“Ci sono buchi che non puoi riempire. Che resteranno lì per sempre, neri e profondi. Però, se vorrai, potrai costruirci una vita intorno, come ricresce l’erba sul bordo dei crateri.”
L’unico modo per raggiungere Sassaia, minuscolo borgo incastonato tra le montagne nella valle Cervo, in Piemonte, è una strada sterrata, ripidissima, nascosta tra i faggi. È da lì che un giorno compare Emilia, capelli rossi e crespi, magra come uno stecco, anfibi viola e il giaccone verde fluo. Dalla casa accanto, Bruno assiste al suo arrivo come si assiste a un’invasione. Quella donna ha l’accento “foresto” e un mucchio di borse e valigie: cosa ci fa lassù, lontana dal resto del mondo?
Cuore nero
Questo è l’incipit di Cuore Nero, il nuovo romanzo di Silvia Avallone emotivamente fortissimo, coinvolgente e cupo come il titolo fa facilmente immaginare, che però parla di rinascite, di nuovi inizi, di male subìto o procurato ma in qualche maniera elaborato e superato.
Emilia è accompagnata a Sassaia dal padre Riccardo in un luminoso giorno di novembre. Ha trent’anni anni ma è vestita come un’adolescente, con jeans strappati e tutto il resto. Hanno dovuto lasciare la macchina giù ad Alma, il paesino più vicino dove, come da tradizione, c’è la piazza con la chiesa, la farmacia, il negozio di alimentari e il bar dalle cui vetrate tutti li osservano sospettosamente. L’hanno lasciata lì perché a Sassaia ci si arriva solo a piedi attraverso una mulattiera, passando per il bosco.
Emilia ha scelto Sassaia proprio per questo. Ha deciso che quel borgo di pietra disabitato, e in particolare la casa della zia dove passava le estati da bambina, è il solo posto dove possa stare, quello da dove può, lentamente, riaffacciarsi alla vita.
Il paese è disabitato, ad eccezione di due abitanti
Sassaia è praticamente un paese disabitato. Oltre a lei ci abitano solo due persone. Uno è Basilio, un vecchio valligiano che da giovane aveva studiato arte ed era un promettente pittore, ma poi avversità familiari lo costrinsero ad abbandonare gli studi e ora vive facendo l’imbianchino per la valle, ma anche il restauratore di dipinti delle chiese di zona, che sono troppo piccole per suscitare l’interesse dei Beni Culturali. Eppure, come scopriremo, sono in realtà contenitori di veri tesori nascosti.
L’altro abitante è Bruno, un uomo di 36 anni che, per stazza e barba foltissima, assomiglia un po’ a un orso. Fa l’insegnante giù in paese ed è l’unico momento in cui interagisce con altri esseri umani. Per il resto vive isolato nella casa di famiglia, una famiglia che non esiste più da tantissimi anni.
Il caso vuole però, che la sua casa sia proprio dirimpettaia a quella dove va a stare Emilia, la quale ha, apparentemente, un solo grande problema. A Sassaia non c’è la televisione, non ci sono proprio le antenne e per lei, che negli ultimi quindici anni ha sempre vissuto in compagnia, è una tragedia perché senza chiacchiericcio non riesce ad addormentarsi.
Questo bisogno spingerà Emilia a chiedere aiuto a Bruno in un modo talmente surreale che lui sarà costretto ad accettare, iniziando così una conoscenza che li porterà a fare i conti con i propri fantasmi.
Emilia e Bruno, per motivi differenti, non hanno mai avuto una vita completa. Bruno è diventato vecchio senza mai essere giovane, Emilia è rimasta adolescente per sempre.
Se scegli di vivere a Sassaia è evidente che ti stai nascondendo
Se scegli di vivere in un posto come Sassaia è evidente che ti stai nascondendo dalla realtà, però la vita nel gioco del nascondino ti stana sempre, è indiscutibilmente più forte e ti porta a fronteggiarla anche se non lo vuoi.
