Cartagloria, l'infanzia e la strampalata ricerca di Dio

(di Marzia Apice) (ANSA) - ROMA, 27 APR - ROSA MATTEUCCI, CARTAGLORIA (Adelphi Edizioni, Milano 2025, FABULA 418, pagine 153, euro 18.00). "...Ognuno dei giorni della mia giovane vita è stato sempre una battaglia di Austerlitz; la mia infanzia fu una sanguinosa, ininterrotta lotta all'arma bianca, dove la sceneggiatura voluta da Dio non prevedeva armistizio, ritirata, resa al nemico". Rosa Matteucci torna il libreria con "Cartagloria", edito da Aldelphi, romanzo in cui ancora una volta la sua penna brilla nel racconto di un'appassionante, quanto faticosa avventura nei rapporti familiari - scomposti, imperfetti, fallimentari ma vitalissimi. Seguiamo il tragicomico viaggio dell'autrice, quella "bambina-io" che definisce "un'orfana con i genitori viventi", verso l'età adulta: lo sguardo di Matteucci, pur rivolto ai sogni, alle paure, alle piccole grandi scoperte vissuti da piccola, è capace di allargarsi a dismisura per inquadrare lo sfilacciato microcosmo della sua famiglia, che diviene la lente attraverso cui guardare il mondo. Il libro, anche questo autobiografico e romanzato insieme, inizia con l'ambizione della bambina-io a ricevere la Prima Comunione, un desiderio che resterà disatteso, come tanti altri nel corso della sua vita.
Poi la morte per mala sanità dell'amatissimo padre, e la sua rocambolesca sepoltura, non faranno altro che rafforzare l'anelito al trascendente che l'accompagnerà sempre, nonostante gli inciampi. In una irriverente lotta tra sacro e profano, osservando la dissoluzione della sua famiglia (rappresentata anche dall'antica villa familiare in ineluttabile decadenza) l'autrice racconta dei suoi strampalati vagabondaggi alla ricerca di un Dio qualunque che possa ascoltarla, comprenderla, e che le conceda al tempo stesso la requie dalla sofferenza e la grazia della fede: dall'India dei santoni ai Pirenei di Bernadette, dai gruppi di preghiera della Soka Gakkai a un'ardimentosa visita a un frate esorcista fino alla scoperta del rito tridentino, Matteucci rincorre e desidera per la sua protagonista (e per se stessa) una salvazione necessaria per poter provare a vivere. Quello che otterrà sarà probabilmente - se non una conciliazione, con la sua coscienza e il mondo familiare - una faticosa, dolorosa accettazione, conquistata attraverso strade impervie che anche il lettore è invitato a percorrere. "Quando approdammo alla predica in volgare, e finalmente si poteva star seduti, il ginocchio destro era trafitto da un dardo, il velo calato sul viso era umido di calura, un sottile senso di vergogna mi avvolgeva come una sindone, mentre nell'anima cresceva la consapevolezza di essere esiliata dal consorzio umano: mi tornavano in mente le tante piccole miserie affrontate e mai debellate, mi riafferrava il familiare disagio che provo sin dall'infanzia per non trovare mai il posto che mi compete, o per essere sempre nel posto sbagliato", scrive l'autrice. Attorno alla bambina, poi divenuta donna, compaiono personaggi e luoghi indimenticabili, che animano il mosaico di un romanzo ricchissimo, nei toni - tragici, ironici e irriverenti -, nei temi, e soprattutto nella lingua. Il racconto, fatto in prima persona, è insieme forbito, prezioso ma anche intimamente popolare: l'impasto della lingua proposto da Matteucci riporta indietro, verso parole desuete di un secolo fa, e poi si radica nell'oggi, costruendo pagine che sembrano fotografie, tanto sono accurate e minuziose le descrizioni. (ANSA). .