Mystery, thriller: il caso Bramard e quel terribile killer chiamato Autunnale
E' possibile si tratti del serial killer da lui chiamato Autunnale per la caratteristica di colpire sempre nella stagione fredda
C’è di mezzo un cold case. Anzi, una serie di cold case collegati tra loro, perché è una storia di serial killer Il caso Bramard di Davide Longo, recentemente riproposto da Einaudi, a sette anni dalla sua prima uscita presso Feltrinelli. Siamo in Piemonte, all’ombra dalle Alpi, e da parecchi anni qualcuno continua a spedire all’ex commissario Corso Bramard delle enigmatiche lettere anonime, contenenti solo dei versi tratti da canzoni. Bramard è convinto che si tratti del serial killer da lui chiamato Autunnale per la caratteristica di colpire sempre nella stagione fredda.
In passato Bramard aveva indagato su di lui, finché il killer lo aveva colpito nei suoi affetti più cari. Da allora, Autunnale non era stato più attivo e il commissario aveva lasciato la polizia per ritirarsi in un silenzioso paese di montagna. Qui vive con un modesto stipendio da insegnante part-time, mentre nel tempo libero scala le cime. Stavolta, però, dalla busta con la lettera salta fuori un capello che permette finalmente di restringere le ipotesi sulla possibile identità di Autunnale. Solo che l’ex collega cui Bramard si rivolge per le indagini, Vincenzo Arcadipane, non vuole o non può impegnarsi direttamente, e si limita ad affiancarlo a una giovane poliziotta esperta di strumenti digitali, Isa Mancini.
Un tassello alla volta, lavorando soprattutto di pazienza, Bramard e Isa stringeranno lentamente il cerchio intorno a una figura che, in precedenza, per varie ragioni, non era mai stata presa in considerazione.
I punti a favore
Il caso Bramard, come romanzo d’atmosfera, fila che è una meraviglia. L’autore, Davide Longo, è docente alla scuola Holden e non certo per caso. La scrittura è essenziale senza mai diventare sciatta. I dettagli permettono al lettore di immaginare le scene senza distrarsi dalla trama. Nei dialoghi non c’è una parola di troppo. La trama non presenta improbabili forzature. La scelta di far procedere due storie apparentemente disconnesse fino al punto in cui convergono non spezza il ritmo ma lo mantiene costante. I punti di svolta della trama arrivano in modo naturale, senza alcun clamore artefatto a prepararli. Tranne forse quello decisivo, che segna una discontinuità un po’ troppo netta rispetto a ciò che lo precede. Forse un passaggio più morbido, un breve capitolo in più, non sarebbero stati fuori posto. Ma è un tipo di scelta che molti lettori apprezzano.
E quelli contro
Si può se mai porre l’accento di qualche critica sui personaggi, troppo vicini a cliché già visti. Certo, sono tratteggiati con cura impressionistica, senza pedanterie, sono a tutti gli effetti personaggi a tre dimensioni, ma sempre cliché restano. L’ex poliziotto che, colpito personalmente dal delitto, si è ritirato a condurre una vita quasi ascetica in comunione con la Natura non è proprio una novità, ormai sono più le volte che si è visto di quelle in cui non si è visto. La giovane poliziotta esperta di informatica, dallo stile punk e sboccato, tormentata da un passato oscuro, sembra una presenza irrinunciabile non solo nei telefilm americani, ma anche in molta narrativa.
Così come la figura dell’antagonista, una versione del Male assoluto mancante di umani moventi ma dotata di fascino e buon gusto da vendere, dopo Il silenzio degli innocenti si può definire letteralmente inflazionata. Lo stesso colpo di scena finale, un extra del tutto inaspettato rispetto alla trama principale, è stato già ripetutamente utilizzato da Hollywood. Certo, bisogna ammettere che tutto sommato, quando si va a sviluppare una trama partendo da una premessa, le possibilità non sono infinite ed è plausibile che le migliori combinazioni siano già state tutte sfruttate. Ma ciò non toglie che in questo romanzo c’è molto déjà vu che evidentemente strizza l’occhio a un pubblico che, alla novità, preferisce il format ben noto.