Mi è piaciuta molto la velocità con cui Emilia e Bruno si sono agganciati l’uno all’altra, nonostante razionalmente non lo volessero. E’ come se le loro anime ferite, in maniera opposta ma con i medesimi risultati, avessero capito molto prima del loro cervello la necessità di interagire con l’altro. Entrambi devono perdonarsi di essere vivi.
La doppia narrazione di Cuore nero
Cuore nero parla di sbagli, delle relative conseguenze, di sensi di colpa, della difficoltà di allontanarsi da tutto questo ma anche della necessità di farlo.
Uno degli aspetti più coinvolgenti di Cuore nero è la capacità della Avallone di farti stare sempre nelle emozioni dei protagonisti, pur senza parlarne esplicitamente. Lo schema narrativo è duplice e articolato: i capitoli di Bruno sono raccontati in prima persona, quelli di Emilia in terza. Si potrebbe pensare che l’emotività di Bruno sia più facile da carpire, ma in realtà Bruno è coinvolgente tanto quanto Emilia. La differenza, almeno per me, sta nel fatto che mentre Bruno è succube dell’esperienza che lo ha portato ad essere quello che è, Emilia ne è la diretta responsabile, e quindi è più difficile immedesimarsi.
Cuore nero ci racconta della loro vita presente, fatta di piccoli passi avanti e molti indietro. Emilia, ad esempio, inizia a lavorare con Basilio al restauro di un affresco della chiesetta di Alma, mettendo così a frutto i suoi studi di arte. Mentre Bruno deve fronteggiare le avances non richieste della sua collega Patrizia che, ferita nell’orgoglio, cercherà di vendicarsi.
Ma abbiamo anche interi capitoli dedicati alla loro vita “di prima” dell’esilio a Sassaia. Quello che è successo è un dato di fatto, non ci sono giudizi da parte dell’autrice. Da parte nostra sì, è impossibile rimanete imparziali, ma è proprio questo il punto. Cuore Nero ci porta a fronteggiare il fatto che carnefice e vittima non sono ruoli scolpiti nella pietra, o meglio, ciò che è stato fatto non si può cancellare, ma le persone sono fatte di molte parti sfumate e non solo bianche e nere.
Anche se “gli altri” (compresi noi lettori del romanzo) sono portati a etichettature assolute, la realtà è che:
“Tutto passa. E se non passa, cambia”.
Cuore Nero è un viaggio nelle sfaccettature dell’anima dei suoi personaggi. Detto così sembrerebbe un “mattone” e invece no, è oggettivamente un pugno allo stomaco, ma è un romanzo talmente coinvolgente, che è difficile staccarsene. Non si vede l’ora di proseguire nel percorso di rinascita insieme a Bruno ed Emilia.
Polenta a 38 gradi
Cuore Nero è ambientato nella Valle Cervo, in provincia di Biella, una zona che devo ammettere a malincuore di non conoscere per niente.
Nel libro ogni volta che si nutrono parlano di polenta con intingoli vari. In particolare, parlano di “polenta e moja”, che mentre leggevo immaginavo fosse un formaggio tipico, invece “moja” in dialetto significa “in brodo”.
Per di più, “polenta e moja” è proprio una specialità del ristorante La rosa bianca di Piedicavallo, sempre in provincia ci Biella, che è addirittura riuscita a farne un marchio registrato, tutelando la ricetta. Questo piatto pare sia costituito da polpette di polenta in un intingolo piuttosto fluido di formaggi fusi, insomma una cosetta leggera, adatta al periodo!
Battute a parte, per restare nell’ambito della polenta del nostro romanzo, ma per adattarla ai 38 gradi che ci circondano attualmente, vi do dei suggerimenti, più che una vera e propria ricetta.
Tagliate delle fette di polenta fredda e grigliatele. Poi usatele tipo bruschetta al posto del pane.
Oppure, prendete della polenta fredda, sempre grigliata, tagliatela a cubetti e utilizzatela al posto delle patate nell’insalata di polpo.
Se invece, come spesso capita d’estate, soprattutto al sud, state friggendo qualche verdura, approfittatene per friggere anche la polenta a listerelle e, SOLO in questo caso, servitela calda spolverizzata di sale insieme a delle olive, per aperitivo.
Buona estate!!