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Da Sacsayhuaman a Machu Picchu e alle piramidi: il mistero delle mura impossibili. La teoria: erano sintetiche

Ci sono nel mondo costruzioni megalitiche apparentemente inspiegabili. Pietre gigantesche incastrate alla perfezione le une sulle altre tanto da rendere difficile il passaggio di una carta di credito nelle giunture. Le avrebbero costruite popolazioni che non possedevano mezzi tecnologici e a volte non conoscevano nemmeno la ruota. Ma è davvero così?

Ignazio Dessi'di Ignazio Dessi'   

Vi è mai capitato di vedere un video o qualche immagine delle mura di Sacsayhuamán a Cuzco, sulle Ande in Perù? Ma anche di Ollantaytambo o Machu Picchu sempre nel Paese sud americano o di  Tiwanaku, in Bolivia. Bene, converrete che è impossibile non rimanere impressionati dalle proporzioni gigantesche di quei massi e, soprattutto, dalla perfezione con cui sono incastrati l’uno sull’altro, nonostante le irregolarità, tanto da impedire a una carta di credito di passare nello spazio tra le estremità contrapposte. Da considerare che si tratta di pietre del peso di decine di tonnellate apparentemente trasferite a oltre tremila metri di altezza. Eppure stando alle teorie imperanti in campo archeologico i popoli che hanno costruito quelle mura utilizzavano martello e scalpellonon possedevano animali da traino, non erano in possesso di catene o funi in grado di reggere simili pesi e non conoscevano la ruota. Ma allora come hanno fatto ad edificare quelle costruzioni?

Inoltre bisogna chiedersi perché gli antichi abbiano trasportato quegli enormi monoliti così in alto, facendo sforzi immani, quando avrebbero potuto utilizzare pietre più piccole per quelle opere. Perché hanno scelto di fare una cosa difficilissima se non impossibile?

Sacsayhuaman (Ansa)

La teoria rivoluzionaria 

Tra le varie ipotesi formulate, di recente, ne è emersa una particolarmente intrigante. Sconvolgente sotto certi punti di vista. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che in realtà per certe costruzioni molto antiche non sarebbero state utilizzate delle pietre ma una sorta di materiale sintetico, ovvero della roccia creata artificialmente. In pratica una simil-roccia fabbricata sul posto ricorrendo a qualche mirato processo chimico.

L'ipotesi di Davidovits

Questa soluzione fu suggerita in particolare da un chimico, il francese Joseph Davidovits, che  negli anni Ottanta teorizzò che le grandi piramidi di Giza, unitamente ad altri monumenti megalitici sparsi per il pianeta, potrebbero essere state edificate con una specie di calcestruzzo artificiale, da lui battezzato geopolimero, e non con la pietra naturale.

Video

Gli antichi avrebbero cioè fabbricato i blocchi di pietra sul posto, con una sorta di cemento versato in appositi stampi. Una soluzione che taglierebbe la testa al toro, spiegherebbe perché il trasporto non era un problema, alla stregua della modellazione e della posa, e come si facesse ad ottenere l’aderenza pressoché perfetta di un blocco con l’altro.

Davidovits basava la sua teoria in particolare su quanto scritto in una stele rinvenuta nell’isola di Sechel, in Egitto, conosciuta come la Stele della carestia. L’iscrizione sarebbe databile al 200 a.C. e soprattutto vi si indicherebbero i minerali necessari per realizzare la pietra sintetica utilizzata – si sostiene  – dagli antichi per costruire grandi templi ed altre opere.

In verità di questa possibilità di costruzione, estesa anche alle antiche piramidi egizie, almeno a quelle più note e la cui tecnica costruttiva rimane anche oggi, per molti tratti, incomprensibile, si è parlato in più di una occasione.

La grande piramide e quei blocchi

Alcuni ricercatori di fama internazionale avrebbero maturato la convinzione che anche il rivestimento della Piramide di Snefru non sarebbe costituito di calcare ma di roccia sintetica. Lo stesso sarebbe stato appurato riguardo ad alcune pietre della Grande Piramide di Giza: i grandi blocchi non sarebbero stati ricavati dal calcare bensì costruiti con i geopolimeri.

A questo proposito Davidovits, dopo un’opportuna analisi, evidenziava che in un blocco ritenuto calcareo della Grande piramide di Giza comparivano fibre organiche e bolle d'aria miste a frammenti d'intonaco rosso. Senza contare che in alcuni blocchi il senso delle piccole conchiglie fossili non sarebbe disposto in modo ordinato, nella posizione naturale di quando si depositarono in fondo al mare, come di norma avviene nella pietra naturale, ma in modo casuale. Cosa che farebbe pensare a una sorta di impasto. Per altro, lo scienziato riuscì a ricreare in laboratorio una specie di calcare riagglomerato.

Machu Picchu

Gli studiosi del Sud America 

La tesi è stata ripresa anche da alcuni ricercatori di prestigiose Università del Centro e Sud America che hanno raccolto la sfida e analizzato le enormi rocce di Sacsayhuamán. E indovinate un po’, hanno scoperto che, anche in questo caso, si tratterebbe di rocce sintetiche, ovvero di geopolimeri, fusi per altro ad oltre 1.000 gradi di temperatura.

Un vero mistero

Il tutto assume contorni particolari e si ammanta inevitabilmente di mistero. Stando così le cose i  costruttori non avrebbero spostato alcuna roccia. Si sarebbero limitati a trasportare con calma centinaia e centinaia di contenitori con gli ingredienti necessari per realizzarle direttamente sul posto. Avrebbero mescolato tutte le sostanze necessarie, esposto il tutto a una temperatura di 1.000 gradi e preparato la roccia sul posto, pronta per essere colata negli stampi.

Come facevano a fare ciò millenni fa?

Ai nostri giorni, tale processo, assolutamente scientifico, è perfettamente realizzabile. A patto ovviamente – e il particolare non è da poco - di avere la tecnologia e le conoscenze di chimica necessarie per farlo. La domanda allora nasce spontanea: se ciò è vero, come facevano ad avere queste conoscenze secoli e secoli fa?

E dunque, chi ha edificato queste costruzioni praticamente impossibili da realizzare per un popolo antico e tecnologicamente arretrato? Quali conoscenze della chimica possedevano i costruttori? Chi erano e da dove venivano? E com'è possibile che sui due lati dell’Oceano, dal Perù al Nord Africa, popolazioni antichissime riuscissero a sintetizzare i geopolimeri? Come si concilia ciò con le teorie canoniche sull’evoluzione della storia umana?

In effetti talune evidenze archeologiche sembrano mettere in crisi certe teorie date finora per scontate e indurre a un ripensamento, se non a una revisione, della storia dell’uomo così com’è stata finora raccontata.

Ignazio Dessi'di Ignazio Dessi'   
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Sono giornalista. E ho scritto anche tre libri diversissimi tra loro: un giallo...

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Giornalista professionista, laureato in Legge, con trascorsi politico...

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