Daria Bignardi e la vita “rovinata” dai libri: “Ora che ho imparato a essere spudorata”

"Uno scrittore, una scrittrice non deve avere pudori, anche se racconta cose che apparentemente non lo riguardano. Tu devi parlare al tuo lettore: non hai mariti, mogli, figli, amici... Forse per questo ci ho messo tanto a decidermi a farlo"

di Cinzia Marongiu

Fa un certo effetto intervistare la regina delle intervistatrici. A proposito, c’è qualcosa che bolle in pentola per la tv?
“No, non c’è niente in programma. Interviste in tv penso che non ne rifarò. D’altra parte le ho fatte per 11 anni: mi sembra di aver già dato. Credo di aver intervistato mille persone. E quando incominci a intervistare le persone due o tre volte magari è il caso di smetterla. Poi io le interviste continuo a farle in radio. E anche adesso la stiamo facendo io e te: perché tu intervisti me e io vedrai che intervisterò un po’ te”.

Lo dice con un sorriso soave, Daria Bignardi. E intanto ti lancia una sfida a nascondino, a chi si scopre di più, a chi riesce a raccontarsi senza troppo svelare di sé. Ma in realtà la giornalista e la conduttrice tv che tutti abbiamo conosciuto, quella un po’ algida che con un’alzata di sopracciglia sapeva smontare chiunque, da tempo ha lasciato il posto a una sorprendente raccontatrice di storie, capace di leggerezza e profondità e soprattutto di mettersi a nudo senza remore e senza filtri, svelando lati inediti di una personalità molto più complessa e contradditoria di quella intravista sui teleschermi. La sua ultima creatura, (che porterà anche al Festival di Internazionale a Ferrara dal 30 settembre al 2 ottobre) ha un titolo che incuriosisce all’istante, “Libri che mi hanno rovinato la vita” e la capacità di raccontare questa intellettuale ferrarese prestata alla cultura pop, dal “Grande Fratello” alle “Invasioni Barbariche”, con una sorta di autobiografia intima costruita attraverso le centinaia di letture che ne hanno popolato l’esistenza fin da quando era bambina. “Sono una lettrice compulsiva e bulimica”, sentenzia senza appello. E pure una lettrice sorprendente che per tanti anni si è nutrita di libri maledetti, intrisi del lato oscuro dell’animo umano, di personaggi efferati, del male.

Nella tua vita ci sono almeno tre Darie: la giornalista, la conduttrice e la scrittrice che, pur arrivata per ultima, dà l’idea di aver ormai occupato il posto predominante e aver scalzato le altre due. È così?
“Sì, è vero, la scrittrice Daria si è presa lo spazio maggiore”. Poi si corregge subito: “Oddio, sto parlando di me in terza persona, aiuto…”. E svela: “Anche se sono un po’ patetica credo di aver cominciato a fare la scrittrice ad appena 4-5 anni. Ho sempre avuto la voglia di raccontare. Me ne sono resa conto quando ho scritto il mio primo libro, “Non vi lascerò orfani”, un memoir sulla mia famiglia e in particolare sul rapporto complicato con mia madre. Quel libro probabilmente me lo stavo scrivendo in testa da 40 anni. A un certo punto ti rendi conto di essere una persona che tutto quello che vive, mentre lo vive, pensa già a raccontarlo. Ed è una cosa che ho sempre fatto, e che forse faceva anche mia madre, che fa mia sorella e pure mia nipote Annalena Benini. È un po’ una deformazione, una perversione: noi in famiglia andiamo al ristorante e parliamo solo di quelli che sono vicino a noi: “vedi quei due lì, forse lei non è la moglie”. “Ecco adesso è triste” e intanto ci inventiamo romanzi. Questa caratteristica nella mia famiglia c’è sempre stata. Non ti dico cosa succedeva d’estate durante le vacane al mare. Io sono di Ferrara e al mare andavo ai Lidi degli Estensi dove mi sono divertita fino ai 16 anni. Lì c’erano le file di ombrelloni tipo Rimini. E noi dal nostro ombrellone in seconda fila passavamo l’estate a guardare e a commentare ciò che ci circondava, le altre famiglie, il rapporto genitori e figli, i flirt estivi. Quindi credo che in realtà quella Daria scrittrice venga prima di tutte le altre. E se ci penso anche la giornalista, per come l’ho fatta io, è una persona che racconta storie".

E la tv? Come è arrivata nella tua vita?
"L’ho fatta per caso. Tra l’altro ero già bella grande. A 30 anni facevo la redattrice con Gad Lerner ma la prima cosa che ho fatto in video ne avrò avuto 35. Non ci pensavo proprio a entrare in tv. Gregorio Paolini mi propose di fare un programma sui libri, “A tutto volume” insieme a Davide Riondino. Poi è arrivato “Tempi moderni”, un talk show un po’ contemporaneo che volle Giorgio Gori. Se ci penso adesso mi fa un certo effetto pensare che già 25 anni fa raccontavo tutti quelli che allora sembravano eccessi, i vegani, gli tatuati, gli animalisti, persone che ancora sembravano strambe. È stata una bella sfida che mi ha permesso di raccontare cambiamento epocale, quello di fine Novecento. La voglia di raccontare storie mi è rimasta e ho continuato a farla con i libri. Anche se quest’ultimo è un po’ anomalo, molto intimo e personale perché la storia che racconto è soprattutto la mia”.

