“Vengono davanti al mare il mattino presto. Il mare si accolla per loro qualche preoccupazione, e senza chiedere nulla in cambio. Il vento porta minuscole gocce di acqua salmastra, quando il mare si infila dentro i buchi negli scogli, e fa spruzzi tanti all’aria, che seccano le facce, le camicie di tela e le colline che li assorbono fin d’ora, e in primavera bruciano anzitempo le erbe di campo e i fiori. Solo i fiori di scoglio non bruciano, aggrappati a quella poca terra col loro rosso vivo che spicca sul nero e sull’azzurro, come gli anemoni sott’acqua”.
L‘isola e il tempo è un libro molto articolato che può intrattenere tipi diversi di lettori, dove nulla è lasciato al caso in uno sforzo compositivo che riesce a far “cadere” il lettore nella storia.
Cosa si racconta
Ambientata in un’isola delle Pelagie, la storia ha inizio negli anni Cinquanta con l’approdo di un barchino con due persone a bordo: l’una morta, l’altra viva. La persona viva è uno skipper dal comportamento enigmatico, Bruno Surico, che racconta dell’incendio dell’imbarcazione da cui è fuggito e della fine certa degli altri passeggeri, una famiglia genovese composta da due adulti e tre bambini.
La morta è sua moglie Daisy che, strappata fortunosamente all’incendio, non è sopravvissuta. Di lei resta un manoscritto che finirà nelle mani del protagonista che si inventa investigatore. Il giallo si sviluppa nelle due settimane successive allo sbarco dello skipper, quando, nonostante le ricerche, non si trova traccia dell’imbarcazione e sopraggiunge dal mare, abbracciata ad un tronco d’albero, Mattia, la piccola naufraga superstite. Le indagini sono condotte con negligenza e scarsa professionalità dal maresciallo Bonomo, fra mille indizi contraddittori e non porteranno a risultati significativi. Passeranno ancora trent’anni perché si giunga ad un epilogo che tingerà ancor più di mistero la vicenda.
Il racconto dei fatti è affidato al protagonista, Onofrio, il quale per tutta l’adolescenza e per il resto della vita continuerà ad occuparsi a modo suo del “caso”.
Il protagonista da ragazzino e da adulto
La narrazione si sviluppa attraverso un martellante e angosciante flusso di coscienza, in cui si avvicendano e si sovrappongono due voci e due piani temporali: quelli di Nonò (vezzeggiativo di Onofrio, da ragazzino) e quelli di Nofriu (diminutivo di Onofrio, da adulto). Con questo escamotage letterario, l’attenzione del lettore sarà tenuta costantemente desta.
Al momento dei fatti Nonò è un vivacissimo tredicenne, ultimo nato in una famiglia di pescatori, lasciato libero di girovagare nella minuscola isola che ha imparato a conoscere come le sue tasche. Riuscirà così a seguire, nascosto qua e là per l’isola e sotto le finestre dell’ufficio del maresciallo, le tappe dell’indagine e a costruirsi un suo convincimento circa il probabile assassino. Il ragazzino ha appreso da Filì, il fratello maggiore, la pratica per le immersioni nei fondali marini e, condividendone la passione, spesso lo accompagna.
Sarà con lui anche nel maledetto giorno in cui, alla ennesima immersione nei fondali per la ricerca dell’imbarcazione scomparsa, accadrà la disgrazia che segnerà l’adolescente Nonò per sempre. L’evento doloroso condurrà allo sfaldamento della sua famiglia e alimenterà per il resto della vita, nella mente dell’adulto Nofriu, l’ossessione per la soluzione del giallo dell’imbarcazione scomparsa e della morte di Daisy.
Come è narrata la storia
Nel romanzo ci sono vari livelli di lettura: la vicenda criminosa e l’investigazione; la descrizione appassionata e magica dell’isola, nelle trasformazioni stagionali della flora e della fauna e nei cambiamenti sociali con il fluire degli anni.
La lingua utilizzata è un pastiche armonioso e musicale di lingua parlata e dialetto, quasi ipnotico, straordinariamente chiaro anche per chi non conosce i vocaboli e le espressioni dialettali siciliane. È un libro che vive di ritmo se ci si affida alla musicalità della parola.
