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Roberta Recchia – Tutta la vita che resta, un esordio che è già un successo

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Roberta Recchia – Tutta la vita che resta, un esordio che è già un successo

Questo è l’incipit ed è la calma che precede la tempesta:

“Fino all’ultimo dei suoi giorni, Marisa Ansaldo avrebbe conservato un ricordo nitido di quel risveglio di inizio agosto. Nella memoria, come se tutto fosse accaduto appena ieri, si sarebbe rivista affondare il viso nelle mani colme d’acqua fresca e rabbrividire di sollievo. Quella mattina l’aria era immobile. Al di là della finestra aperta, oltre la spiaggia, il mare era muto”.

La storia, che si sviluppa in un trentennio, fra la metà degli anni Cinquanta e degli anni Ottanta, è il racconto corale di tre generazioni e di un matriarcato.  È ambientata in un quartiere di Roma e sul litorale laziale. I personaggi ruotano intorno ad un modesto esercizio commerciale, gestito con passione e tramandato con rispetto, scegliendo, come si farebbe per un figlio, con molta accuratezza la persona alla quale andrà affidato per il futuro.

Tutta la vita che resta, prima ancora che si invochino processi e pene, tratta della essenzialità della ricerca della verità. Scova il “mostro” che spesso si cela nella cosiddetta normalità e invoca la necessità “politica” dell’educazione sentimentale.

Al cuore di tutto c’è un fatto di una violenza indicibile che usura e strappa i legami affettivi, squassa la famiglia con la furia di uno tsunami e fa perdere a molti il proprio centro e l’equilibrio mentale. Si creano così una vita di prima, quasi una ingenua età dell’oro,e una vita di poi, con ciò che resta dopo l’uragano. Quindi i personaggi rinasceranno attraverso la consapevolezza che l’amore ha, alla base, la cura dell’altro e il sacrificio.

Il romanzo narra di pregiudizi legati all’identità di genere, di adolescenti etichettate come “ragazze facili” per il loro inarrestabile desiderio di vivere, della doppia morale della vittima che diventa colpevole perché “se l’è cercata”.

Violenza, stupro, lutti, egoismi portano con sé l’incapacità di amare, il dolore di un’anima oltraggiata e i suoi effetti sul corpo che si ammala e che la mente non riconosce. Il corpo diventerà allora, di volta in volta, gabbia, ostacolo, orpello, bottino, nemico e non saprà più tradurre ed esprimere i sentimenti.

“Questo corpo mi soffoca”.

Un coro di volti e di storie

Una stirpe femminile generata dal bonario Ettore e da Letizia, l’inflessibile capofamiglia in gonnella, elemento fondante ma anche disturbante della geografia familiare. Poi ci sono le sue figlie, l’ostinata Marisa, che progressivamente acquisirà la risolutezza che farà crollare la sua cieca obbedienza alla madre, e l’avvenente Emma, donna in carriera, algida finché non saprà accorrere in soccorso della figlia. Infine le due nipoti, Betta bellissima e irrequieta, e Miriam, delicata e fragile. Nonostante la diversità di carattere e di ceto entrambe saranno coinvolte nello scempio: l’una perderà la vita, l’altra il suo equilibrio.

“Creatura violata, umiliata e calpestata, che sfugge all’orrore di quello che è stato e all’orrore verso se stessa. Lei la morte l’aveva guardata negli occhi. Aveva visto l’abisso di niente che lasciava. […]Il corpo oltraggiato di Betta come lo scarto di un pasto abbondante”.

Singolari nella loro semplicità, punteggiano il romanzo numerosi personaggi, quasi tutti credibili, coerenti e interessanti, ai quali il lettore si affeziona.Come la madre di Gaspare, uno dei colpevoli morto suicida, povera donna infelice, ignara dei motivi che hanno spinto il figlio al gesto estremo e, perciò, ancor più disperata.

“Lo sguardo aveva perso qualunque forma di benevolenza, perché la vita l’aveva presa a schiaffi più di quanto fosse stata capace di sopportare”.

