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“Quello che segue, avviene tra mezzanotte e l’una nel giorno delle primarie presidenziali della California. Gli eventi sono narrati in tempo reale.”
Le riconoscete?Sono le parole che appaiono, scritte in giallo su sfondo nero, il 6 novembre 2001 in calce all’episodio pilota di 24. Una delle serie più amate e imitate della televisione americana.A crearla, per il Canale Fox, sono Joel Surnow e Robert Cohran.
24
Il protagonista si chiama Jack Bauer ed è interpretato da Kiefer Sutherland. Lavora per il C.T.U. (Counter Terrorist Unit) di Los Angeles, un’agenzia governativa fittizia, che si occupa di antiterrorismo. I casi su cui indaga riguardano per lo più complotti che hanno come scopo finale un grande attentato che metterà in ginocchio il Paese, e che sono (quasi) sempre orditi all’interno delle più alte istituzioni statunitensi.
Considerando che 24 è andato in onda giusto un paio di mesi dopo gli attentati dell’11 settembre, capirete bene il motivo del successo pazzesco. Un successo che incrocia le teorie complottistiche e le paure del periodo, e che va ben al di là dei meriti reali della serie, che pure sono molteplici.Ogni stagione è composta da 24 episodi. La durata delle puntate corrisponde, pur con mille artifici, a quella degli eventi narrati sullo schermo. Dunque una stagione dura 24 ore, sia per noi spettatori che per Jack Bauer.
The Shield
Ora vorrei parlare di una seconda serie, ugualmente importante nella storia della televisione americana recente. Esce nel 2002, si intitola The Shield e va in onda su FX. È un poliziesco e parla di un gruppo di poliziotti che lavorano a Farmington un distretto di polizia di Los Angeles.Il protagonista si chiama Vic Mackey, è interpretato da Michael Chiklis, ed è un detective duro, ma corrotto. Insieme a lui si muovono sia gli uomini della sua squadra, corrotti come Vic, che gli altri agenti del distretto.
A prima vista, The Shield potrebbe sembrare l’ennesima variante dell’87°distretto di Ed McBain o, televisivamente, di Hill Street giorno e notte. Invece è qualcosa di nuovo, di completamente diverso e originale. The Shield riesce a rivoluzionare un genere, quello del procedural poliziesco, che ormai sembrava essere destinato a vivere di soli cloni.
Il merito di questa originalità è tutto del suo autore, il ventiseienne Shawn Ryan. Dopo The Shield, Ryan creerà una serie splendida, ma sfortunata intitolata Mad Dog, cassata dopo la prima stagione. La sua serie successiva, Timeless, ne durerà solo due. A quel punto Ryan, capito l’andazzo, si butterà su qualcosa di più ‘commerciale’, semplice ed efficace: S.W.A.T., serie ‘facile facile’, ma scritta divinamente, che lo porterà nuovamente sulla cresta dell’onda.
24 versus The Shield: 280 episodi complessivi
Ma rimaniamo negli anni zero.Nel giro di una sola stagione sia Jack Bauer che Vic Mackey diventano due vere e proprie icone della nuova televisione statunitense, quella della rinascita, iniziata negli anni ’90 e portata a compimento proprio nei primi anni del nuovo millennio.Entrambe le serie durano un numero spropositato di stagioni: otto per 24 (più un film: 24: Redemption e una nona stagione in 12 episodi: 24: Live Another Day). Mentre sette sono le stagioni di The Shield.
Per quanto mi riguarda le amo molto entrambe e le ho viste, all’epoca della loro prima messa in onda italiana, dall’inizio alla fine: 280 episodi complessivi che hanno allietato i miei anni zero. Basti pensare che, di 24, registravo in VHS tutte le puntate che passavano su Tele + e poi me le vedevo una di fila all’altra in una sorta di folle binge-watching ante-litteram.
The Night Agent
Ma perché vi racconto tutto questo?Per introdurre al meglio The Night Agent, di cui parliamo oggi, una serie thriller creata per Netflix proprio da Shawn Ryan, che narra di complotti terroristici maturati all’interno della Casa Bianca, come 24. Di più, The Night Agent è la prima serie di spionaggio a giocarsela, non solo per le tematiche ma anche per il ritmo, alla pari con l’originale di Surnow e Cohran.Quindi è una grande serie?Sì e no.Cerchiamo di capire il perché.