Il lettore compirà, insieme a Nofriu, l’esperienza ossessiva di un tempo circolare. Azzerando la linearità cronologica, il protagonista si aggroviglierà in una spirale di ricordi, riportandoli ad un eterno e doloroso presente, nello sterile tentativo di sfuggire al dolore e di afferrare il filo risolutivo dell’enigma, che continua a scappare. Nofriu racconterà mille volte, a chiunque vorrà ascoltarlo nel corso degli anni, quella storia misteriosa. È un uomo che non riesce a far pace con il suo passato, un narratore ferito ma ormai inaffidabile che si affanna in una prigione mentale in quella minuscola isola che è simbolo del suo isolamento.
“La storia è come la spugna: quando è aggrappata al fondale è tutta nera e sporca, piena di pezzi di cose attaccate, gusci di ammari, pietrisco, catrame; per farla bella e chiara bisogna sciacquarla con l’acqua di mare. Solo a ripeterla tante volte, con tutti i passaggi al loro posto, la storia si libera dei dispiaceri che porta”.
Nofriu vive ogni giorno della sua vita – e farà vivere al lettore – la frustrazione del pescatore che, nel tentativo di ricucire la nassa da pesca, perde continuamente la maglia nel groviglio dei fili.
L’autrice
Claudia Lanteri esercita da qualche tempo la professione di libraia appassionata, infatti il suo mestiere ideale è fare la lettrice. È tornata a vivere in Sicilia seguendo l’atavico dondolio dell’onda che fa fuggire e poi ritornare, ben nota agli isolani.
“Seguo il sentimento emergere dal centro del mio petto, su su fino alle labbra, lascio ogni male venir fuori insieme con l’aria, spurgare tra le bolle che scappano sulla superficie increspata di spuma. Mi libero anche dei pensieri, concentrandomi sull’assenza del mio corpo affaticato, lasciandolo a fluttuare nella corrente: sotto di me le alghe si aggrappano alla sabbia bianca e nera dei fondali dove s’inseguono le cernie, le murene, le impertinenti gallinelle, il vermocano”.
Claudia Lanteri ha vissuto in una famiglia (padre catanese, madre originaria dell’interno dell’isola) che ha praticato, non solo a livello amatoriale, il teatro. Se in casa c’era il divieto paradossale di usare il dialetto, lei ha maturato la curiosità appassionata per le lingue di passaggio, che coniugano più parlate.
I libri per lei non sono frutto di scalettature ma di una ispirazione iniziale; un’idea che, solo in una fase successiva, si irrobustisce in un incastro razionale.
Come dimostra con L’isola e il tempo, non apprezza la separazione dei generi letterari, si concede la libertà di mescolare l’alto e il basso e di giocare con le tradizioni anche in modo irriverente. Pratica l’ironia e strappa sempre un sorriso.
Il lettore
Al lettore è richiesto un buon livello di cooperazione all’interno del testo dove si verificano delle intenzionali incongruenze, dei corti circuiti narrativi a volte criptici. L’uso delle ellissi e di altri stratagemmi descrittivi movimenta la storia coinvolgendo il lettore nelle scoperte: il male, che è tangibile e presente, non è narrato, ma è reso più potente perché eluso e affidato all’immaginario di chi legge. Si intuisce cosa è accaduto in mezzo al mare ma non è detto. La confusione che spesso ne deriva, però, sia pur creata ad hoc e rispondente alle esigenze della fertile fantasia dell’autrice, affatica la lettura e stona. Al lettore sono richieste la tenacia, perché messo a dura prova da salti mentali a volte esasperati, e la fiducia … perché alla fine capirà.
Sebbene non sia citata nel libro, la storia è ambientata nella minuscola Linosa che all’inizio della vicenda narrata era solo un’isola di contadini dove “ogni fuscello di lenticchia è strappato all’aria salmastra che secca tutto già ai primi di marzo”.
Ci si potrebbe anche innamorare di questo romanzo, per come i luoghi e le persone sono narrati, se non si percepisse l’influenza di modelli laboratoriali di scrittura e se fosse stata fatta una sfrondatura più decisa del testo.