talento, è studio, è ispirazione o tutte e tre le cose assieme?
In primis è per me ispirazione e introspezione. Perché il suono è la carta d’identità di ciò che siamo. Poi è anche talento nonché studio. Il talento si coltiva con lo studio. L’ispirazione è il mistero che ti spinge, dopo quarant’anni, ad avere ancora voglia di cercare.
La Sardegna è terra di di musica. Penso al suo formidabile festival a Berchidda ma anche a Sant'Anna Arresi, alle rassegne cagliaritane, ai suoi amici e colleghi, da Antonello Salis a Gavino Murgia, da Paolo Angeli a Riccardo Lay. Per non dimenticare il fotografo Isio Saba, un maestro. Lei si è dato una spiegazione che può chiarire questo legame tra l'Isola e il jazz?
La Sardegna ha una profonda radice popolare e una musica ricca e in divenire. Anche il jazz nasce come musica popolare ai primi del secolo scorso. Ciò fa sì che, a mio avviso, l’isola ami il jazz trovandovi quelle radici comuni. Dagli anni Ottanta poi è stato fatto un importante lavoro di riscoperta e recupero dei suoni e del repertorio mediterraneo portando il jazz a relazionarsi con la nostra cultura. Questo è accaduto anche in molte altre parti del mondo facendo diventare la musica afro-americana un vero linguaggio universale. Essendo l’Italia un paese antropologicamente ricco il jazz che vi si produce è dunque una musica ricca e lo diventa particolarmente in Sardegna visto la sua posizione geografica in seno al Mare Nostrum.
Avete dedicato una sola scheda biografica a un artista italiano, e non poteva che essere Enrico Rava. Quanto deve Paolo Fresu alla musica del maestro?
Credo che tutti noi si debba molto ad Enrico. Perché come ho scritto nel libro è stato il primo artista italiano a farcela andando a vivere a Buenos Aires e New York e collaborando con grandi artisti come Steve Lacy, Gato Barbieri e Carla Bley. Ma al di là di questo ha sviluppato un suono personale e una cantabilità tutta italiana che è riconoscibile.
Chi sono i musicisti che, per esigenze editoriali, avete dovuto lasciare fuori da questo compendio amorevole?
Tanti, troppi. Ma dovevamo stare al gioco. Prima ancora di riflettere su chi non c’era abbiamo riflettuto su chi non poteva non esserci e l’elenco si è quasi completato con i nomi dei grandi musicisti americani del passato. Nonostante questo molti sono rimasti fuori come, ad esempio, l’arrangiatore e direttore d’orchestra Fletcher Henderson oppure Woody Herman e Fats Waller. Il batterista Kenny Clarke e i trombettisti Clifford Brown e Fats Navarro oltre che il pianista Ahmad Jamal. Ma sono molti di più i nomi dei tanti che hanno dato un contributo fondamentale per l’evoluzione di questa musica. E poi tanti europei. Tra tutti Michel Petrucciani che però è citato nel testo introduttivo come tanti altri.Gli esclusi sono talmente tanti che abbiamo inserito alla fine del libro una pagina dove ognuno può aggiungere i propri nomi…
E in più c'è una lista di cinquanta libri da leggere e di cinquanta film da vedere. Sempre sul jazz…ovvio!