Ryan racconta le vicende del night agent Peter Sutherland (Gabriel Basso). Un night agent è, nella finzione ryaniana, un agente dell’FBI che fa parte di una squadra speciale che si occupa, segretamente e rendendo conto direttamente al Presidente degli Stati Uniti, di tutto quello che ha a che fare con la sicurezza nazionale. Il nostro Peter non è, però, un “agente notturno” come gli altri. Non lavora sul campo, ma in uno scantinato della Casa Bianca dove risponde alle telefonate dei veri agenti che hanno bisogno di un qualsivoglia tipo di aiuto. Insomma, è una specie di centralinista, che passa le notti a presidiare, dentro una stanzetta, un telefono che non suona mai.
La co-protagonista della serie si chiama Rose Larkin (Luciane Buchanan) e non c’entra nulla, almeno all’inizio, con il mondo in cui si muove Peter. È un’informatica reduce dal fallimento della sua startup. È orfana e vive con gli zii che, come scoprirà ben presto quando due sicari le piomberanno in casa, sono in realtà due night agent sotto copertura.Prima di essere uccisi, gli zii forniscono a Rose un numero da chiamare per chiedere aiuto.
Lei, scampata per miracolo alla strage, viene inseguita da uno dei sicari fino alla casa dei vicini, da cui riesce a chiamare il numero che le hanno dato. Dall’altra parte del filo c’è ovviamente Peter che, in diretta, le spiega come rimanere viva e sfuggire al sicario che vorrebbe ucciderla, in attesa che arrivi la polizia che lui ha prontamente chiamato.
Un inizio coi fiocchi
Rose se la cava e Diane Farr, il capo dello staff del Presidente degli Stati Uniti e ‘mentore’ di Peter, incarica l’agente di proteggerla e tenerla al sicuro.Ovviamente non sarà facile perché Rose ha visto in faccia uno degli assassini degli zii. E perché la corruzione, su cui i due night agent stavano indagando, arriva ai più alti livelli della Casa Bianca.È a questo punto che la serie si trasforma in una specie di 24 senza le ore a scandire il passaggio del tempo sullo schermo e senza Jack Bauer (ahimè), ma con lo stesso ritmo e la voglia di divertire propria della serie originale di Surnow e Cohran.
Non tutto funziona come dovrebbe, la narrazione è un po’ troppo lineare, non ci sono colpi di scena indimenticabili, tipo la scoperta della talpa nella prima stagione di 24. Ma Basso e Buchanan hanno una chimica notevole e la parte “sentimentale” funziona bene almeno quanto quella action.
Ryan è molto bravo a tenere la barra dritta e, cosa più importante, non insulta mai, pure nella semplicità del tutto, l’intelligenza dello spettatore con espedienti triti o improbabili. La trama è ben scritta e, aspetto importante, si sviluppa senza buchi di sceneggiatura – cosa, ultimamente, non così scontata nelle serie Netflix – fino a uno spettacolare epilogo a Camp David.
Il caso thriller
Dal punto di vista della scrittura, The Night Agent (vedi qui il trailer) è una sorta di manuale su come un autore si possa destreggiare tra molteplici linee narrative, senza strafare e restando all’interno del genere di appartenenza, che in questo caso è il thriller.
Da un lato, c’è una storia di sopravvivenza: mantenere in vita Rose, rimanendo sempre un passo avanti alle persone che cercano di ucciderla. Dall’altro c’è il mistero che riguarda il motivo per cui gli zii di Rose sono stati giustiziati. A queste storie se cui se ne aggiungeranno altre nel corso della narrazione. Ottima quella che riguarda la figlia del Vicepresidente degli Stati Uniti.
Insomma, The Night Agent un guilty pleasure di altro livello: molto pleasure e poco guilty.
Poi, certo, resta un po’ di amaro in bocca nel vedere un autore come Shawn Ryan impegnato in una serie come questa. The Shield non aveva nulla da invidiare a opere più rinomate come I Soprano o The Wire ed è un peccato che Ryan non abbia più potuto (o voluto) scrivere una serie di quel livello.Chissà che dopo il successo di S.W.A.T. e The Night Agent, di cui è già stata messa in cantiere la seconda stagione, non decida di provarci.