Corallina, il transessuale Pietro, è infelice ma al tempo stesso ricca di una positiva carica di ottimismo. Altruista e generosa, pronta a sacrificarsi per il fratello minore e a proteggerlo, Corallina ispira profonda empatia e l’autrice ne tratteggia con gentilezza l’animo delicato, facendone un personaggio indimenticabile.La sua storia commuove perché, costretta da una malattia a conservare le fattezze maschili, di cui ardentemente vorrebbe liberarsi, le camuffa a fatica con la costruita leggiadria dei modi e delle movenze e con un abbigliamento vezzosamente femminile che la intriga e la fa sognare.

“In particolare le piaceva mettersi una collana di coralli grezzi che qualcuno aveva portato alla madre da un viaggio a Sorrento. Si avvolgeva un foulard attorno alla testa, indossava la collana, un filo di rossetto rosso e si guardava nello specchio. Per qualche motivo quella collana le faceva scordare per un momento tutte le pene, come se le facesse un incantesimo. Con quella si sentiva più femmina”.

E gli uomini in questo romanzo?

L’autrice tratteggia una positiva rappresentazione del maschile nelle tre generazioni. Da nonno Ettore, affabile e decisamente convenzionale, allo straordinario e atipico Stelvio, il marito della figlia, che con fermezza e pazienza infinita si prende cura della moglie Marisa. La figura di Stelvio prelude il coraggio e l’opera salvifica del terzo uomo, il giovanissimo Leo che, co-protagonista con Miriam della seconda parte del romanzo, saprà aiutarla e attenderla.

“Prendersi cura di lei lo metteva in contatto con la parte migliore di sé. Lo faceva sentire vulnerabile e forte al tempo stesso”.

Tutta la vita che resta

Edito da Rizzoli e tradotto in quindici lingue, Tutta la vita che resta è un prodotto editoriale su cui si è puntato molto, tanto da far precedere la pubblicazione, avvenuta il 5 marzo, da bozze inviate ai librai perché ne informassero i clienti e invogliassero all’acquisto.

La vicenda si sviluppa con un meccanismo narrativo versatile che attraversa molti generi. Parte come un romanzo storico, ricostruisce con coerenza i colori e le atmosfere di una storia di amore e di abbandono emblematica del neorealismo.  Seguono il riscatto e poi le vicende serene di una famigliola piccolo-borghese. Esplode la tragedia con drammatiche conseguenze nelle vite dei personaggi e si avviano le indagini per la ricerca dei responsabili e dell’assassino. Il racconto si apre, così, al mondo sommerso delle periferie, geografiche ed esistenziali, assumendo per qualche capitolo le pieghe di una detective story.

Tutta la vita che resta è un romanzo familiare avvincente che offre una lettura scorrevole e lieve, ma è anche un romanzo di formazione, sotteso da una sottilissima vena psicologica. Vira verso il romance, soprattutto nell’epilogo, e in qualche punto strizza l’occhio con microscopici camei finanche al fantasy.

Induce alla riflessione su temi “politici” quali l’anoressia, l’uso di droghe, la transessualità, l’abbandono e il degrado di alcune periferie. Nonostante la crudezza dei fatti narrati, ricerca e valorizza la tenerezza e la delicatezza, in un gioco di equilibrio di forze dove affiora la speranza.

Tratteggia, in epilogo, una storia d’amore salvifica e di una delicatezza inconsueta, in tempi di relazioni superficiali e passeggere. Non manca, però, qualche inverosimiglianza, considerato l’abisso culturale e sociale che c’è fra i due giovani innamorati. Si tendono la mano per camminare insieme nella vita ma continuano ad apparire, agli occhi del lettore, due monadi distanti.

Roberta Recchia

L’autrice intende la scrittura come ricerca della verità che si esprime attraverso un ri-nominare le cose.Per la ricostruzione storica, è ricorsa alla visione di film del neorealismo e di foto d’epoca ma anche all’ascolto dei racconti di famiglia e degli anziani.

Ama scrivere da quarant’anni, fin dalla prima adolescenza, ma pubblica per la prima volta solo adesso. Scriverà ancora ma senza ripescaggi dai numerosissimi suoi scritti precedenti perché vuole esplorare nuovi orizzonti. Si potrebbe aggiungere: con la competenza e l’umanità che delineano il suo profilo attraverso questa bella storia.Auguri Roberta!

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