“Gianluca Vialli, l’uomo nell’arena”: sembrava sorridesse, come un bambino nel suo elemento. Il libro
Ecco, se ripensiamo a Gianluca Vialli, che ci ha lasciato il 6 gennaio scorso a 58 anni per le conseguenze di un tumore al pancreas, ci viene subito in mente l’evidente passione per il gioco del calcio. Cosa che – insieme ai suoi tanti gol spettacolari e ad una spiccata personalità non comune tra i calciatori – ha contribuito a renderlo in vita un campione davvero trasversale.Uno che – al di là delle maglie da gioco indossate – è stato difficile da criticare o da attaccare, come è accaduto a pochi altri tra i campioni italiani dell’ultimo mezzo secolo. E pensiamo a Riva, Rivera, Paolo Rossi, forse anche a Totti che ha saputo con la sua ironia, molto spesso rivolta verso sé stesso, spegnere l’antiromanismo (intesa Roma come città e non squadra) diffuso in tanta Italia.
Un bacio al pallone…
È dall’amore del campione cremonese per il calcio che parte anche lo splendido libro di Marco Gaetani, Gianluca Vialli, l’uomo nell’arena, che non a caso evidenzia nelle prime pagine quel bacio che Vialli – da capodelegazione della Nazionale – regalò a un pallone rimbalzato nei pressi della panchina in una sera di novembre del 2020.Un pallone qualunque, in una partita qualunque (Italia-Polonia di Nations League), per «un gesto fuori dal tempo. Una dichiarazione d’amore che partiva da lontano, dal primo calcio dato a un pallone arancione quando di anni ne aveva due e si era innamorato perdutamente».
Gianluca Vialli, l’uomo nell’arena, edito da 66THAND2ND, è un libro – doveroso sottolinearlo – che Gaetani ha scritto prima del peggioramento delle condizioni di salute di Vialli. Un libro che aveva cominciato a prendere forma mentre l’autore lavorava a quello, altrettanto prezioso, dedicato a Roberto Mancini, l’alter ego di Gianluca negli anni magici di Genova e poi suo compagno in azzurro. Ed è facile commuoversi se ripensiamo all’abbraccio tra i due e a quelle lacrime sul terreno di Wembley subito dopo la finale vinta all’Europeo del 2021.
Gaetani ripercorre con affetto la vita di Gianluca, dalla nascita in una famiglia della borghesia lombarda fino agli inizi nel Pizzighettone. E poi la Cremonese, la splendida Sampdoria di Mantovani. Infine la Juventus, ultima squadra italiana prima di scegliere l’inghilterra, come sede di lavoro (chiuse la carriera nel Chelsea, che poi allenò) e base della sua vita. A Londra aveva sposato nel 2003 Cathryn White Cooper.
Due scudetti, due Coppe d’Inghilterra, una Champions League, altri sei titoli europei, vinti tra campo e panchina. Una ricca carriera, a cui fa da contraltare un rapporto non sempre idilliaco con la maglia azzurra (comunque 59 presenze e 16 reti tra il 1985 e il ’92).
L’uomo Vialli
Ma è soprattutto l’uomo Vialli che ci interessa, e Gaetani ce lo racconta nelle sue tante sfaccettature. Dall’avido lettore di libri al campione che rifiutava l’idea della sconfitta, della lotta strenua al male che ha finito per condannarlo al rapporto non facile con la stampa. Senza tacere i suoi lati d’ombra, rappresentati da quel processo per doping innescato da alcune dichiarazioni di Zeman e nel quale Vialli fu chiamato a testimoniare, mostrando per una volta poca sicurezza e tanto disagio.
Irrobustito da un coro di dichiarazioni di ex compagni o testimoni privilegiati (Di Livio, Cristante, Condò…), ne esce nitido il ritratto di un grande campione e di un uomo vero. Uno che non ha mai avuto paura – in campo e fuori – di battersi per i suoi obiettivi. Era consapevole che – come nella citazione da un discorso di Roosevelt che volle leggere alla squadra italiana prima della finale europea con l’Inghilterra:
“L’onore spetta all’uomo che realmente sta nell’arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio e che sbaglia ripetutamente, perché non c’è tentativo senza errori e manchevolezze; che nella migliore delle ipotesi conosce il trionfo delle grandi conquiste e che, se fallisce, cade sapendo di aver osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria né la sconfitta…”.