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Ricordate Giovanni Muciaccia di "Art Attack"?: "Ecco che cosa faccio oggi"

L'eterno bambino ha legato il suo nome alla Disney ed inevitabilmente al suo “programma cult”  Art Attack". "Ho scritto un libro per rendere l'arte contemporanea più fruibile"

Fabio Marceddudi Fabio Marceddu   

Se ognuno di noi è per certi versi anche il nome che porta ed in qualche modo lo contraddistingue, Muciaccia è la dolcezza,  il “Mu” che ci traghetta in modo ludico e favolistico verso mondi altri a ritmo di “Cha, cha, cha”.

L'eterno bambino (il tempo non ha scalfito i suoi tratti) ha legato il suo nome alla Disney ed inevitabilmente al suo “Programma Cult”  Art attack, dove ha insegnato a diverse generazioni ad essere cre-attori, ognuno secondo le proprie  attitudini.

Questa sua inclinazione di spezzare il “pane della scienza” (per citare il Dante delle sue c.d.  opere minori, Convivio e De vulgari eloquentia) lo rende nella sua apparente leggerezza “un viatico” di conoscenze dall'alto dell'investitura che gli deriva dallo strumento televisivo (citando Pasolini) di cui per certi versi e per certe tematiche è ancora sovrano incontrastato.

Ma la sua ansia di conoscenza e di condivisione della stessa non lo ha sclerotizzato nel proprio ruolo, e forte di questo “know how” acquisito nel campo delle arti, dopo aver cresciuto bambini di tutte le età, e superato i gap generazionali, ha trasformato le sue “lectio catodiche” in un libro attivo, dove la conoscenza ha il sapore dell'azione e si acquisisce “sporcandosi le mani” non soltanto spremendo le meningi.

Nato come attore (si è formato alla scuola Mario Riva di Roma, specializzato all'Accademia d'arte drammatica della Calabria) ha legato la sua immagine e il suo successo al mondo Disney di cui è stato  testimonial per oltre due decenni.

Lo incontriamo nella sua residenza romana, nel suo “laboratorio creativo” dove nascono molte delle sue creature  e dove risiede con la sua famiglia, qui è nato anche il suo ultimo libro “Attacchi d'arte contemporanea” che io percepisco come un manuale di arte attiva e partecipativa.

Il tuo ultimo libro, “Attacchi d'arte contemporanea” ha un sottotitolo importante: per comprendere l'arte e stimolare la creatività, sembra il manifesto di un qualcosa di più grande ed essendo nato nel 2021, nel momento in cui il mondo era in un fermo biologico coatto, ha il sapore di una sfida; è un manifesto, è una sfida o è un salvagente per non annegare?

"Il libro è nato per semplificare i linguaggi dell'arte contemporanea o meglio, rendere l'arte contemporanea più fruibile e comprensibile al grande pubblico. E' un libro sulla creatività e la fantasia, mentre la si racconta l'arte diventa un mezzo per formarsi, attraverso un duplice intento: da un lato c'è la “alfabetizzazione” verso il linguaggio dell'artista, come l'artista contemporaneo si avvicini all'arte nella sua totalità (sia in ordine stilistico che cronologico) dall'altro nella generazione di processi creativi che si sviluppano partendo dall'esperienza del vissuto direttamente. Non un'arte passiva solo vista o guardata, ma un'arte vissuta con tutti i sensi. Se pensiamo che il tempo medio di permanenza di un utente davanti ad un'opera d'arte nei musei è di trenta secondi, ci rendiamo conto di quanto sia importante anche il ripensamento all'accesso verso le opere d'arte. Non è tutto “usa e getta” l'arte ha bisogno dei suoi tempi per essere compresa e condivisa, e “Attacchi d'arte” cerca di offrire una chiava di interpretazioneSpesso si entra nella bulimia del consumo anche nella fruizione dell'arte, ma in pochi secondi non si possono “assaporare” opere che hanno dietro mesi e anni di studio, che sono e possono essere il testamento e il manifesto dell'artista".

Attakki d'arte è quasi un titolo carbonaro, in una società, dove i figli sono cresciuti a suon di rassicurazioni, Xanas e smartphone, l'attacco d'arte sa di Panico Buono, c'è un intento che capovolge il senso di attacco nel titolo?