Una raccontatrice di storie, non c’è dubbio. Ma la grande differenza è che quando lo hai fatto da giornalista o da conduttrice hai sempre scelto di fare un passo indietro, accendendo i riflettori sui tuoi interlocutori. Come scrittrice invece sei senza schermo. Ti metti molto a nudo anche quando ti proteggi attraverso le storie e i personaggi. Ti sei forzata a farlo o ti è venuto naturale? Perché in realtà tu dai l’idea di una persona capace di grande controllo.
“Mi stai facendo pensare che uno dei motivi per cui ho tardato tanto a iniziare a scrivere romanzi forse ha proprio a che fare con questo fatto: chi scrive deve essere spudorato. Uno scrittore, una scrittrice non deve avere pudori, anche se racconta cose che apparentemente non lo riguardano. Tu devi parlare al tuo lettore: non hai mariti, mogli, figli, amici… se lo scrittore non è spudorato, è freddo e artificioso. Forse per questo ci ho messo tanto a decidermi. Facendo la giornalista ho sempre fatto parlare molto gli altri. E poi sicuramente il mezzo televisivo è quello che a me impone più distacco. Gori mi propose di condurre il “Grande Fratello” perché gli piaceva che io sapessi raffreddare la materia incandescente. Non scaldarla, ma raffreddarla. Per qualcuno sarò stata rigida o fredda, ma a me veniva spontaneo. La scrittura è una cosa opposta: non devi avere filtri. Il rapporto con la parola scritta deve essere molto profondo, molto intimo. Le parole non sono segnetti neri su un fondo bianco: devono avere una forza e la forza non può avere nessun controllo”.

Questo tuo ultimo libro si intitola “Libri che mi hanno rovinato la vita” ma in realtà si sarebbe anche potuto intitolare “Libri che mi hanno salvato la vita”, non credi? Racconti di aver attraversato dei periodi nella tua vita nei quali avresti potuto prendere completamente un’altra strada e probabilmente a salvarti è stata proprio quell’ossatura di valori e sentimenti di cui ti eri nutrita nelle lunghe giornate trascorse sul divano di casa con gli occhi affondati sui libri.
“Ma sai, l’adolescenza è per tutti un fossato pieno di coccodrilli e ci salviamo per miracolo. Chi per un motivo, chi per l’altro: dipende da in che anni la vivi. Io l’ho vissuta negli Anni Ottanta che erano anni piuttosto tosti. Sicuramente l’aver avuto quel rapporto quasi ossessivo con la lettura mi ha fatto scoprire da presto che grande piacere sia leggere. E quando nella tua vita hai delle risorse del genere, delle potenzialità che ti mostrano quanto la vita possa essere bella, allora stai un po’ attento a perderti”.

Anche se, poi, ad affascinarti erano storie nere, demoniache, faticose.
“Non mi sono mai piaciuti i libri horror, mentre adoravo quelli cupi, dove c’era molta sofferenza. Come il famoso “Demone meschino” di Sologub. Questo scrittore russo che scrisse un romanzo sadico nel 1907 con un protagonista orribile e squallido, che evocava il male. Quando l’ho letto ero ancora piccola, avrò avuto 13 anni e non avevo ancora un’idea precisa su cosa fosse il male. E così mi ha attratto moltissimo perché lo trovavo vero: il male fa parte dell’uomo, probabilmente anche di me. Niente è attraente quanto ciò che è autentico”.

La passione per il lato oscuro dell’animo ti ha fatto dimenticare la prima fascinazione letteraria, quella per “Celestino”, giocata al contrario sulla positività. Non hai avuto paura di rimanere intrisa da tutta questa negatività e pesantezza?
“Nietzsche diceva che chi guarda troppo nell’abisso rischia di esserne risucchiato. Ma detto questo noi siamo un po’tutto, siamo bene e male, siamo un intruglio complesso di cose. Certamente è vero che ho avuto una predisposizione a indagare la parte più tormentata dell’animo umano anche perché è più interessante. Il male è più interessante del bene: ovviamente parlo di letteratura perché invece nella vita il bene è fantastico”.

Che libro stai leggendo adesso?
“Sto finendo “Anna Karenina”, che ovviamente avevo già letto anni fa. Ne ho trovato una copia in  una casa dove ero in vacanza e non ho saputo resistere. Ora che sono a pagina 800 devo dire che la sta tirando un po’ per le lunghe. Ma è un romanzo magnifico. Uno legge Tolstoj e non ci si crede: ma come faceva a conoscere così bene le emozioni delle donne, degli uomini delle persone di ogni età e di ogni classe?”.

Hai mai passato un giorno della tua vita senza leggere?
“Sì, credo di sì, ma molto raramente”.

La copertina di "Libri che mi hanno rovinato la vita" (Einaudi Stile Libero)