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Nel luglio del 1992, un convoglio di bambini e ragazzi prelevati dall’orfanotrofio di Bjelave riuscì, tra mille difficoltà, a lasciare la città di Sarajevo dilaniata dalla guerra civile jugoslava. Questi bambini non erano tutti orfani. Molti erano stati solo provvisoriamente affidati all’istituto dalle famiglie in difficoltà. Da qui parte il romanzo di Rosella Postorino Mi limitavo ad amare te, candidato allo Strega.
Finita la guerra, alcuni di loro tornarono a casa e altri no. In particolare, 46 bambini e ragazzi che non erano orfani non tornarono dalle loro famiglie perché adottati, o dati in affido, a famiglie italiane. Crescendo e apprendendo la verità, alcuni si sono impegnati in diversi modi per riprendere i contatti con le loro famiglie. Il sito “Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa” propone diversi articoli su questa vicenda.
La scrittrice Rosella Postorino ha incontrato alcuni di questi ex bambini e, da tali incontri, ha ricavato un romanzo che sta ottenendo un notevole successo, oltre a essere candidato per il premio Strega, Mi limitavo ad amare te, edito da Feltrinelli.
Per molti versi, si può definire necessario questo romanzo che, mantenendosi il più possibile fedele alle testimonianze pur lasciando ampio spazio all’invenzione narrativa, porta all’attenzione dei lettori il tema della guerra civile jugoslava. Una guerra combattuta alle porte di casa nostra, ma soprattutto una guerra lunga e sanguinaria.
I veti contrastanti delle maggiori potenze dell’Onu impedirono infatti un’azione efficace della comunità internazionale per una rapida risoluzione del conflitto e per evitare che il conto peggiore fosse pagato dai civili. Nonostante le numerose azioni messe in campo dalla diplomazia e anche la presenza di “forze di pace” sul posto, nessuno impedì terrificanti massacri come quello dei bosgnacchi (i musulmani bosniaci) compiuto dai serbo-bosniaci guidati da Ratko Mladić a Srebenica (circa 120 km a nord-ovest di Sarajevo) nel luglio del 1995.
Di questo episodio non si parla nel romanzo, proprio perché i protagonisti della vicenda hanno lasciato la capitale bosniaca già nel 1992. Peraltro lo fanno dopo aver assistito a ogni sorta di violenze e subito dei lutti, circostanze che hanno duramente segnato molti di loro.
I bambini di Sarajevo
Il romanzo segue, nell’arco di una ventina d’anni, un gruppo eterogeneo di bambini e ragazzi.Ci sono i due fratelli Senadin e Omar, musulmani, che non hanno da tempo notizie dei genitori. Quando vengono affidati e poi adottati da una famiglia italiana, il primo si sforza di inserirsi meglio che può, mentre il secondo resta ostinatamente emarginato, convinto di non voler tradire la sua famiglia d’origine.
C’è Nada, già ospite di Bjelave prima che cominciasse la guerra civile, che ha riportato una piccola mutilazione in un incidente e resta nell’orfanotrofio italiano perché considerata troppo indisciplinata. Ma ha il conforto del fratello maggiore Ivo, che si è trasferito in Italia per conto suo e va a trovarla quando può. Pur tra ogni genere di difficoltà, i due riusciranno ognuno per proprio conto a rifarsi una vita.
C’è Danilo, che viene da una famiglia borghese e anzi è figlio di un’apprezzata giornalista, Azra, che a un certo punto raggiunge lui e la sorella Jagoda in Italia. Sembra che vada tutto bene ma, in realtà, quest’apparenza nasconde una tragedia incombente.
Questi sono i personaggi principali che per tutta la trama interagiscono tra loro e con gli altri. Ma naturalmente ce ne sono molti altri, come i familiari rimasti a Sarajevo, le suore italiane dell’istituto che ospita i bambini appena arrivati, i genitori affidatari di Senadin e Omar.
Indubbiamente, Mi limitavo ad amare te si fa leggere volentieri. Tuttavia, l’importanza del tema trattato e l’imponenza del lavoro preliminare che c’è dietro non possono bastare a evitare alcune critiche.La guerra civile jugoslava è stata anche per il mondo editoriale e culturale, un’occasione per fare cassa proponendo una versione attualizzata delle testimonianze dei civili in guerra.
Testimonianze della guerra civile jugoslava
Un esempio è il Diario da Belgrado inviato regolarmente dalla giovane scrittrice serba dissidente Biljana Srbljanović al quotidiano La Repubblica: anche questa è una valida testimonianza, ma offerta più che altro come intrattenimento. Un tale orientamento editoriale sembra conservarsi anche in Mi limitavo ad amare te, ad esempio, nei corsivi che riportano le annotazioni personali della giornalista Azra, testimone e vittima al tempo stesso della tragedia in corso.
Gli appunti saranno scoperti in un quaderno privato, ma non sembrano scritti da qualcuno che sta semplicemente annotando dei ricordi prima di dimenticarsene. Più che altro, il loro stile sembra voler imitare intenzionalmente certe corrispondenze dal fronte di Oriana Fallaci, piene di effetti e ricercatezze, come si leggono ad esempio in Niente e così sia. E’ spontaneo immaginarle recitate da attori di prosa, davanti a un pubblico con il fiato sospeso e applauso finale. Niente di male, per carità, nel mondo culturale è una prassi comune, ma c’è un contrasto abbastanza fastidioso tra la sincerità e la partecipazione dichiarate e un modo così esplicitamente costruito e artefatto di procedere.
Altro esempio è il bestseller Diario di Zlata, scritto dall’allora undicenne Zlata Filipović, che è stato proposto definendo con una certa superficialità l’autrice “la Anna Frank di Sarajevo”. Una testimonianza senz’altro credibile, ma il Diario di Anna Frank, maturato in una realtà diversissima, era tutt’altra cosa.