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Intervista esclusiva a Edith Bruck: "Nascere donna, nascere povera e nascere ebrea, è troppo nella stessa vita"

L'ultimo istante con la madre: "Ricordo che, scesa dal treno, ero letteralmente aggrappata a mia mamma. Un soldato mi sussurrò di spostarmi a destra, il che voleva dire una possibilità di sopravvivenza"

Claudia Sarritzudi Claudia Sarritzu   
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"Edith Bruck è tra i classici del Novecento, in Italia e nel mondo, a fianco di Primo Levi" scrive bene Le Monde.

In questi quasi quattordici anni di lavoro giornalistico ho intervistato tantissime persone e altrettante personalità.
Dagli operai che lottavano per mantenere il lavoro a due premier.
Segretari di grandi partiti. Ministri e ministre. Grandissimi artisti, attori, attrici, musicisti e musiciste che hanno calcato i più importanti palcoscenici. Imprenditori e imprenditrici, scienziate e scienziati. Magistrate e magistrati che seguivano casi importanti di cronaca giudiziaria, vittime di sequestri di persona. Colleghi e colleghe famose.
Scrittori e scrittrici di fama internazionale. 
Non ho mai esitato. Neppure quando ero una ragazzina a cui pochi davano credito. Mi guardavano chiedendosi perché invece che portare il caffè nelle redazioni, mi davano da lavorare seriamente (perché qui non di cede mail il posto ai giovani).
Sguardo fiero. Testa alta. Non ho mai conosciuto l'insicurezza.
E' successa una cosa strana però. Per la prima volta ero agitata. Avevo paura. Così ho chiamato mia madre. Ve lo confido senza alcuna vergogna. Perché la grande missione di questa professione è mantenere l'umanità, per raccontare al meglio le storie che abbiamo l'onore di incintrare nel nostro percorso.
 
Dovevo intervistare una delle più grandi poetesse e scrittrici europee del 900 in occasione dell'uscita della nuova edizione per La nave di Teseo di Lettera alla madre. Perché lei è stata sempre una testimone della Shoah.
Una che ha passato un anno della sua vita nel lager. Una che ha scritto tutto: versi, romanzi, sceneggiature per film.
La prima donna a raccontare l'olocausto pubblicamente quando ancora tutti gli altri non ne avevano la forza e il coraggio.
Ci commuoviamo in questa chiacchierata. Soprattutto quando parliamo di suo marito Nelo Risi, grandissimo intellettuale (fratello dell'immenso Dino) morto dopo dieci anni di Alzheimer e una vita passata a custodire il dolore incessante di una sopravvissuta.
Ieri negli occhi di questa Donna gigante di 90 anni ho visto l'Amore.
 
Questa è la mia video intervista a Edith Bruck: nata per caso, povera, in un paesino dell'Ungheria, nata donna, nata ebrea, sopravvissuta all'inferno. Italiana per scelta, perché quando ha visto Napoli ha capito che voleva stare qui, dove la lingua è dolce e i panni stesi alle finestre sanno di Casa.
Tutto in una sola vita. Forse troppo per una sola vita.
 
"Racconta. Non ci crederanno ma tu racconta, se sopravvivi racconta anche per noi". È la fine di marzo del 1945 e una giovanissima Edith Bruck, non ancora quattordicenne, arrivata a Bergen-Belsen dopo una marcia disumana, si sente rivolgere questa preghiera da parte di altri prigionieri: compagni in fin di vita che lei stessa è costretta a trasferire nel Todzelt, la tenda della morte. Edith promette, e mantiene la parola. "Finché riuscirò, continuerò a testimoniare". Anche su Zoom.
 
"Primo Levi mi chiamò al telefono quattro giorni prima di morire. Cercai di consolarlo ma la depressione lo divorava. “Era meglio ad Auschwitz” mi disse “adesso non c’è più speranza”. Lo angosciava il negazionismo. “Ti rendi conto” esclamava “negano già ora che siamo in vita”. Io sono tra chi crede si sia suicidato. Quando seppi che era morto, mi arrabbiai. Come se non avesse avuto il diritto di togliersi la vita, perché apparteneva alla storia. Forse per la prima volta fece un volo libero".

Trama. Scritto all’indomani della morte di Primo Levi, Lettera alla madre è un “dialogo in forma di soliloquio” in cui, accanto a temi cruciali per l’opera di Edith Bruck, quali il racconto del trauma vissuto in prima persona nei campi di concentramento dell’Europa Centrale, la propria diaspora famigliare e il dramma storico della Shoah, l’autrice affronta, attraverso una prospettiva intima, la contrapposizione tra fede religiosa e laicità e propone una profonda riflessione su cosa significhi per un superstite dell’Olocausto avere la responsabilità di esserne testimone. Il confronto serrato e a tratti impietoso con la figura della madre, ebrea ungherese saldamente ancorata alle tradizioni, diventa il luogo per la rievocazione di un’infanzia sospesa tra ricordi e fantasmi, per un’analisi delle proprie scelte e per una interrogazione di sé e del proprio valore testimoniale.

Edith Bruck, di origine ungherese, è nata in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio, approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi trae l’omonimo film. Nelle sue opere ha reso testimonianza dell’evento nero del xx secolo. Ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Chi ti ama così (Marsilio 1994), L'amore offeso (Marsilio 2002), Lettera da Francoforte (Mondadori 2004), Specchi (Storia e Letteratura 2005), Andremo in città (L'Ancora del Mediterraneo 2006), Quanta stella c'è nel cielo (Garzanti 2009), Privato (Garzanti 2010), Mio splendido disastro (Lampi di Stampa 2011), La donna dal cappotto verde (Garzanti 2012), Quanta stella c'è nel cielo (Garzanti 2014), Il sogno rapito (Garzanti 2014), Signora Auschwitz. Il dono della parola (Marsilio 2014), Chi ti ama così (Marsilio 2015), La rondine sul termosifone (La Nave di Teseo, 2017), Versi vissuti. Poesie (1975-1990) (eum, 2018), Ti lascio dormire (La Nave di Teseo, 2019), Il pane perduto (La Nave di Teseo, 2021), Tempi (La Nave di Teseo, 2021) e Lettera alla madre (La Nave di Teseo, 2022).

Claudia Sarritzudi Claudia Sarritzu   
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