"In realtà nasce dalla volontà di una riconoscibilità di un personaggio (io) che si è fatto strada in televisione in modo autonomo soltanto sulle sue gambe. Io e il mio pubblico siamo cresciuti insieme e crescendo anche la mia propensione verso l'arte (in tutte le direzioni) e l'arte applicata è sfociata in questo  titolo, Attacco d'arte, è stata una naturale scelta condivisa con  l' editore, insieme siamo arrivati alla scelta di questo titolo che rappresenta me stesso e il mio percorso artistico. Non c'era questo significato che tu hai voluto intuire, ma se si presta ad interpretazioni che possono arricchire il suo significato, perché no?"

Giovanni, tu nasci come attore, hai conosciuto il successo e il riconoscimento della tua arte a livelli altissimi, cosa ti piacerebbe ancora sperimentare?

"Io come ti ho detto mi sono costruito la mia carriera anche dicendo molti no. Noi caro Marceddu, ci siamo conosciuti in Calabria nel 1992, io facevo un corso di specializzazione sull' Orestea con Alvaro Piccardi (che sfociò in uno spettacolo con tour con la compagnia Pagliai e Gasmann) e tu il secondo anno dell'Accademia d'arte drammatica. Tutto ha avuto una funzione, fosse anche l'allontanamento dalle conoscenze acquisite, ma ho comunque cercato di contaminare le mie conoscenze e forse trasfonderle per poterle far confluire in quello che meglio sapevo fare al fine poi di valorizzare il patrimonio artistico che mi urgeva raccontare e condividere".

La tua formazione è teatrale, cosa rimane, e quanto mutui da questa tua base in quello che stai facendo oggi e che produrrai domani?

"Mi sono dovuto allontanare senza mai abiurare la mia fede artistica, il teatro è “copione” e regia e gli attori sono immessi in un ingranaggio determinato. La tv, segue dei copioni aperti, dove l'attore/conduttore si affida ad un canovaccio degli autori, ma poi largo spazio all'improvvisazione. Devi essere te stesso e trovare il tuo “talento televisivo”!

Ho fatto altri progetti oltre Art Attack, come il programma “Sereno Variabile” dove ho spostato il focus però più verso una divulgazione artistica del nostro immenso patrimonio;  nel programma  “Cinque cose da sapere” ho seguito un filo conduttore per raccontare eccellenze dello stivale e curiosità di personaggi legati al mondo dell'arte (vizi e virtù, cito il virtuoso Totò che finanziava i canili); e ne “La porta segreta” l'arte con tutte le sue declinazioni anche misteriose e misteriche ha continuato ad essere il fil rouge del mio percorso informativo e formativo. Come mi auguri tu, Fabio, sarebbe un sogno per me condurre un programma d'arte che si rivolge alle nuove generazioni.

Giovanni, Parlando d'arte con te... io ho condotto per Rai Sardegna (con la regia di Antonello Murgia)  un programma che si intitola Rastros e Visus, segni e sogni, dove finiscono i segni iniziano i sogni, dove l'arte l'archeologia la filologia e anche la antropologia concorrono a descrivere una altra Sardegna, e dove il teatro si converte in televisione... Questo per dire che nell'arte  ognuno trova le sue modalità.   Mi auguro che tu possa fare una sorta di Linea d'arte, e “pillole d'arte applicata” dove la teoria e la pratica si sposano e concorrono al processo di divulgazione che è alla base della crescita collettiva.

"Me lo auguro anche io (ridiamo di cuore)! Sia dal punto di vista teorico divulgativo che pratico attivo. Quando tu, Fabio, mi dici che non hai manualità e, come tanti, io provo a “mettermi nei tuoi panni”, a sentire i tuoi limiti non essendo mancino provo a  creare con la mia mano sinistra, allora quella difficoltà mi mette in una situazione nuova e aumenta il mio grado di comprensione nei tuoi confronti: non tutti siamo generatori d'arte o artisti ma possiamo comunque cimentarci nel campo ed esprimere o avvertire  quella “mancanza”".

Come Padre da quali attakki d'arte vorresti che i tuoi figli fossero investiti?

"Sono un padre che crede nella formazione e che vigila sui figli (insieme a mia moglie con ruoli e modalità che si intersecano, nel processo educativo, che  a volte si scontrano ma poi creano delle sintesi educative dettate essenzialmente dal volersi bene).

Mio figlio ha 13 anni ed è l'unico di tutta la sua scuola, e forse del circondario (io vivo a Roma), a non possedere un telefonino: per loro il telefonino è un mezzo non solo per comunicare, ma anche per fare foto, video, o altro.

