“Questo libro non funziona. Bisogna distruggerlo”.Gabriel Garcia Marquez
Rinviamo al prologo scritto dai figli Rodrigo e Gonzalo García Barcha e alla meticolosa, ampia nota del curatore ed editor Cristóbal Pera per comprendere le motivazioni – evidentemente non solo affettive – che hanno indotto la famiglia a disattendere la volontà di Gabo (soprannome di Marquez) nel decennale della sua morte, pubblicando Ci vediamo in agosto.
Potrete così conoscere la faticosa gestazione artistica ed editoriale, iniziata nel marzo del 1999 con l’annuncio di un romanzo composto da cinque racconti con la medesima protagonista. Questo avrebbe dovuto essere, secondo le intenzioni dello scrittore, il primo di un ciclo di tre dedicato agli amori di persone mature.
Márquez fu afflitto negli ultimi anni della sua vita da una graduale, dolorosa perdita della memoria:
“Allo stesso tempo la mia materia prima e il mio strumento. Senza di lei non c’è nulla”.
Così scrive nel prologo ed era scrittore troppo esigente con se stesso per sbagliarsi. L’intreccio sconta incongruenze logiche delle quali una particolarmente vistosa compromette lo spiazzante finale e la splendida intuizione narrativa, nucleo della vicenda. Tuttavia, a nostro avviso, tali incongruenze non impediscono al suo talento di brillare, sia pure a tratti. E Ci vediamo in agosto va letto. Assolutamente.
La trama
La cinquantenne Ana Magdalena Bach – capelli indios lunghi sino alle spalle, occhi di topazio, “scure palpebre portoghesi e pelle color melassa su un volto di madre autunnale” – è in costante battaglia (vinta) con lo specchio e con il rimpianto di studi letterari abbandonati che alimentano letture tanto appassionate quanto eterogenee. Va da Bram Stoker a Borges, da Ray Bradbury a Bioy Casares e i romanzi sentimentali, “meglio se lunghi e sventurati”.
Ci vediamo in agosto
Ogni 16 di agosto, da quando otto anni prima la madre ha chiesto di esservi sepolta, Ana Magdalena Bach lascia la sua città – indefinita, tumultuosa Macondo sudamericana percorsa da bus decrepiti zeppi di poveri, con la statua del Libertador dalla spada brandita contro il cielo – per raggiungere un’isola caraibica.
È un paese indigente, con case di legno, canne e fango, “strade di arena ardente, spiagge di farina dorata” e il degrado di pescatori mutilati e bambini nudi che stride con i primi resort del lusso stellato. Le lance a motore vengono rimpiazzate da moderni traghetti provvisti di rituale orchestra che intona mambo, salsa e turistiche rumbe.
Ana Magdalena non cambia il mazzo di gladioli deposto sulla tomba del povero cimitero di ceibe frondose e pietre infuocate fra cui si aggirano le iguane, in cui si svolge il rituale colloquio con la genitrice. Qui fa un bilancio provvisorio dei mesi trascorsi, delle vite del figlio – primo violoncello dell’Orchestra sinfonica nazionale – e della figlia, vera spina nel fianco della famiglia, invaghita di un trombettista jazz.
Cambiano gli alberghi
Dallo scalcinato motel dei primi tempi “con vista sulla laguna ardente ove planano immobili gli aironi”, dove il vecchio pianista ormai cieco suonava tristi boleri dolci e sedanti su un piano più vecchio di lui, si passa all’intimo bungalow finto rustico, immerso in un bosco di mandorli. Infine alle suite dell’avveniristico Carlton, “precipizio di vetri sul mare”, con intimidatori avvisi sonori nelle stanze per non fumatori. La Jacuzzi ha la tastiera elettronica polifunzionale e il prezzo è pari ad un quarto del suo stipendio di insegnante.
E cambiano gli uomini
Perché, dopo trent’anni di intimità matrimoniale ”folle”, fantasiosa, mai abitudinaria con un brillante direttore d’orchestra – campione sportivo di tutto, critico, prestigiatore, scacchista con tendenza (confessa) alla seduzione – la moglie devota cerca e viene cercata dagli uomini. Al picco dell’estate si trasforma in una donna maliziosa, allegra, “bella e libera come una regina azteca” per (ri)trovare la pulsione irrefrenabile della sua passionale femminilità.
Di volta in volta riceve carezze, lusinghe, anche una banconota da venti dollari che, fra rabbia, vergogna e frustrazione, continuerà a bruciare come brace viva nel cuore: “incorniciarla come un trofeo o distruggerla per esorcizzarne l’indegnità? Certo non spenderla”.
Tanatos e non solo eros sulle tracce di un uomo che non sappia né voglia mentire mai, i viaggi le danno quella sicurezza appagante, profonda e solida che Ana non ha mai veramente posseduto e che tanto tenacemente la accumuna alla madre, maestra montessoriana “dallo sguardo dorato e dalle poche parole”. Qui c’è il rimosso segreto e l’intrigante spunto del plot di Ci vediamo in agosto che l’incoerenza narrativa cui si è accennato – e sulla quale non sveliamo nulla – fatalmente pregiudica.
In bilico fra decoro e tentazione, moniti della coscienza e richiami del desiderio ne incontrerà di codardi, inibiti, distinti e dall’animo buono, seducenti, teneri e brutali, troppo o assai poco per bene, avidi di compassione o solo del suo corpo, capaci di parlare per nascondere e, un attimo dopo, piangere come bambini. Ma a ciascuno donerà comunque se stessa lungo le pagine di un libro imperfetto che pure declina misteri, deflagrazioni, incoerenze, ipocrisie e ineluttabilità dell’amore. Nella sua complessità questo si conferma il tema iconico e trasversale dell’autore di Cent’anni di solitudine insieme all’inconfondibile cifra lirica del suo stile, fedelmente resa dalla traduzione impeccabile ed empatica di Bruno Arpaia.
E “il mare è addormentato, il cielo incessante, la luna triste e chimerica, gli acquazzoni frenetici, la pelle rocciosa”.