Agatha Christie usò nomi fasulli: ma non fu l'unica a farlo, da Neruda ad Orwell e non solo
Non si diventa a caso regine del mistero. Bisogna averci l’inclinazione. Però anche altri utilizzarono un "nom de plume": da Orwell a Neruda, da Twain a Rowling
Identità fittizie, cambiamenti repentini, antipatie imprevedibili e micidiali: qualcuno sa veramente cosa aspettarsi quando c’è in ballo Dame Christie?
Hercule, un giorno ti ucciderò!
Non si diventa a caso regine del mistero. Bisogna averci l’inclinazione. E Agatha Christie, d’inclinazione, ne aveva anche troppa. Fin da quando, infermiera nel 1914-1918, prova un interesse irresistibile per quei veleni che ritroveremo spesso nei suoi gialli. Da allora, quanto a segreti, colpi di scena e nomi falsi, non si fa mancare nulla. Ricordate la sua scomparsa dal 3 al 14 dicembre 1926? Lei muta. Una sfinge. Mai uno straccio di spiegazione.
E perché in quel frangente si spacciò per la “Signora Neele” che le aveva soffiato il primo marito? Fu vaghissima, genere Smemorato di Collegno: mah… chi lo sa… amnesia… – procurandosi comunque un botto di battage pubblicitario. Poi, nel 1930, eccola stanca delle trame noir: quindi vertiginoso cambio di rotta e giù con inaspettati romanzi d’amore a firma Mary Westmacott, celando per decenni le sue vere generalità.
Mary Westmacott
Editi negli Oscar Mondadori, questi libri sono un delizioso mix di melò, caratteri ben tratteggiati e tocchi autobiografici. Tra gli altri, il preferito della Christie era Il deserto del cuore (1944) in cui la protagonista Joan Scudamore scopre dolorosamente di vivere un matrimonio fallimentare (… il suo?): lo scrisse in tre giorni, e, siatene certi, si divora in due, tanto è avvincente, umano, inquietante.
Ritratto incompiuto (1934) presenta invece la figura di Celia, colpita da lutti familiari e spaventata sia dal futuro sia da un nuovo legame sentimentale: analogie che – diceva Max Mallowan, l’archeologo sposato in seconde nozze – fanno di Celia la sosia di Agatha. La scrittrice fu felice di questa esperienza perché, riservatissima di natura, grazie allo pseudonimo si era abbandonata all’introspezione psicologica svelando alcuni risvolti intimi. Una sorta di terapia liberatoria. E nessuno l’aveva sgamata (verrà ‘smascherata’ solo nel 1949).
I nom de plum degli scrittori
Il nom de plume, d’altronde, ha sempre stuzzicato assai gli scrittori, maschi o femmine che siano. Vezzo da intellettuali? Strategie di marketing? Riserbo pudibondo come nel caso di Jane Austen che si firmava “a Lady” (una Signora)? Tutto questo ed altro ancora.
George Sand (Amandine Dupin) inforcava i calzoni per imporsi in un mondo maschile, con una buona dose di ambiguità sessuale (quasi un’Amanda Lear ante litteram).
George Orwell (Eric Arthur Blair) scelse un nome fasullo per non coinvolgere la famiglia in eventuali insuccessi delle sue storie; Pablo Neruda (Ricardo Basoalto) perché il padre disapprovava l’attività di poeta; Mark Twain (Samuel Clemens) perché era stato pilota sui battelli del Mississippi, dove si gridava “mark two!” (“marca due!”) misurando la profondità dell’acqua. E Joanne Rowling, mamma di Harry Potter, diventa Robert Galbraith quando sconfina nei polizieschi, per evitare confronti con l’occhialuto maghetto.
Agatha Christie entra nei suoi romanzi nelle vesti di Ariadne Oliver
Agatha Christie va oltre ed escogita addirittura un alter ego: la simpaticissima Ariadne Oliver che chiede consiglio a Hercule Poirot su misfatti e lestofanti in molti romanzi, da Carte in tavola (1936) a Gli elefanti hanno buona memoria (1972). È un po’ svampita, petulante, convinta di sbrogliare i delitti meglio di Poirot (“Forse che non ho sempre scoperto subito l’assassino?” – si vanta ne La sagra del delitto (1956), e “Poirot, galante, tacque. Altrimenti avrebbe potuto rispondere: ‘Al quinto tentativo, forse, e neanche sempre!’)”, e addirittura investiga senza di lui nel libro Un cavallo per la strega (1961), brillando di luce propria.
… che come lei è una celebre scrittrice di gialli
Come Agatha, Ariadne è una celebre giallista, ama le pettinature elaborate, è ghiotta di mele, è timidissima (“Non so fare discorsi. Sarei preoccupata e nervosa e probabilmente mi metterei a balbettare”), e ha fatto fortuna architettando un investigatore made in Finlandia, Sven Hjerson, emulo di Poirot e adorato dai lettori. Lei invece lo detesta: in Fermate il boia del 1952 sbotta “Come faccio a sapere perché ho creato un personaggio così disgustoso? Dovevo essere impazzita!… Se incontrassi quell’ossuto, magro vegetariano finlandese nella vita reale, imbastirei l’omicidio più perfetto che abbia mai inventato”.
Disprezza Poirot
Anche la Christie disdegna Poirot perché le case editrici chiedevano ossessivamente le sue avventure (“un pesante fardello”). E infatti accarezza con perfidia l’idea di sopprimerlo fin dagli Anni ’40, quando lo fa morire senza pietà nel romanzo Sipario, uscito però nel 1975 per motivi commerciali.
Qualcosa di simile succede ad Arthur Conan Doyle che, nei panni del Dottor Watson, interagisce con Sherlock Holmes. Pure Doyle aborriva il suo altezzoso detective dal berretto a visiera perché avrebbe voluto consacrarsi ad opere storiche e trattati di spiritismo. Esasperato, cerca di ‘ammazzarlo’ nelle cascate svizzere di Reichenbach in un mortale duello con l’eterno nemico Moriarty… ma a lui il trucchetto non riesce, i fans singhiozzano, gli editori strillano – come stupirsi? si uccide la gallina dalle uova d’oro? – ed è costretto a resuscitarlo nei racconti Il ritorno di Sherlock Holmes del 1905.
Il profondo legame con Conan Doyle
Peraltro, il legame Christie-Doyle ha radici profonde: ella lo ammirava molto, e per questo, nel 1920, sua sorella Madge la sfidò incautamente a ideare un investigatore simile a Holmes… non l’avesse mai detto! Certo non immaginava che Agatha non si sarebbe più liberata dell’ineffabile Hercule scrivendo subito un capolavoro, Poirot a Styles Court, davvero strepitoso per travestimenti e doppiogiochismo.
Che temi congeniali, per la Christie. Combinazione, quest’anno cade il centenario de L’uomo dal vestito marrone: intricata spy story, che ella pubblicò nel 1924, dove ognuno finge di essere qualcun altro. Tranne l’eroina Anne Beddingfeld, penserete – se non ci si può fidare delle eroine… Ma osserviamola bene: soffre il mal di mare (come l’autrice), sogna crociere, peripezie, paesi esotici (idem), è figlia di un archeologo (la Christie stravede per l’egittologia, l’infila in tanti intrecci e non per nulla sposerà Mallowan di lì a qualche anno). Sì, ci risiamo, è di nuovo lei che fa capolino sotto mentite spoglie. Agatha, Agatha… smetterai mai di frastornarci?