Io vorrei che gli Attacchi d'arte fossero quelli delle Gallerie d'arte, delle opere d'arte, perché l'arte non solo fa bene, ma apre le teste, educa, e ti mette in una condizione attiva non passiva, come l'uso indiscriminato dei tablet, i-phone e altri supporti telematici. Ma ho anche la coscienza che ad un certo punto, e questo punto è vicino dovrò arrendermi, sperando che l'Attacco digitale faccia meno danni possibili su di loro".

Credo che alcune  delle poche armi che abbiamo a disposizione per vivere al meglio in questo mondo in eterna caduta libera, siano l'arte e la bellezza, come e cosa intendi tu per arte e bellezza.

Per capire la bellezza forse bisognerebbe comprendere prima la bruttezza. Per me la bruttezza fa male alle persone. La bruttezza è generata dai non-modelli o falsi modelli.

Così quel che un tempo potevano essere messaggi tribali o evocativi, sono diventati tatuaggi scarabocchiati su corpi che si ricoprono di colori stridenti spesso senza precisi intenti, ma con uno scopo meramente decorativo e ispirato a dei modelli televisivi: frasi in latino campeggiano fra lembi di pelle di analfabeti di ultima generazione che generano oscenità visive.

La bellezza è messa a dura prova da questi continui “attakki” .

Hai sogni che vorresti realizzare, mi ricordo che tu sei un appassionato di “kyte surfing” e che hai introdotto una modifica che ha permesso la semplificazione del suo utilizzo, una sorta di bisogno che migliora il sogno?

Io pratico questo sport, in solitaria, è la mia relazione con la natura. Il mio bisogno di migliorare un aspetto tecnico mi ha permesso di migliorare la sua prestazione con una mia invenzione. Il bisogno a volte permette al sogno di compiersi.

Tu vieni da Foggia una quasi  “città di Mare”, quanto mare c'è in quello che fai, e qual è il legame con la tua terra e con altri mari?

Il mare e l'acqua sono spesso le porte (citando il suo programma La porta segreta,  per quello che faccio).

Io ho avuto la fortuna di poter fare quello che volevo fare.

Ho tanti colleghi che ad un certo punto si sono trovati ad un bivio per errore e hanno dovuto scegliere (scelta obbligata in molti casi) come risalire la china; in queste scelte spesso ci sono i reality, io mi sono permesso attraverso una oculata gestione delle mie risorse di dire no a tante cose che avrebbero potuto ledermi, e dedicarmi al Mare e alle mie passioni altre.

Qual è l'artista contemporaneo a cui ti senti legato o contaminato nel senso bello del termine, nella crea-azione delle tue opere sia “reali” che digitali?

Ho una forte relazione con tutta l'arte e quasi tutti gli artisti nella loro espressione e azione mi raccontano qualcosa.

Una loro stessa pennellata che esprime una forza diversa nell'approccio alla materia dove il colore si posa (sia essa tela o altro materiale) mi racconta un mondo: tutti hanno qualcosa da dirmi e da darmi.

Recentemente con mio figlio ho visitato Firenze e al Museo del Novecento la Mostra di  Tony Cragg è stato un modo per scoprire insieme il processo creativo che sta dietro un'opera d'arte e tra le altre cose visitate, oltre gli Uffizi, c'è stato Palazzo Strozzi, qui Olafor Eliasson è ospitato con una interessante mostra che al piano di sotto si conclude con una sezione virtuale che necessita di visori per essere “vissuta”,   qui l'era digitale irrompe in modo intelligente nella produzione dell'arte chiamata per semplificazione:  reale.

Io credo nel processo educativo dell'arte e nell'arte contemporanea spesso si trovano risposte a domande sospese, a volte bisogna soltanto sapere cosa chiedere!

Note dell'intervistatore

Parlare con Giovanni Muciaccia d'arte è un viaggio nel contemporaneo fatto di rimandi che aprono altri mondi altre cre-azioni e generano emozioni fatte di pensieri parole opere e ammissioni: insieme abbiamo ammesso di essere “dipendenti” dall'arte, di aver imparato dall'Arte e di non volerla mettere da parte, ma di essere parte integrante di quel processo costruttivo mistico che ci avvicina all'assoluto  in un contesto prettamente Laico, dove l'arte è già di per se un mezzo per avvicinarsi al Sacro.

Fabio Marceddudi Fabio Marceddu   
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